Insegnare (e fare) euromanga: intervista a Matteo Filippi
Allo scorso Romics, abbiamo incontrato Matteo Filippi, sceneggiatore di fumetti e docente alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze, per parlare del fenomeno di Manga Issho e di cosa significa fare manga in Italia.
Matteo Filippi è uno sceneggiatore di fumetti e docente alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze; dal 2020 è editor per Jundo, una casa editrice prima digitale poi anche cartacea con la quale ha pubblicato Belle Époque, graphic novel con i disegni di Lorenzo Grassi. Nel 2025 è tra gli autori della prima rivista contenitore di euromanga realizzata in contemporanea in 4 Paesi europei, da quattro differenti case editrici: Manga Issho. Ed è proprio da questa novità editoriale che inizia la nostra chiacchierata alla 34a edizione di Romics.
Matteo Cinti: Ciao Matteo, benvenuto su Dimensione Fumetto. Sei tra gli autori del primo volume di Manga Issho, come è stato l’iter che ti ha portato a essere pubblicato?
Mattero Filippi: Ero già in contatto con Star Comics per preparare delle sceneggiature per dei possibili manga in futuro. Durante i vari scambi tra di noi, a un certo punto è arrivata una richiesta specifica di storie brevi da pubblicare su questo nuovo contenitore, e quindi ho preparato una manciata di sceneggiature. Tra queste è stata scelta Arrivano le meduse. Io sono stato uno dei primi a essere selezionato come autore.
M: Come è nata l’idea di questa storia?
MF: La prima regola per me quando scrivo una sceneggiatura è che deve divertirmi. Questo non significa che non posso trattare di argomenti impegnativi, però deve essere qualcosa che mi diverte fare. Nel caso di Arrivano le meduse, volevo rievocare un’estetica anni ’70 alla Austin Powers fusa con il filone tokusatsu giapponese (tipo Kamen Rider, i Power Rangers): le meduse mi sembravano la figura più divertente da associare a un’invasione aliena, ed eccoci qui. Tra l’altro ho notato una cosa buffa: per dare dignità a questa storia e affibbiargli un tema impegnativo a tutti i costi, si è detto che parla delle differenze sociali, che c’è tutta una dietrologia… in realtà voleva essere solo una parentesi spensierata e comica! (ride)

M: Ma è una storia autoconclusiva?
MF: Sì, non avrà un seguito, come del resto quasi tutte le altre contenute in Manga Issho. Va detto infatti che molti l’hanno definito impropriamente lo “Shonen Jump italiano”, ma non lo è, dato che in Giappone le riviste contenitore pubblicano delle serie a cadenza settimanale, mentre Manga Issho è una rivista evento le cui uscite sono legate a grandi appuntamenti del mondo del fumetto in Europa. Quindi più che un contenitore di serie, è una sorta di vetrina degli autori esordienti e professionisti che vogliono fare euromanga.
M: Tu hai sceneggiato sia euromanga che graphic novel, ma poco fa hai detto che l’importante è che sia divertente per te scrivere. Significa che non hai un genere preferito?
MF: No assolutamente non ho preferenze. Dunque, io non sono uno scrittore ma uno sceneggiatore. E questo non per denigrare una o elevare l’altra ma è una differenza sostanziale che forma tutto il mio modo di lavorare: non sento l’esigenza di esprimere me attraverso una storia, ma piuttosto devo risolvere il fumetto che mi viene richiesto. Quindi parlare di preferenze per me è privo di senso in quanto lavoro quasi esclusivamente su commissione, mettendo in campo la mia parte tecnica e non personale.
Una cosa che dico sempre ai miei studenti quando sono al secondo anno, cioè quando faccio fumetto mainstream, è di non pensare di essere artisti. Ci piace dire che i fumettisti sono artisti, però per come la vedo io, in realtà il fumettista è prima di tutto un artigiano. L’arte viene se io, una volta che ho fatto il fumetto e ci ho messo tutta la mia tecnica, ci ho messo tutto quello che il mercato mi ha richiesto e ci ho messo i miei gusti, il mio stile, la mia penna, al lettore arriva l’emozione che volevo che provasse in quel momento. In quel caso per me possiamo chiamarla arte, ma quel singolo momento, non io che materialmente faccio il fumetto che invece, sempre dal mio punto di vista, è più simile all’artigianato.
M: Tu non sei solo autore ma anche insegnante di sceneggiatura: qual è l’errore che vedi più spesso fare tra i tuoi studenti aspiranti mangaka?
MF: Ecco, l’errore più grande che vedo è di regia. Mi accorgo che alcuni studenti, inconsapevolmente, si portano dietro il ritmo e la regia all’americana. Nonostante abbiano letto vari manga, quando si tratta di costruirne uno, ritorna tutto il nostro background del cinema americano che ha in qualche modo fissato uno standard su come raccontare le cose. Nel graphic novel c’è una regia tecnica focalizzata sulla storia, che è l’elemento più importante. Mentre nel manga la cosa più importante è il punto di vista del personaggio. Questo fa un’enorme differenza sulla scelta delle inquadrature delle vignette nell’uno e nell’altro caso.
Nel graphic novel in linea di massima si tende a inquadrare la scena nel suo insieme producendo un effetto più lineare, mentre nel manga è più facile trovare delle vignette che per descrivere il punto di vista del personaggio tagliano e omettono parti dell’inquadratura.
Ecco, in modo inconscio, alcuni studenti fanno fatica a distaccarsi dal quel modo di raccontare perché sono cresciuti con film e telefilm in gran parte prodotti negli Stati Uniti.

M: L’esordiente che vuole diventare fumettista deve scontrarsi con tanti pregiudizi a livello generale, ma in particolare quando vuole diventare autore di manga. Come mai?
MF: Beh la risposta è un po’ ampia perché cambia molto in base al luogo di pubblicazione. In Francia gli euromanga sono apprezzatissimi, e in Spagna addirittura è uscita già una rivista come Manga Issho da più di un anno. In Italia invece c’è ancora un po’ di diffidenza, soprattutto tra i lettori piuttosto che tra le case editrici. C’è questa considerazione banale che “i manga fateli fare ai giapponesi” sulla quale non posso essere meno d’accordo. In Italia uno dei generi musicali più ascoltati è il rap, e non è certo una corrente nata nel nostro Paese… Se imparo ad utilizzare i codici del manga perché non farlo? Oppure ancora, se imparo a utilizzare più codici di varie scuole, stili o correnti, perché non posso mischiarli tra loro creando cose nuove? La storia dell’arte è piena di esempi di questo tipo…
M: Un manga che hai nella tua libreria e dal quale non potrai separartene mai?
MF: Uno solo?! No ne ho almeno tre. Il primo è sicuramente Urusei Yatsura (Lamù) di Rumiko Takahashi: quando ero adolescente mi ha colpito tantissimo ed è stata la prima che mi ha fatto capire qual era il mio genere preferito, cioè lo shonen romantico. Nonostante ci siano diversi manga e autrici shojo che amo, raccontare i sentimenti dal punto di vista maschile mi ha sempre colpito di più di quello femminile. Poi Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco) di Masami Kurumada, un manga che considero un po’ storto ma è stato il primo che mi ha messo in contatto con un fandom: mi ha fatto capire che c’era qualcosa oltre quelle storie, e che ci riuniva in tanti.
E infine Air Gear di Oh! great: un manga di nicchia che però rappresenta esattamente come vorrei scrivere io.
M: Grazie del tuo tempo Matteo, a presto!