Il Bat-Man, Bat Man, Batman: chi è e come lo è diventato – Una battaglia solitaria che dura da oltre 80 anni

DF festeggia il Batman Day con un saggio di Michele Gambini sulle origini e sui primi 15 anni di pubblicazione degli albi dell’uomo-pipistrello, una delle icone mondiali del fumetto.

Ogni anno il terzo sabato di settembre è il Batman Day, un evento organizzato dal fandom in molte città del mondo in cui si celebra l’uomo-pipistrello come assoluta icona globale del fumetto.

Dimensione Fumetto festeggia il Batman Day pubblicando uno splendido e ricchissimo intervento di Michele Gambini, dell’associazione culturale Arcadia, che ripercorre le origini del personaggio e i suoi primi fondamentali quindici anni di storia editoriale.

E corre, corre… è Batman!


Batman è uno di quei personaggi immaginari per cui sostanzialmente non occorre presentazione. Ovunque andiate, con chiunque parliate, giovane o anziano esso sia, in ogni parte del mondo, se chiedete chi è Batman, sapranno sempre rispondervi. È un privilegio che spetta a pochi, questo. Significa che il suo status ormai non è più quello di semplice “personaggio in calzamaglia” dei fumetti, ma è asceso a tutti gli effetti a quello di vero e proprio mito.

Un mito apparentemente semplice, ma in realtà estremamente complesso, perché è il frutto non solo della fantasia dei suoi creatori e di tutti gli autori che in ottant’anni di storia editoriale ne hanno preso in mano le vicende, lo hanno analizzato, accresciuto, riveduto e corretto, destrutturato, riplasmato e celebrato, ma anche e soprattutto è il frutto di una società in continuo divenire, sempre proiettata verso un futuro assolutamente incerto, una società che a volte piomba nell’oscurità, che spesso cade e soffre, ma che ogni volta si sforza di rialzarsi e di ritrovare la luce.

Pertanto, per poter parlare in maniera esaustiva del personaggio Batman e capire bene chi è e come lo è diventato, occorre necessariamente fare una premessa sul contesto storico e sociale in cui nasce e raccontare prima brevemente la storia di un altro caposaldo della letteratura a fumetti, un altro mito moderno, più anziano dell’Uomo Pipistrello di un solo anno.

 

Le origini: Superman di Siegel & Shuster

Era il 1938 e negli Stati Uniti d’America le cose non andavano affatto bene…

Nove anni prima era avvenuto il rovinoso crollo di Wall Street, che aveva dato il via a una catastrofica crisi economica mondiale, le banche stavano andando a gambe all’aria, la gente perdeva il lavoro e la casa e spesso si ritrovava a dover andare a vivere in baraccopoli improvvisate. Nei casi più estremi le persone arrivavano anche a togliersi la vita. Neanche in Europa, però, le cose andavano affatto bene: il cancelliere tedesco Adolf Hitler si era proclamato dittatore della Germania, dando il via all’incubo nazista che tutti conosciamo e nuovi venti di guerra iniziavano a soffiare prepotenti sul Vecchio Continente.

Questo clima spaventoso e la nascita del primo vero supercriminale globale che la storia moderna abbia conosciuto, prepararono il terreno per una risposta creativa da parte del mondo libero… e questa risposta arrivò dalla mente di due giovani ebrei di Cleveland, appassionati di fantascienza, fantasiosi, timidi, occhialuti, che in circa sette anni elaborarono un eroe di carta che sarebbe diventato il capostipite di una nuova e complessa mitologia e che con essa sarebbe sopravvissuto a Hitler stesso e al suo sogno di un Reich millenario.

I due giovani scrittori si chiamavano Jerry Siegel e Joe Shuster e la loro creazione era ovviamente Superman, l’uomo del domani!

Così, nel mese di aprile del 1938 (anche se la copertina è marcata giugno, per via di una consuetudine editoriale americana, in uso fino a non molti anni fa, che prevedeva la data di uscita anticipata di due mesi, rispetto a quella indicata sull’albo), la casa editrice National Allied Publications (la futura DC Comics) pubblicava il primo numero della rivista di avventure a fumetti intitolata Action Comics e in questo primo numero esordiva proprio lui, Superman, l’uomo perfetto, l’eroe il cui scopo era perseguire e promuovere gli ideali di verità, giustizia e stile di vita statunitense… ma che in realtà NON era statunitense e, per giunta, neanche umano!

Il piccolo Kal-El (questo, come tutti sapranno, il suo vero nome) proveniva infatti dal pianeta Krypton, messo in salvo dai genitori naturali Jor-El e Lara Lor-Van, poco prima dell’esplosione del pianeta stesso provocata, secondo una versione della storia, da un processo di fisiologico deterioramento o, secondo un’altra versione, dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Sta di fatto che questa catastrofe era stata prevista dal padre, uomo di scienza e dignitario di quel popolo, ma i suoi avvertimenti erano stati ignorati da tutti. Il bambino venne quindi inviato verso la Terra ancora neonato, a bordo di un’astronave monoposto, nel tentativo di farlo sopravvivere. Solo, nello spazio infinito, la sua casa in frantumi alle spalle, apparentemente spacciato. Sulla Terra trovava la salvezza e veniva accolto e allevato segretamente e con affetto da una coppia di contadini di Smallville, nel Kansas, Jonathan Kent e Marta Clark, da quel momento suoi genitori adottivi, amorevoli e amati.

Immigrato clandestino, quindi, sopravvissuto per miracolo, ultimo superstite della sua specie, allevato da due adorabili anziani, Clark Kent (questo il nome terrestre che gli viene dato) crebbe come un ragazzo povero, sostanzialmente emarginato, uno “sfigato”, che però da adulto riuscirà a trasferirsi a Metropolis, la più avanzata città degli USA, e lì a diventare uno stimato giornalista e il più grande eroe che la Terra abbia mai conosciuto, nonostante i suoi poteri e le sue origini. Il prototipo assoluto del self-made man, tanto caro alla cultura statunitense. Impossibile non affezionarsi immediatamente a un personaggio così. Egli era ed è tuttora il Bene che prevale sempre sul Male. È forte, affascinante, intelligente e coraggioso, indossa un costume dai colori sgargianti e grazie ai suoi poteri, che trae dalla luce e dal calore del nostro Sole, è sostanzialmente onnipotente. Vola perfino! È una figura pulita, rassicurante e solare, a tratti messianica, poiché guida e salvatore, che incarna la speranza e l’ottimismo. Un personaggio rivoluzionario, ma che affonda le sue radici nella mitologia classica e nella religione ebraica: in lui possiamo ritrovale le figure di Ercole, Achille, Mosè, Sansone… perfino Gesù, se vogliamo. Ovviamente fu un successo immenso e immediato, sfruttato a piene mani dall’editore e, purtroppo, mai completamente riconosciuto ai due creatori.

 

La nascita dell’uomo-pipistrello

A distanza di un anno occorreva assolutamente creare un altro supereroe di successo, occorreva dare un seguito a Superman, ma senza sovrapporvisi, senza copiarlo.

Come fare? Vin Sullivan, editor della rivista Detective Comics, che pubblicava storie a fumetti noir e hard-boiled sempre della National Allied Publications, era alle strette, il suo capo voleva subito una soluzione. Poi, in una notte buia e tempestosa, l’illuminazione! Oggi la risposta sembrerà ovvia e scontata, ma all’epoca fu un vero colpo di genio: bisognava invertire la polarità. Il nuovo personaggio sarebbe stato quindi un giustiziere, un antieroe. Sarebbe emerso dalla notte, muovendosi tra le ombre dei vicoli bui, nei bassifondi della peggior città degli USA. Sarebbe stato oscuro, spaventoso e implacabile, una creatura tenebrosa e senza volto: un uomo pipistrello.

Così, nel maggio del 1939, sul numero 27 proprio di Detective Comics, esordiva The Bat-Man (scritto con tanto di articolo prima del nome e trattino a dividere “Bat” e “Man”, caratteristiche che il logo del personaggio manterrà per parecchio tempo), con la storia intitolata Il caso del Sindacato Chimico (storia che verrà ripresa nel 1951 da Bill Finger come riferimento per narrare le origini del Joker e il cui plot verrà poi anche utilizzato, nel 1989, dallo sceneggiatore Sam Hamm come trama di apertura del primo film di Tim Burton sull’uomo pipistrello).

 

Luce e ombra

Vorrei ora, per un attimo, focalizzare l’attenzione su un particolare singolare e interessante. Uno strillone sulla prima pagina di quell’albo recitava:

IL BAT-MAN! UN MISTERIOSO E AVVENTUROSO PERSONAGGIO CHE LOTTA PER LA GIUSTIZIA E COLPISCE IL CRIMINE, NELLA SUA SOLITARIA BATTAGLIA CONTRO LE FORZE DEL MALE… LA SUA IDENTITÀ RIMANE SEGRETA.

Al termine della prima avventura di Superman, invece, un anno prima, un riquadro roboante annunciava:

E COSÌ SONO COMINCIATE LE AVVENTURE DEL PIÙ SENSAZIONALE PERSONAGGIO DEI FUMETTI: SUPERMAN! UNA MERAVIGLIA FISICA E MENTALE. SUPERMAN È DESTINATO A RIMODELLARE IL FUTURO DEL MONDO!

Già questo semplice raffronto basterebbe per capire cos’era appena nato.

Quella era la dicotomia perfetta: eroe e antieroe assoluti, il cielo e la terra, la luce e il buio, la redenzione e la punizione, l’ottimismo e il pessimismo. In pratica erano state poste le basi per ogni altra serie di supereroi che sarebbe mai stata scritta in futuro. Però, mentre Superman nasceva, come dicevamo poc’anzi, da reminiscenze di mitologia antica, misticheggiante, alta, principalmente tratte dalla Bibbia e da Omero, Batman nasceva dalla letteratura popolare gotica e d’avventura, dalle pulp stories, dal mistery, dai thriller, dal cinema noir e horror. Mentre Superman era il risultato di un paziente e certosino lavoro fatto di prove, errori e successivi raffinamenti, Batman fu il prodotto di un più rapido, attento e soprattutto astuto lavoro di assemblaggio di schegge, suggestioni e immagini pescate a piene mani dalla cultura pop.

Nonostante i molti (e ovvi) riferimenti, anche se indiretti e comunque mai dichiarati o confermati dai creatori, al Sandman di Gardner Fox dello stesso anno, e a The Phantom creato appena tre anni prima da Lee Falk, l’aspetto del Bat-Man traeva ufficialmente ispirazione da diverse fonti di varia natura, tra cui il protagonista del film muto degli anni ’30 intitolato The Bat Whispers, da cui era tratta l’idea di un alter ego animale, mostruoso e inquietante.

Dagli schizzi di Leonardo Da Vinci per la sua macchina volante chiamata “ornitottero“, invece, il cui progetto prevedeva due ali basate su quelle di un pipistrello, era scaturita la trovata del mantello, soprattutto per quanto riguardava le immagini in cui l’eroe veniva rappresentato mentre volteggiava tra i grattacieli.

E poi tanti altri modelli, dal film Il segno di Zorro del 1920 con Douglas Fairbanks, al personaggio pulp del 1934 The Bat, combattente del crimine mascherato che usava una pistola a gas per paralizzare i suoi nemici e che aveva anch’egli deciso di adottare quell’aspetto quando un pipistrello era entrato dalla sua finestra durante una fase di meditazione. Il nostro eroe era inoltre una combinazione delle doti fisiche e atletiche del moschettiere D’Artagnan e delle capacità deduttive del detective Sherlock Holmes.

Nello stesso periodo, però, un altro personaggio mascherato da pipistrello iniziò a uscire nelle edicole con le sue storie pubblicate sulle riviste pulp: si chiamava The Black Bat ed era un procuratore distrettuale che durante un processo era stato orrendamente sfigurato con dell’acido da un criminale (ricorda niente?) e, per vendicarsi, decideva di intraprendere una carriera parallela come giustiziere mascherato. La sua storia però durò solamente fino ai primi anni ’50 e poi scomparve.

Batman invece aumentava progressivamente il suo successo, tanto che nel mese di marzo del 1940 esordì una seconda testata dedicata alle sue avventure, intitolata proprio Bat Man (scritto senza trattino, adesso), una testata che, come anche Detective Comics, è tuttora in pubblicazione ed è campione di vendite negli USA.

 

L’importanza del media: il fumetto

Ma perché The Bat-Man sì e The Black Bat no? Per molti motivi, che vanno dalla tipologia delle storie, al formato della pubblicazione, al marketing… ma che principalmente si potrebbero ridurre a due soltanto.

Il primo è che The Black Bat veniva pubblicato in prosa sottoforma di racconto seriale, la classica rivista pulp, un tipo di pubblicazione che nacque negli USA nei primi anni del ‘900, diretta discendente dei feuilletons ottocenteschi, i cosiddetti romanzi d’appendice che spopolavano in Europa e che pubblicavano storie dell’avventura e dell’orrore (da Il castello di Otranto a Dracula, da Frankenstein a Ivanhoe, tutte opere che videro la luce proprio su questo tipo di pubblicazioni). Sulle riviste pulp nacquero ed ebbero enorme successo, ad esempio, il ciclo di racconti di Tarzan (E. R. Burroghs), quello di Conan (R. E. Howard), quello di Cthulu (H. P. Lovecraft), le avventure di Mike Hammer (M. Spillane) e, in generale, quasi tutta la letteratura d’intrattenimento statunitense d’avventura, fantasy e, soprattutto, noir e hard-boiled. Un filone editoriale che ebbe il suo apice proprio tra gli anni ’20 e gli anni ’40, ma che esaurì inesorabilmente la sua parabola verso la fine degli anni ’50.

Batman invece era un vero fumetto. Entrambi i media erano nati praticamente in contemporanea (considerate che il primo fumetto seriale viene convenzionalmente considerato lo Yellow Kid della strip Hogan’s Halley di Outcault, del 1894, pubblicata sul supplemento domenicale del New York World di Joseph Pulitzer, quindi di poco successivo ai già citati romanzi d’appendice europei e leggermente più giovane delle riviste pulp americane), ma il fumetto aveva una marcia in più.

I fumetti erano stati concepiti, infatti, come immagini di consumo per le fasce sociali più povere, in particolare per gli immigrati di nazionalità diverse, ghettizzati, spesso impiegati in condizioni di semi-schiavitù, discriminati, messi all’angolo e oggetto di ben radicati pregiudizi etnici, razziali e ideologici. Frange di popolazione costantemente in aumento che però, dal momento che imparavano a leggere, divenivano un potenziale nuovo e vastissimo bacino di mercato americano. Il primissimo compito delle pagine dei fumetti sui quotidiani fu quello di attirare le classi meno abbienti, ovvero quelle persone che i giornali e i libri non li compravano mai o quasi mai, anche perché spesso non sapevano ancora nemmeno leggerli! I reietti. I fumetti erano fatti per loro e parlavano di loro e proprio grazie ai fumetti, al connubio di immagini e parole combinate per raccontare la storiella stampata su quei paginoni ogni domenica mattina, essi imparavano a leggere e a parlare quella lingua finora sconosciuta, la lingua del paese dove avevano scelto di trasferirsi in cerca di un futuro migliore.

Il fumetto (insieme al cinema, anche se in modo assai differente) in quegli anni era diventato il medium più popolare degli Stati Uniti d’America e quindi sbaragliò ogni altra forma editoriale d’intrattenimento. La sua diffusione era talmente ampia che ben presto divenne anche una rilevante opportunità di lavoro per tantissimi giovani volenterosi in cerca di un impiego. Joe Kubert, in un’intervista a David Hajdu, raccontava:

«Se volevi fare fumetti e avevi un briciolo di talento – diamine, anche se non ne avevi proprio di talento – di lavoro per te ce n’era. (…) Potevi essere un genio, potevi essere un nessuno, un ragazzino di Brooklyn come me, o uno un po’ matto. Le porte erano aperte a tutti».

Probabilmente, se il personaggio di Black Bat fosse diventato anch’egli un eroe dei fumetti o magari del grande schermo, sarebbe andato avanti senza problemi… chi può dirlo? Anzi… una curiosità, a riguardo: nel maggio 2013 la Dynamite Entertainement ha ripreso in mano il personaggio, rilevandone i diritti e dopo oltre 70 anni finalmente ha pubblicato il primo numero di una serie a fumetti a lui dedicata!

 

L’importanza del protagonista: Bruce Wayne

Il secondo elemento fondamentale del successo di Batman era… Bruce Wayne. Esatto, la sua vera identità è sempre stata (ed è tuttora) il suo vero punto di forza.

Zorro era in realtà Don Diego de la Vega, un giovane nobile e proprietario terriero che combatteva a favore della povera gente; Tarzan era John Clayton III, Visconte di Greystock, che abbracciò il suo lato selvaggio per lottare contro il lato oscuro e viziato della società moderna.

Batman era Bruce Wayne, giovane ereditiero, rampollo di una delle famiglie più ricche d’America, rimasto orfano in maniera violenta e terribile in tenera età e ora capitano d’azienda, eccentrico e playboy. Era un industriale, e la figura dell’industriale, in quegli anni, negli USA, era una figura eroica già di per sé, celebrata in mille maniere e amata in modo quasi maniacale da ogni frangia di popolazione.

Lo testimonia il personaggio, ancora oggi popolarissimo in patria, di Annie: protagonista della serie di strisce quotidiane a fumetti Little Orphan Annie ideata da Harold Gray (1894-1968) e pubblicata sul quotidiano New York Daily News dal 5 agosto 1924 ininterrottamente fino al 2010. Annie era una bambina orfana sui 10-12 anni, rappresentata da Gray con caratteristici capelli ricci rossi e gli occhi bianchi tondeggianti e privi di pupille (come anche tutti gli altri personaggi della striscia), sempre accompagnata dal cagnolino Sandy e protetta dal ricco magnate Oliver “Daddy” Warbucks, un tipico capitalista di ricchezza e influenza quasi illimitate, che difendeva l’ordine e l’ideologia borghese, paternalistico e conservatore se non reazionario e che insieme al suo braccio destro Asp e al servitore Punjab combatteva i frequenti intrighi internazionali e i complotti orditi dal cattivone di turno per rapire o nuocere ad Annie. La striscia esaltava l’etica capitalistica a stelle e striscie, dove i ricchi erano sempre buoni (sebbene gli uomini d’affari corrotti fossero descritti come furfanti), mentre i cattivi erano sempre di estrazione sociale inferiore, secondo la morale conservatrice di quell’epoca. Ma c’erano anche i magnati reali, che grazie a Roosvelt e al New Deal, dopo la depressione e la recessione degli anni precedenti erano riusciti a far risorgere l’economia, ridotta completamente a brandelli, dell’intero paese. Se ci pensate, era ovvio che fossero celebrati… a ragione o a torto. Sta di fatto che la figura del ricco industriale filantropo funzionava alla grande come alter ego della figura più oscura dei fumetti… e infatti vinse su tutti.

Batman quindi è un supereroe, ma senza poteri.

Egli in realtà, dicevamo, è Bruce Wayne, un uomo come tutti gli altri. È intelligente, è forte, è astuto, è coraggioso, ma tutte queste caratteristiche sono frutto esclusivamente di una vita di sacrifici, impegno, dedizione, allenamento. L’unico suo vantaggio è quello di essere un uomo ricco, molto ricco, e questo gli dà la possibilità innanzitutto di dedicarsi, durante l’adolescenza, pedissequamente alla sua formazione, alla sua preparazione psicofisica per la guerra che si è preposto di portare avanti negli anni a venire, senza doversi preoccupare di come tirare avanti e che poi, una volta diventato Batman (a 28 anni, dopo essere tornato dal suo viaggio iniziatico in giro per il mondo), gli permetterà di circondarsi di strumenti tecnologici di ogni tipo, utili a portare avanti la sua crociata contro il crimine, accessori quasi fantascientifici atti a supplire al suo status di “semplice” essere umano.

La sua è una missione suicida, una solitaria battaglia contro le forze del male che molto spesso lo porterà al limite delle sue capacità fisiche e mentali e che lo vedrà ottenere sempre vittorie estremamente sofferte nei confronti dei suoi terrificanti nemici. Il suo scopo è quello di vendicare i genitori, Thomas Wayne e Martha Kane, uccisi da un rapinatore quando egli era ancora piccolo, in mezzo alla strada, tra le ombre di un vicolo deserto, sotto i suoi occhi increduli e terrorizzati, dopo una bella serata passata insieme a essi al cinema (a vedere proprio Il segno di Zorro!). La sua ossessione è quella di tentare in tutti i modi di non far vivere mai più a nessun altro bambino quello che ha dovuto passare lui.

Batman è figlio del dolore, della solitudine, del rimpianto, del tormento e del senso di colpa. È un misto di rabbia sedimentata, cinismo e cieca determinazione, con un pizzico di sociopatia e di psicopatia a condire il tutto.

Un miscuglio di elementi davvero esplosivo… che avalla senza dubbio il detto “ciò che non ti abbatte, ti fortifica”!

 

I padri di Batman: Kane, Finger e gli altri

Ma chi erano i creatori di Batman?

Bob Kane (vero nome: Robert Kahn; New York, 24 ottobre 1915 – Los Angeles, 3 novembre 1998), già da giovanissimo, dopo aver frequentato varie scuole di disegno e pittura, entrò a far parte dello staff di Fiction House, studio grafico creato dalla coppia Eisner-Iger, dove cominciò a lavorare a brevi storie a fumetti per la rivista Wow, What a Magazine a partire dal settembre 1936. Dal 1938 cominciò, poi, a collaborare per la National Publications, la futura DC Comics, per la quale realizzò varie storie, molte delle quali scritte da Bill Finger. La sua carriera decollò quando propose a Vin Sullivan, supervisore capo della National, un nuovo personaggio, quel The Bat-Man che avrebbe dovuto essere in grado di ripetere il successo ottenuto da Superman. L’idea iniziale era un semplice abbozzo di un giustiziere mascherato dal costume attillato rosso e con mantello e mascherina neri, che agiva di notte, acrobatico e spericolato, pronto a combattere contro il crimine in ogni occasione.

Alla creazione del mito di The Bat-Man (come si diceva all’inizio, l’articolo era parte integrante del nome), contribuirono, in maniera pari se non superiore (e per stessa ammissione di Kane) anche il già citato sceneggiatore Bill Finger, poi l’assistente ai disegni Jerry Robinson (Trenton, 1º gennaio 1922 – New York, 7 dicembre 2011), dallo stile di disegno estremamente simile a quello del suo maestro, che negli anni a venire disegnò tantissime storie del Pipistrello, soprattutto nel periodo durante il quale Kane disegnava le strip del personaggio sui quotidiani, e ancora il supervisore Whitney Ellsworth, cui si deve la sparizione di armi da fuoco dalla cintura di Batman.

Nonostante il personaggio fosse una creazione multipla, la DC Comics decise di inserire il solo Kane come creatore di Batman, anche perché fu sua l’idea di partenza del personaggio e sua la richiesta di accredito del personaggio: in questo fu decisamente più abile e fortunato rispetto a Siegel e Shuster, che dovettero lottare per anni per vedere il loro nome anche solo parzialmente riconosciuto nelle storie dell’Uomo d’Acciaio.

 

Lo sviluppo dell’estetica di Batman

Kane non era un disegnatore eccezionale, tutt’altro, era un pessimo inchiostratore e men che meno era uno scrittore. Will Eisner, che era stato suo compagno di scuola alla DeWitt Clinton High, in un’intervista lo definisce

«un tipo assai insipido e dal talento alquanto limitato. […] Il grosso progetto al quale stava lavorando a quel tempo [N.d.r.: Eisner parla del periodo attorno al 1936, quello in cui Kane pubblicava sulla rivista Wow, What a Magazine] era una cosa chiamata Peter Pupp, un’imitazione della roba Disney. Quello era il limite delle sue capacità. Ma era molto aggressivo e aveva la pellaccia dura, quindi quale che fosse l’umiliazione che gli veniva inflitta, non l’avvertiva nemmeno».

Il suo tratto non era né preciso e né armonioso (com’era invece quello di Shuster, ad esempio), la sua pagina era semplice, poco studiata e per nulla “costruita”, i personaggi per lo più erano rappresentati in pose plastiche o in posizioni assurde e improbabili, con i volti che passavano dall’essere totalmente inespressivi all’essere esageratamente teatrali e drammatici, senza vie di mezzo. Il suo punto di forza, però, artisticamente, era la capacità di creare atmosfera nei suoi disegni. In questo era un vero maestro. Perché, nella sua staticità, il modo di disegnare di Kane ricordava molto lo stile del cinema espressionista europeo… e questa fu una particolarità rivelatasi poi vincente sia legata alla caratterizzazione del personaggio che al tenore delle storie.

Bob Kane si ritirava ufficialmente dal mondo dei fumetti nel 1965, anche se già da qualche anno aveva iniziato a diminuire la sua collaborazione allo sviluppo grafico e narrativo del suo personaggio; ma una sorta di pensione dorata si sostituì alla sua precedente occupazione: esordivano infatti in quello stesso anno le fortune del Batman televisivo, interpretato da Adam West, che lo convinse a dedicarsi attivamente al cinema. In questo senso, le sue ultime fatiche furono le consulenze per la realizzazione dei film di Tim Burton e di Joel Schumacher, in particolare per Batman e Batman Forever. Successivamente, oltre a destinare parte del suo tempo anche alla pittura, sua grande passione, iniziò a scrivere libri, articoli, e a disegnare schizzi che venivano venduti all’asta a prezzi incredibili.

Di Bill Finger (Denver, 8 febbraio 1914 – New York, 24 gennaio 1974), invece, purtroppo non abbiamo molto da dire. Sappiamo che passò la maggior parte della sua infanzia nel Bronx, il famoso quartiere di New York, ad appena pochi isolati proprio dall’abitazione del quasi coetaneo Robert Kahn. I due non si conobbero mai personalmente, in questo primo periodo, poiché Finger era di salute cagionevole e trascorreva la maggior parte del tempo chiuso in casa, probabilmente a letto, immerso nella lettura di libri e riviste scientifiche e di fantascienza, argomenti che lui prediligeva su tutti. I due futuri creatori di Batman si conobbero, anni dopo, nel 1938, a una festa, dove ebbero modo di apprezzare le reciproche qualità artistiche e di iniziare a parlare di eventuali progetti in comune. Dopo alcune collaborazioni iniziali (la serie Rusty and His Pals fu la prima in assoluto), i due arrivarono finalmente alla creazione di Batman, in quel famoso marzo del 1939.

Sotto la pressione del già citato Vincent Sullivan, Kane mise sul piatto una serie di idee, tra le quali spiccava un personaggio che, inizialmente, lui aveva chiamato Birdman. Finger perfezionò le idee di Kane, proponendo innanzitutto di cambiare il nome in Bat-Man e, di conseguenza, di trasformare il costume per renderlo più simile a quello di un pipistrello, costume che poi sarebbe rimasto praticamente immutato, salvo piccole variazioni, fino ai giorni nostri. Ideò l’identità civile di Bruce Wayne e il commissario Gordon come contraltare legale alla figura del vigilante giustiziere, ma anche la Bat-caverna, la Bat-mobile, il Bat-plano e tutta una serie di Bat-gadgets come la Bat-cintura dotata di accessori e sostanze chimiche, il mantello e i guanti. Propose inoltre di calcare la mano il più possibile sull’atmosfera pulp nelle avventure.

Il personaggio così caratterizzato venne proposto quindi alla National, che lo fece esordire con una prima storia scritta proprio da Finger e disegnata da Kane. Poiché, però, i contatti con la National erano tenuti direttamente da Kane, fu quest’ultimo ad essere considerato unico creatore del personaggio e fu anche l’unico a comparire nei credits delle storie, e questo fu la somma fortuna di Kane. Tale situazione continuò invariata fino al 1968, quando finalmente anche il lavoro degli altri autori venne giustamente accreditato loro: d’altra parte lo stile dei successori di Kane si era, con gli anni, profondamente discostato dal modello originario e, con sommo piacere di tutti, fu finalmente possibile anche ricostruire il contributo fondamentale di Finger alla creazione di uno dei miti moderni.

Finger, comunque, che nel 1940 sulle pagine di All-American Comics aveva creato insieme a Martin Nodell il personaggio di Alan Scott, la prima Lanterna Verde e, nel 1942, Wildcat con Irwin Hansen su Sensation Comics n. 1. Continuò a lavorare su Batman, creando in quel periodo sia la città di Gotham (all’inizio, infatti, l’eroe si muoveva fra i grattacieli di New York), sia il fondamentale personaggio di Robin, il Ragazzo Meraviglia, che fa la sua comparsa proprio sul primo numero della nuova testata intitolata Bat Man. Inoltre ebbe un importante ruolo nella creazione del Joker, creazione che condivide con lo stesso Kane e con Jerry Robinson. Uno dei marchi di fabbrica della produzione di Finger, in particolare durante gli anni cinquanta, sono da considerarsi i macchinari giganteschi ispirati a oggetti di uso comune: tale passione era condivisa anche da Dick Sprang, che divenne uno dei suoi più importanti collaboratori in quel periodo.

Negli anni successivi Finger lavorò anche su altri eroi, come Flash, Hawkman, Dr. Fate, e la Justice Society of America, molti dei quali nati dalla fervida immaginazione di Garden Fox, anch’egli grande sceneggiatore del Batman della golden age. Altri personaggi su cui ha lavorato sono Superman, Superboy, Wonder Woman, Atomo, gli Esploratori dell’Ignoto di Kirby, Tomahawk, mentre per la Timely (la futura Marvel) su Capitan America e sulla testata All-Winners Squad. Su Batman lavorò quasi ininterrottamente fino ai primi anni sessanta. Finger morì poco prima di compiere 60 anni, dopo una carriera passata tra i supereroi (Batman su tutti) e ottenendo, post mortem, un posto nella Will Eisner Hall of Fame e nella Jack Kirby Hall of Fame. A lui è anche intitolato il Bill Finger Award.

 

Un inciso su Robin

Vorrei tralasciare per un attimo le caratteristiche peculiari dei vari Robin che si sono avvicendati al fianco di Batman, per analizzare piuttosto la figura “primitiva” di questo character, quel primo Pettirosso che racchiude e rappresenta tutt’ora il concetto alla base del personaggio stesso.

Robin è lo sprazzo di colore in un mondo in bianco e nero. Egli rappresenta la speranza, la salvezza e la redenzione, per Batman.

Batman non può esistere senza Robin, perché Robin è la luce che riporta sempre Batman fuori dalle tenebre, altrimenti egli vi si perderebbe inesorabilmente dentro, ne sarebbe inghiottito, fagocitato. Dick Grayson, il primo Robin, insieme ad Alfred, durante i primi anni di attività e poi anche in occasioni successive (perfino nei suoi nuovi panni di Nightwing, molto tempo dopo), è colui che tiene a bada le ossessioni di Bruce, che lo fa restare coi piedi ben piantati per terra quando questi sta per partire per la tangente, che non lo fa “andare oltre” durante l’adempimento della missione. Coi suoi colori sgargianti, la sua sfrontatezza, le sue battute e il suo brio, durante gli scontri riesce a mitigare la rabbia e ad attutire la foga del suo mentore.

Senza Robin probabilmente Batman sarebbe già morto o, peggio, sarebbe già diventato quello che più odia: un assassino.

Batman ha assoluto bisogno di un Robin. E lo dimostra il fatto che ce ne sia stato più di uno, ognuno scelto con cura, addestrato e messo alla prova in maniera logorante e certosina, per essere sicuri che il “candidato” fosse all’altezza del ruolo, pesante e importante per entrambi. Il manto di Robin ha la doppia valenza di dono e fardello, nella mente di Batman: dono perché attraverso la preparazione che acquisirà il ragazzo, egli sarà sempre pronto a resistere e contrattaccare in maniera adeguata a ogni minaccia che potrà presentarsi nella sua carriera di combattente del crimine; fardello perché questo implica tutta una serie di rinunce, sacrifici e rischi che impediranno per sempre una vita normale al portatore di quella “R” appuntata sul petto.

Che poi, se ci pensiamo, tutto questo, rapportato più in piccolo e trasferito nella vita reale, è l’emblema del rapporto filiare, cioè ciò che ogni padre opera coi propri figli quando trasmette loro gli insegnamenti che saranno necessari per crescere e maturare: si donano gli strumenti per affrontare efficacemente i problemi della vita, ma per contro si tolgono la spensieratezza e l’innocenza. Niente di più, niente di meno.

 

La città di Gotham City

«Alcune città sono splendide, di notte. Gotham non è una di queste.»
(Batman – Omicidio a Villa Wayne)

Chiudiamo parlando del campo di battaglia.

Gotham City, la seconda città degli Stati Uniti d’America come importanza, ma la prima per il tasso di criminalità, è come un grande circo, uno zoo surreale popolato da figure grottesche e spaventose che si muovono tra ombre sudicie e luci pallide. E Batman ne è il custode e guardiano.

In una scena tratta da una storia del ciclo Knightfall, Bruce Wayne sentenzia a un Tim Drake stupito che egli conosca a memoria non solo tutte le strade e i vicoli di superficie, ma anche tutte le fognature, i tunnel e ogni passaggio presente nel sottosuolo, «Quando dico che questa città è mia, non lo dico solo perché ci abito». Questa frase riassume perfettamente il rapporto tra Batman e Gotham.

È opinione ormai comune che il nome della città di Batman derivi proprio dalla parola anglosassone gotham, contrazione di goat’s town, un’espressione che in inglese significa “casa/città delle capre”, inteso in senso dispregiativo, per indicare un luogo niente affatto invitante, selvaggio, abitato da persone grette e ignoranti, ma per assonanza sarebbe anche la crasi di gothic town, “città gotica”, che nell’immaginario collettivo riporta inevitabilmente a un luogo oscuro e dalle architetture inquietanti e misteriose.

In effetti queste elencate finora sono tutte le caratteristiche che contraddistinguono, fin dalle prime avventure in cui essa compare, questa incredibile città immaginaria e i suoi abitanti, anche se riguardo a questo particolare non ci sono dichiarazioni esplicite ed esplicative da parte dei due creatori o dei loro primevi collaboratori, ma soltanto alcuni interventi sparsi qua e là nelle interviste rilasciate nel corso degli anni… e ovviamente adeguatamente interpretate all’uopo dalla fantasia di successivi autori, intervistatori ed appassionati!

 

In conclusione…

Le storie di Batman, così com’erano state concepite dai suoi creatori, proseguirono incessantemente e senza particolari variazioni o scossoni fino alla metà degli anni ’50, al 1954, precisamente, fin quando cioè il mondo del fumetto non venne sconquassato dall’uragano Fredric Wertham.

Quel preciso momento fu il principio delle molte altre vite e, citando John Byrne (e Jim Aparo), delle molte morti del Batman che sarebbero state narrate negli anni a venire.

Ma questa è un’altra storia…

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