Gualtiero Cannarsi, nel di lui caso – Metodo

Attenzione: l’articolo si occupa del lavoro di adattamento svolto da Gualtiero Cannarsi per la società di produzione e distribuzione cinematografica Lucky Red. Le opinioni riportate in questo articolo sono personali dell’autore e non coincidono necessariamente con quelle di Dimensione Fumetto.

Si specifica inoltre che le critiche sono intese solo con finalità costruttive e riferite solo all’attività professionale di adattamento: in nessun caso si vuole attaccare a livello personale Gualtiero Cannarsi, che l’autore dell’articolo non conosce personalmente.

Coloro che sono interessati a commentare l’articolo sono gentilmente invitati a farlo qui sulla pagina di Dimensione Fumetto e non su social o forum esterni, così da poter istituire un dialogo costruttivo: lo scopo dell’articolo non è e non vuole essere un’aggressione né all’operato né tantomeno alla persona di Cannarsi, ma un tentativo di ragionamento informato sul lavoro svolto.

L’autore è a completa disposizione per discutere eventuali correzioni e rettifiche al testo.


Nota introduttiva sulla lingua giapponese

Il presente articolo contiene parole giapponesi che sono state traslitterate sempre nel seguente ordine: scrittura originale, pronuncia in corsivo (secondo il sistema Hepburn modificato), e significato in italiano fra virgolette. Ad esempio:

ko “bambino”

Gli ideogrammi giapponesi presentano svariate pronunce in base al contesto: ad esempio, l’ideogrammasi può leggere ko, shi, su, tsu, , ne o in altri modi ancora in base al contesto. Per semplicità e scorrevolezza di lettura, e senza alcuna pretesa di completezza grammaticale, in questo articolo si è preferito di volta in volta usare solo le pronunce pertinenti al contesto.

Lo stesso metodo è stato applicato anche ai significati. Gli ideogrammi giapponesi possono avere più sfumature di senso o anche significati a volte molto variabili in base al contesto: per esempio, l’ideogrammapuò significare “bambino”, “figlio”, “piccolo”, “pallina”, “particella atomica”, “Topo dello zodiaco cinese”, “nord”, “novembre”, “dalle ore 23 alle ore 1 di notte” o altro ancora in base al contesto. Per semplicità e scorrevolezza di lettura, e senza alcuna pretesa di completezza lessicale, in questo articolo si è preferito di volta in volta usare solo i significati pertinenti al contesto.


Nota introduttiva sull’autore

L’autore dell’articolo è di madrelingua italiana e non laureato in lingua giapponese. Nonostante ciò, la possibilità di vivere in Giappone da diversi anni ha contribuito alla redazione di questo articolo. Le informazioni presenti sono state tutte sottoposte all’opinione di almeno cinque madrelingua contattati separatamente, fra cui il professor Takuya Sakamoto (insegnante di lingua giapponese presso la scuola superiore privata Istituto Meisei di Okayama) e il dottor Kōji Taniguchi, ricercatore e storiografo del periodo Edo presso il Centro per lo scambio internazionale di Okayama. L’autore desidera ringraziare personalmente le persone coinvolte nella scrittura di questo articolo.


Tutte le citazioni sia scritte sia parlate sono state rigorosamente riportate senza alterazioni.


[ Introduzione • Metodo • Titoli • Dialoghi • Canzoni | Reazioni ]

Gualtiero Cannarsi ha delle idee tutte sue su come si debba fare l’adattamento del copione di un’opera filmica, e le ha spesso dichiarate in pubblico tramite il forum del sito Studio Ghibli Italian Fan Site e nelle sue varie interviste scritte e vocali. Una di queste, ovvero quella concessa nel 2014 al critico cinematografico Aldo Fresia nella puntata 71 del podcast Ricciotto è forse la più significativa in assoluto, in quanto Cannarsi vi esprime nella maniera più chiara e completa il suo metodo di lavoro.

L’intervista è un capolavoro di soggettivismo al massimo livello, presentato con un linguaggio da piazzista che Cannarsi ha raffinato negli anni a forza di ripetere sempre le stesse identiche parole.

Tralasciando altre introduzioni e glissando sull’annoso dibattito iniziale tra Fresia e Cannarsi sulla pronuncia di /Studio Ghibli/ o /Stajio Jiburi/ (che fra l’altro Cannarsi sbaglia, dato che “studio” si pronuncia /stajio/ e non /stadio/ come dice lui), ecco di seguito una selezione di alcuni dei passaggi più significativi dell’intervista.

Fotogramma introduttivo di ogni film dello Studio Ghibli.
Su-ta-ji-o-ji-bu-ri-saku-hin, ovvero: “Un’opera dello Studio Ghibli”.

 

La versione di Cannarsi

Aldo Fresia – Io tendo a dire Miyazaki Hayao, mentre il mio collega Matteo Scandolin tende a dire Hayao Miyazaki: chi ha ragione dei due?

Gualtiero Cannarsi – Hai assolutamente ragione tu, nel senso in cui (questa è la mia posizione intellettuale) proprio noi che siamo italiani e siamo discendenti della cultura romana dovremo [sic] ben sapere che l’ordine delle parti di un nome è parte costitutiva del nome stesso, e l’ordine delle parti del nome giapponese è cognome-nome, quindi Miyazaki Hayao. Ahimè, duole spiegare che se anche noi in Italia, soprattutto a livello di mercato, perché se poi andiamo nell’ambiente accademico, per esempio a Ca’ Foscari a Venezia piuttosto che nei libri di letteratura giapponese, troveremo sempre cognome-nome, l’ordine corretto, ma nel mercato spesso si utilizza nome e cognome perché, ahimè, spesse volte per noi il Giappone arriva dall’Atlantico, ovvero passando dall’America.

Chiudiamo un occhio sugli errorini che capitano parlando e anche sul “piuttosto che” in senso disgiuntivo, concentrandoci sulla questione dell’ordine del nome e cognome. Quello che dice Cannarsi è un mix di informazioni corrette e scorrette, una tipica tecnica da piazzista per dare all’ascoltatore l’impressione che, se una delle cose che si dicono è vera, allora sarà vero anche il resto.

In effetti citare gli antichi romani non è del tutto peregrino, poiché i giapponesi mettono tuttora prima il cognome per gli stessi motivi dei latini, ovvero intendendo le famiglie come gens, clan militari in cui è comune entrare per adozione, ma i latini comunque mettevano il prænomen prima del nomen, mentre invece i giapponesi fanno l’inverso. I latini scrivevano infatti Marcus Vipsanius Agrippa (prima il nome) mentre i giapponesi scrivono Tokugawa Ieyasu (prima il cognome). In pratica: il confronto coi latini non regge.

L’ordine cognome-nome usato dai giapponesi (e dagli asiatici in generale) dipende da specifici motivi grammaticali. Se oggi è comune dire Kitano Takeshi, secoli fa avremmo dovuto dire Kitano no Takeshi usando la particella no che in questo caso indica il complemento di specificazione, ovvero: “Takeshi (appartenente al clan) dei Kitano”, per sangue o per adozione che sia. Col tempo la particella no è stata rimossa e i cognomi in senso occidentale sono arrivati solo dopo il 1868.

È vero anche che in ambiente accademico si usa l’ordine cognome-nome, ma è perché lì si studiano i testi in lingua originale, il che spinge i grandi traduttori a scegliere quest’ordine, come fa Antonietta Pastore per Murakami Haruki. Fuori dall’ambito accademico però non c’è affatto unanimità sull’ordine “giusto” in traduzione: ad esempio, alcune case editrici usano cognome-nome (come Marsilio e Adelphi) mentre altre nome-cognome (come Mondadori e Bompiani).

Infine, ci sono le regole grammaticali che i giapponesi stessi imparano a scuola, e fin dal succitato 1868 tutti i bambini giapponesi sanno benissimo che in Oriente si usa l’ordine cognome-nome mentre in Occidente si usa nome-cognome, e questa è la regola anche quando scrivono il proprio nome in caratteri latini (a parte per i nati prima del 1868, quindi per esempio Oda Nobunaga si scrive sempre e comunque cognome-nome). Per esempio, il compositore Ryūichi Sakamoto si fa chiamare sempre e solo Sakamoto Ryūichi in Oriente, e sempre e solo Ryuichi Sakamoto in Occidente (rimuovendo il segno macron sulla “ū” per semplicità di scrittura). Le eccezioni sono rarissime, solitamente artisti, e neanche sempre: fra i cantanti giapponesi, per esempio, Hoshino Gen pretende la grafia cognome-nome anche in caratteri latini, mentre invece Kaela Kimura pretende la grafia nome-cognome, e dopo aver usato per oltre 20 anni la grafia cognome-nome, la cantante Utada Hikaru ha recentemente cambiato in maniera ufficiale il suo nome d’arte in Hikaru Utada, nome-cognome. Allo stesso modo gli stranieri residenti in Giappone vengono solitamente chiamati con l’ordine cognome-nome, mentre invece per i turisti non residenti come pure attori e musicisti stranieri (il cui nome ha un valore di “marchio”) si usa l’ordine nome-cognome.

Per semplificare: in lingue asiatiche sempre cognome-nome, in lingue europee sempre nome-cognome (a parte per i nati prima del 1868 o per specifiche richieste).

Quindi, per rispondere alla domanda di Aldo Fresia: ha ragione Matteo Scandolin e ha torto Gualtiero Cannarsi, perché finché si sta parlando in italiano si usano le regole dell’italiano, e così vogliono i giapponesi stessi.

 

La lunga storia della Principessa Mononoke

Fresia – Raccontaci qual è l’approccio che hai avuto con [il ridoppiaggio di] Principessa Mononoke.

Cannarsi – Dunque, nel fare questo racconto vorrei soprattutto mettere in chiaro che per me è fondamentale distinguere i fatti dalle opinioni, nel senso che i fatti sono quelli obiettivi e le opinioni sono quelle soggettive. Diciamo, è mio sforzo fare questo, correggimi quando fossi poco chiaro in questa distinzione!

Ennesima tecnica da piazzista: iniziare un discorso mettendo le mani avanti con una innegabile nozione lapalissiana per dare l’impressione di essere nel giusto e preparare il campo per poter poi dire delle sciocchezze. Ciliegina sulla torta: la battutina finale per coinvolgere bonariamente l’ascoltatore.

La nuova traduzione, operata da un traduttore di madrelingua con cui io sempre collaboro, e il nuovo adattamento da me operato sulla base di quella traduzione per Mononoke hime, sono state espressamente basate sul testo originale giapponese.

Forse quel «sempre» è un’iperbole per dire “ogni volta che mi è possibile”, dato che Cannarsi effettivamente lavora con i fratelli bimadrelingua Elisa e Giorgio Nardoni-Sato (o più probabilmente Satō) fin dai tempi di Neon Genesis Evangelion, sì, ma nella sua carriera è comunque ricorso anche a molti altri traduttori non madrelingua. La questione è comunque praticamente irrilevante, dato che i problemi sono nell’adattamento e non nella traduzione.

È mia ferma convinzione che le opere che noi operatori di settore siamo chiamati a tradurre, siano essi libri, film, telefilm, cartoni animati, quel che sia, è mia ferma convinzione che queste opere esistano e siano “perfette” nel senso di “compiute” nella loro lingua d’origine. Nel momento in cui si opera una localizzazione, l’unico referente obiettivo, assoluto è l’originale. Indi per cui io non andrò a fare un processo alle intenzioni del precedente adattamento: ciò che è “fatto” è che il precedente adattamento stravolgeva e inventava un 75-80% delle battute del film. Questo è un fatto. E per quanto riguarda il livello di stravolgimento, era l’invenzione più totale, nel senso, non stiamo parlando della variazione semantica che ci può essere tra due sinonimi: stiamo parlando che se nel finale del film il bonzo Jiko dice «Aaah, mi arrendo, mi arrendo, non si può vincere contro gli stupidi!», nella precedente versione il bonzo Jiko diceva «Questa volta la natura ha vinto!», che è tutto diverso nella forma, nel contenuto, nel significato ultimo, e questo livello di stravolgimento non afferiva soltanto alla battuta finale che viene spesso citata, afferiva a tutto il testo. Questo è ancora una volta un fatto, non è un’opinione.

Altra tecnica: allungare il brodo in maniera estenuante (nonostante i «Sì, ok…» di sprone di Fresia) continuando a ripetere cose fondamentalmente corrette e condivisibili per dare all’ascoltatore l’impressione di star ascoltando un discorso di buon senso. L’impressione, appunto.

Quando però si parla del cosa piace di più, allora si scende nel campo delle opinioni. La mia personale visione della cosa è che benché tutte le persone vogliano spesso ritenersi dotate di un obiettivo spirito critico di fronte alla realtà, in realtà credo che il gusto umano sia molto molto molto influenzato dall’abitudine, e credo che questo valga per tutto, dai sapori a cui siamo abituati… A volte ho la sensazione che, quando si parla di intrattenimento, la prima volta che noi ci approcciamo a una qualsiasi cosa che ci piaccia, essa metta come una bandierina in un’area del nostro cervello [ride], non so, per imprimergli una sorta di conquista, e quella sia l’abitudine costituita, per cui noi esseri umani facciamo molta fatica a staccarci. E questa cosa per me è difficile da capire perché io sono una persona forse freddamente logica, quindi per me giusto è giusto, sbagliato è sbagliato dal punto di vista obiettivo dei fatti, e lì finisce. Nel mio caso, se mi trovo a rendermi conto che una cosa che mi piaceva era sbagliata, in un secondo la butto via e la dimentico e la sovrascrivo con quella giusta.

Quanto ancora la vuole fare lunga prima di parlare della lavorazione di Principessa Mononoke, che era la domanda iniziale? Dato che anche Fresia non vede nessuna risposta né tantomeno una via d’uscita da questo ragionamento circonvoluto, interviene per spezzare il discorso:

Fresia – Fatto salvo questo aspetto che l’opera di traduzione non può inventarsi delle cose, e fin qui ci siamo, però traduttori e adattatori si trovano comunque di fronte a un problema tipicamente, cioè la resa in una lingua diversa, e dunque un problema di “possibile tradimento”. Ti faccio un esempio giusto per capire una cosa che mi è venuta in mente quando guardavo la nuova versione di Principessa Mononoke e magari andiamo in quella direzione. C’è un momento in cui Ashitaka, dopo aver ucciso il demone cinghiale, sente quello che la vecchia capa del villaggio ha da dire sul suo destino; in quel momento uno dei vecchietti presenti nota che in fondo Ashitaka si era semplicemente limitato a “difendere” le bambine. Lì è stato utilizzato il termine “pulzelle”, mentre io appena ho sentito “pulzelle” nel mio cervello mi sono detto: «Capisco perché, ritengo che la lingua utilizzata originariamente da Miyazaki fosse aulica, però forse avrei preferito “fanciulle”».

Cannarsi – Ti ringrazio innanzitutto per aver seguito con tanta attenzione il testo, è una cosa meravigliosa che in qualche modo dà ragion d’essere al lavoro che un traduttore fa, quindi ti ringrazio. In secondo luogo ti ringrazio per la domanda puntuale, perché mi dà occasione di spiegare un caso che credo sia ben rappresentativo di un intero modo di lavoro.

I giapponesi dicono goma wo suru (“frantumare il sesamo”) per dire “blandire eccessivamente, compiacere con parole gentili, riempire di lusinghe”. Ecco, Cannarsi lo fa praticamente a ogni intervista. Tecnica da piazzista.

Nella particolare scena che tu stai citando ci troviamo nella capanna di un immaginario villaggio Emishi che Miyazaki ha immaginato essere sopravvissuto nascosto fra le montagne del nord-ovest giapponese fino alla fine dell’epoca Muromachi, e quindi stiamo parlando circa del 1480 o giù di lì.

Veramente l’epoca Muromachi è finita un secolo dopo, ma forse è solo un lapsus.

Ovviamente è una fantasia di Miyazaki, perché gli Emishi sono una stirpe che appartiene alla preistoria del Giappone, non c’erano in quegli anni, erano già stati estinti. Gli Emishi appartengono all’epoca Jōmon, stiamo parlando di 3’000 anni fa.

Segue lezioncina sugli Emishi (che erano una tribù e non «una stirpe»), argomento che Cannarsi dovrebbe ripassare perché la preistoria giapponese non combacia con la preistoria occidentale, e la prima non è affatto così remota come la seconda. Mentre i Sumeri erano stanziali e avevano la scrittura già dal 3000 avanti Cristo, il primissimo testo giapponese conosciuto è il Kojiki del 712 dopo Cristo, scritto quando finalmente la popolazione smise di essere nomade e si stanziò nella prima capitale stabile, Nara, concludendo la preistoria giapponese nell’VIII secolo, ovvero mentre l’Europa era già in pieno Medioevo.

Gli Emishi non «appartengono» al periodo Jōmon, al massimo si può dire che c’erano già fin dal periodo Jōmon (che comunque si è concluso nel III secolo a.C., non è così arcaico come la preistoria occidentale), e nelle epoche successive non erano affatto «già stati estinti» (da chi, da un meteorite? Forse voleva dire “si erano estinti”?) perché sono storicamente documentati ancora fino al IX secolo. Nei secoli successivi gli Emishi non sono scomparsi di colpo, bensì si sono pian piano allontanati dall’antropizzato Yamato per ritirarsi verso il selvaggio nord del Giappone fino a stanziarsi lì e a fondersi con la popolazione Ainu, autoctona dell’Hokkaidō: ancora oggi se ne ritrovano tracce genetiche nella popolazione giapponese settentrionale, e questo è un fatto. Se dal IX secolo in poi si sono perse le loro tracce nelle fonti scritte non è perché gli Emishi sono scomparsi di colpo, ma perché loro erano analfabeti e quindi non hanno lasciato documenti, mentre i giapponesi alfabetizzati di Yamato hanno smesso di scrivere di un popolo che non conoscevano più: in altre parole, sono scomparsi dai documenti, ma esistevano ancora.

Dettaglio di un rotolo dipinto rappresentante degli Emishi che riveriscono il Principe Shoutoku.
Dettaglio di un rotolo dipinto rappresentante degli Emishi che riveriscono il Principe Shōtoku: la sola rappresentazione iconografica è sufficiente a mostrare che evidentemente i giapponesi civilizzati del sud vedevano queste popolazioni del nord come barbariche e incivili.

In pratica, anche se l’ambientazione del film è effettivamente inventata, un remoto villaggio di una tribù Emishi rimasto nelle montagne settentrionali del Giappone nel XV secolo non è una cosa poi così improbabile (d’altronde basti pensare che ancora oggi, dopo millenni, ci sono tracce di antiche colonie greche nel sud Italia), e infatti non è quello l’elemento fantasy del film: quello che è davvero «una fantasia di Miyazaki» è il mix di culture rappresentato da edifici, abiti, oggetti e stili di vita del villaggio degli Emishi, che citano dichiaratamente elementi tibetani e thailandesi lontani nello spazio, con altri del periodo Jōmon lontani nel tempo, e questo è un fatto.

Fotogramma da "Principessa Mononoke" di Hayao Miyazaki.
La ciotola inusualmente concava di Ashitaka non appartiene a nessuna specifica tradizione artigianale giapponese.

Cannarsi però pare ignorare tutto ciò, perché è troppo concentrato sulla sua interpretazione personale della «grande favola [sic] che Miyazaki ha messo in scena» in cui «Ashitaka rappresenta il buon selvaggio di una civiltà precedente» che, secondo lui, era così remota nello spazio e nel tempo da non poter essere uno scenario plausibile nel 1480 circa: no, non è così, e questo è un fatto.

Detto questo, solo nella battuta che tu hai citato, per dire “pulzella”, come io ho reso, viene utilizzato il termine otome. Più avanti Ashitaka stesso utilizzerà il termine shōjo, che io ho tradotto come “fanciulla”, e in generale per dire “ragazza” verranno utilizzati termini più comuni, musume e ko. Il termine otome, che viene utilizzato da un adulto Emishi, è proprio un termine che rimanda un po’ alla letteratura classica giapponese, tipo alle pulzelle che dovevano essere sacrificate al demone Yamata-no-orochi, le vergini che andavano in sacrificio, subito c’è quest’aura, no?, e penso che tutto quel momento nel villaggio Emishi immaginato da Miyazaki sia stato un po’ caratterizzato nell’originale da questa [sic] arcaismo.

Ma come «penso che»? Prima spende tantissimo tempo a ripetere che lui distingue nettamente fra «fatti e opinioni», e poi ammette tranquillamente che lui stesso si basa sulle sue personalissime opinioni? Cosa l’ha detto a fare, allora? Certo, la precedente versione di Principessa Mononoke era stata largamente inventata, ma almeno i precedenti adattatori non avevano vantato alcuna pretesa di fedeltà come invece fa Cannarsi, che prima sbandiera che «l’unico referente obiettivo, assoluto è l’originale», e poi lo interpreta come pare a lui.

Come al suo solito, per portare avanti le sue teorie Cannarsi racconta un mix di verità e bugie intrecciate, mischiate con paroloni e concetti dotti, così che l’ascoltatore non esperto non riesce a capire dove finisce “il fatto” e dove inizia “l’opinione”. Ad esempio, la leggenda del demone, o meglio del mostro Yamata-no-orochi che si ciba di vergini è vera, sì, ma è narrata proprio nel succitato Kojiki, letteratura epica concepita nella corte imperiale di Yamato, e non appartiene affatto alla tradizione culturale degli Emishi, che erano un gruppo etnico diverso con una lingua diversa: a nessun illetterato analfabeta «adulto Emishi» sarebbe mai venuto in mente di citare un termine volontariamente evocativo di un mondo culturale che non conosceva nella maniera più assoluta. Questa è completamente un’opinione personale di Cannarsi non suffragata da niente di niente e, invece, smentita sotto ogni punto di vista.

 

L’affaire “pulzelle”

Fotogramma da "Principessa Mononoke" di Hayao Miyazaki.
Le tre “pulzelle”.

Sull’uso del termine “pulzelle” poi si apre un discorso semantico enorme.

Spiegazione breve: è la parola sbagliata nel posto sbagliato.

Spiegazione lunga: Cannarsi ha ragione quando dice che personaggi diversi usano sinonimi diversi per indicare le bambine, fra cui i citati otome, shōjo, musume e ko, ma il punto è quando e come li usano. Il giapponese è una lingua che ha dei livelli di formalità “verticali”, a caste militari, mentre invece l’italiano ha livelli di formalità “orizzontali”, a distanza sociale. Questo vuol dire che, mentre in italiano formale o informale si sceglie un tono più o meno cortese e il tu/lei/voi/loro, in giapponese invece si modifica il registro in maniera consistente in base al contesto, al punto da cambiare parole e grammatica in base al parlante che si ha di fronte. I citati sinonimi otome, shōjo, musume e ko sono parole di livelli formali progressivamente più bassi nonostante indichino tutti la medesima cosa: “bambina (sottinteso, vergine)”. Non sono assolutamente parole auliche e e fanno parte tutt’oggi della lingua quotidiana giapponese.

Fin qua Cannarsi ha perfettamente ragione, ma il punto è: quanti sinonimi ha l’italiano per indicare il concetto di “bambina (sottinteso, vergine)”? Numerosi: “bimba”, “figlia”, “figliola”, “piccola”, “piccina”, “ragazzina”, “giovinetta”, “fanciulla” per citare solo i più usati, per non parlare delle varianti gentili, offensive, specifiche o tecniche come “creatura”, “marmocchia”, “mocciosa”, “prole”, “infante”, “pargola”, “vergine”, “pulzella”, “madamigella” e altre ancora.

Ora, di tutte le parole possibili fra sole quattro varianti richieste dalla sceneggiatura, perché Cannarsi ha scelto proprio “pulzella”? Si tratta di una parola estremamente caratterizzata nel tempo e nello spazio che è diventata paradigma automatico e attributo lessicale di uno specifico personaggio storico preciso, ovvero Giovanna d’Arco, la Pulzella d’Orléans. La parola è così celebre da essere arrivata anche in Giappone, dove hanno intitolato La Pucelle un videogioco di ruolo ispirato all’immaginario cattolico francese.

È possibile che fra tutte le parole a disposizione Cannarsi abbia dovuto scegliere proprio la più sconsigliabile perché univocamente caratterizzata? Non ci sarebbe stato alcun problema ad adattare ko, musume, shōjo e otome, parole di uso comune e non auliche, rispettivamente con “bimba”, “figlia”, “bambina” e “fanciulla” (traduzioni letterali), o volendo in quest’ultimo caso anche “vergine” che è corretto, non caratterizzato e rimanda in maniera non forzosa (se lo cogli è meglio, se non lo cogli va bene lo stesso) al ruolo di sacerdotesse ricoperto dalle vergini nelle religioni animistiche giapponesi (ad esempio, nello shintoismo sono le miko), del tutto simili alle antiche vestali latine.

Invece no, Cannarsi sceglie “pulzella” perché a lui e solo a lui ricorda le vergini di una leggenda che non c’entra niente con gli Emishi, infischiandosene del fatto che invece la stragrande maggioranza delle persone del mondo troverà disturbante quella parola in quel contesto perché ricorda inequivocabilmente una persona totalmente lontana nello spazio e nel tempo come Giovanna d’Arco, e questo è un fatto.

 

Razzle Dazzle

Nonostante le opinabili scelte linguistiche, però, la più grande truffa messa in piedi da Cannarsi ai danni degli spettatori è quella di aver fatto credere che la lingua di Miyazaki sia aulica, distogliendo di fatto dai veri problemi. Lo credeva anche Fresia, supponendo in buona fede che la scelta linguistica sia stata dettata dall’originale, ma non c’è niente di più falso.

La stessa battuta che contiene la parola “pulzella”, che Cannarsi rende come «Ashitaka proteggeva il villaggio, stava proteggendo le pulzelle», in lingua originale non aveva nulla di aulico o elegante, anzi: アシタカは村を守り、乙女らを守ったのですぞ Ashitaka wa mura wo mamori, otomera wo mamotta no desu zo è giapponese molto colloquiale, come svelato senza possibile ombra di dubbio dall’uso della particella ら -ra per mettere al plurale le fanciulle e da ぞ zo che è una di quelle esclamazioni della lingua giapponese che non hanno un significato vero e proprio, ma servono a qualificare il tono della frase e del parlante. Ce ne sono molte e di nuovo dipendono dal sistema sociale verticale giapponese: わ wa è considerato linguaggio femminile e dà un tocco altolocato e gentile alla frase, よ yo è assimilabile al linguaggio giovanile informale e chiude la frase con decisione, ね ne (Giappone Est) e な na (Giappone Ovest) chiedono conferma di qualcosa, ぞ zo è considerato linguaggio maschile e serve a dare un tono forte, virile, perentorio se non addirittura arrabbiato a quello che si dice, eccetera; a queste e altre esclamazioni si aggiungono poi le varianti regionali nonché gli usi composti, come fa Cutie Honey che alla fine della storica sigla anni ’70 proclama 変わるわよ! Kawaru wa yo! (“Mi trasformo!”), mettendo subito in chiaro che è una donna ed è sicura di sé.

L’uso del suffisso zo evidenzia oltre ogni ragionevole dubbio il registro informale del parlante: ad esempio, 行く iku vuol dire semplicemente “Andare”, ma 行くぞ iku zo vuol dire più o meno “Ehi, andiamo!”. Infatti, il vecchietto nell’aula del tempio (perché non è affatto una «capanna», e il fatto di essere identico al celebre Tempio Sanbutsu-ji nonché la specifica di Miyazaki stesso nella sceneggiatura non lasciano dubbi, e questo è un fatto) non sta amabilmente discutendo, ma è allarmato per il povero Ashitaka che rischia la morte nonostante abbia salvato le otomera, e quindi mette un bel zo rafforzativo alla fine della frase.

Confronto fra il padiglione Nageiredou del tempio Sanbutsuji e il tempio del villaggio degli Emishi in "Principessa Mononoke" di Hayao Miyazaki.
A sinistra: il Nageire-dō del Tempio Sanbutsu-ji a Tottori, un padiglione costruito in un incavo della parete montana su alti pilastri appoggiati direttamente sulla nuda roccia, proprio come il tempio del villaggio degli Emishi in Principessa Mononoke (a destra).

Per finire, un tentativo di analisi logica della battuta originale:

  • アシタカは Ashitaka wa “Ashitaka + (particella che indica il tema della frase)”
  • 村を mura wo “il villaggio + (particella che indica il complemento oggetto)”
  • 守り mamori “protegge/proteggeva e…”; il verbo tronco mamori indica che la frase non è ancora finita
  • 乙女らを otomera wo “la vergine + (particella che indica moltitudine, in questo caso indica il plurale) + (particella che indica il complemento oggetto)”
  • 守った mamotta “proteggeva/ha protetto”; chiarifica anche il tempo del verbo precedente
  • のです no desu “(particella che in questo caso indica il complemento di causa)”
  • zo “(particella rafforzativa)”

Ovvero: “È perché Ashitaka stava proteggendo il villaggio, stava proteggendo le vergini!” (con tono irato). Fedele, fedelissimo, ultrafedele, letterale.

Ecco che quindi l’adattamento di Cannarsi non ha alcun senso oggettivo ed è sbagliato sotto il profilo culturale, lessicale e logico, e questo è un fatto.

 

Il tabellone

Ma la parte più perplimente del lavoro di Cannarsi viene annunciata nella dichiarazione seguente, da lui pronunciata con tono quanto mai gioviale:

Cannarsi – Io quando faccio una traduzione faccio un grande tabellone di tutte le occorrenze di tutti i termini di tutto il testo. La mia idea di traduzione è che ogni variazione deve essere rispettata e ogni permanenza deve essere rispettata, quindi all’interno di questo film se solo Ashitaka dice shōjo solo lui dirà “fanciulla”, se il vecchio Emishi dice otome non potrà essere “fanciulla”, perché “fanciulla” è shōjo. C’è una variazione e io debbo rispettarla. Parimenti, se fosse lo stesso termine, avrei utilizzato lo stesso termine in italiano.

Qua il ragionamento si fa estremamente complesso e opinabile, suscettibile a mille pareri e variazioni: esattamente quello che non fa Cannarsi, preferendo affidarsi alla certezza matematica che è sufficiente isolare un certo termine A nella lingua di partenza e attribuirgli un certo termine A’ nella lingua di destinazione, usare sempre quello, e il gioco è fatto.

Ma le lingue non seguono le regole della matematica.

Nonostante il metodo presenti dei pregi, in particolare evidenzia molto bene l’uso di parole ricorrenti e non ricorrenti per poter dare loro maggiore o minor risalto, questi si scontrano con un mare di difetti fra cui uno grande, enorme, insormontabile: se si traduce invariabilmente parola-per-parola A-A’, allora qual è la differenza fra Cannarsi e il traduttore di Google?

Chiunque abbia mai tradotto una qualunque frase da una qualunque lingua a un’altra saprà perfettamente che le traduzioni verbum pro verbo, parola-per-parola, sono quanto di più sbagliato si possa fare: è inequivocabilmente dimostrato non solo per le conversazioni della vita quotidiana, ma anche per i saggi scientifici o per l’interpretariato politico, che pure presentano parole tecniche che a rigor di logica potrebbero sembrare traducibili A-A’ senza danno. Ovviamente non è così, e in linguistica la pratica è ampiamente disprezzata dai professionisti del settore, ma d’altronde Cannarsi non è un professionista del settore e quindi si permette di fare come gli pare.

 

La filosofia del baka

A riprova di quanto scritto, apriamo una parentesi dall’intervista a Ricciotto per riportare uno stralcio di conversazione dal forum del sito Studio Ghibli Italian Fan Site. A un utente che gli proponeva una lettura filosofica del termine giapponese baka, Cannarsi risponde:

Il tuo ‘ragionamento’ (sragionamento) sembra uno sketch di Zuzzurro, davvero. È spaventoso.

Già che c’è si permette anche di dare lezioni di giapponese:

‘Baka’ significa stupido. Sarebbe etimologicamente “uno che non riesce a distinguere un cavallo da un cervo”. ^^ […] ‘Baka’ vuol dire ‘stupido’. Ogni concetto ulteriore è indebito. Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.

Ecco che il baka univoco di Cannarsi ci dà la prova provata che il metodo del tabellone non funziona: baka infatti è una parola che si presta ottimamente a molteplici traduzioni e molteplici interpretazioni filosofiche.

Come al solito Cannarsi mischia fatti e opinioni. La versione «uno che non riesce a distinguere un cavallo da un cervo» non è l’unica etimologia esistente, perché la parola non è di origine giapponese, ma cinese se non addirittura sanscrita, e i giapponesi importandola foneticamente nel proprio dizionario le hanno attribuito degli ateji, cioè degli ideogrammi scelti non per il senso, ma per il suono. Per la parola baka di ateji ne esistono almeno cinque, ovvero 馬鹿, 莫迦, 母嫁, 馬嫁 e 破家, tutti con la stessa pronuncia baka, e solo il primo è quello con gli ideogrammi 馬 uma “cavallo” e 鹿 shika “cervo” che insieme si leggono baka. La storia del cavallo e del cervo quindi è solo una delle varie etimologie (in parte o del tutto inventate a posteriori dai giapponesi), perché anche gli altri quattro ateji hanno altre coppie di ideogrammi che forniscono etimologie differenti.

Fra l’altro, la versione di Cannarsi è sbagliata. La storiella a cui si riferisce è quella del ministro Zhào Gāo, un personaggio dispotico che per testare la fedeltà dei suoi sottoposti mostrò loro un cervo dicendo che era un cavallo: molti gli diedero ragione temendo ritorsioni violente, solo alcuni ebbero il coraggio di dire che in realtà era un cervo (e furono giustiziati). Il concetto di essere baka non è quindi quello di «uno che non riesce a distinguere un cavallo da un cervo», anzi è l’esatto contrario: è riuscire perfettamente a distinguere una cosa dall’altra, ma nonostante ciò non dirlo, dimostrandosi quindi vili, o soggiogati al potere altrui, o non svegli. In pratica, un baka è uno che lo stupido lo fa apposta. Per fare un parallelismo con l’italiano, si potrebbe dire che un baka è “chi fa lo scemo”; anche un omertoso volendo potrebbe essere quello che i giapponesi chiamano baka perché sa la verità, ma la tace. Una persona sciocca di natura non è baka, bensì è 間抜け manuke o 頓馬 tonma (offensivi), oppure 惚け boke o 可哀想 kawaisō, che sono più simili rispettivamente ai nostri “tonto, grullo, picchiatello” e “poverino”.

Immagine da "Asaki yumemishi" di Waki Yamato.
La parola baka scritta con gli ideogrammi di “cavallo” e “cervo” apparve per la prima volta nel romanzo Genji monogatari di Murasaki Shikibu, scrittrice che, come Dante per l’italiano o Shakespeare per l’inglese, ha ideato tantissime parole nuove e ha fortemente condizionato la sua lingua. Fra il 1979 e il 1993 il romanzo è stato adattato in uno splendido fumetto intitolato Asaki yumemishi di eccezionale ricercatezza storica e cura estetica realizzato da Waki Yamato, autrice famosa in Italia per Una ragazza alla moda.

Inoltre la parola baka non ha solo molte interpretazioni e molte sfumature, ma ha anche molti significati: c’è “persona (che fa la) stupida”, certo, ma anche “sciocchezza”, “faccenda irrilevante”, “persona ossessionata (da qualcosa)”, “stoicismo”, “corretto”, quando è usato in combinazione “eccessivamente” (ad esempio bakamajime, “eccessivamente serio”, che è anche lo slogan delle Poste giapponesi), ed è persino un tipo di vongola.

Ora, a parte la vongola baka che difficilmente capiterà in una sceneggiatura, non c’è alcun motivo di escludere a priori che Miyazaki non possa usare la parola baka con diverse accezioni nell’arco dello stesso film, ma con una traduzione forzatamente A-A’ queste si perderebbero perché diventerebbero tutte un monotono “stupido”. Non ci si può nemmeno aspettare che il pubblico capisca in automatico l’uso giapponese delle varianti, perché con la regola del tabellone bakamajime andrebbe tradotto “stupidamente serio”, che non ha affatto lo stesso significato di “eccessivamente serio”.

Di fronte all’esempio di una parola perfettamente quotidiana ma ricca di varianti come baka si pongono quindi tre possibilità:

  1. Cannarsi non è conscio di queste problematiche e le ignora involontariamente;
  2. Cannarsi è conscio di queste problematiche e le ignora volontariamente;
  3. Cannarsi è conscio di queste problematiche e non le ignora affatto, ma mente volontariamente al suo pubblico affermando di usare il metodo del tabellone che invece o non usa affatto o, peggio, a volte sì e a volte no.

Per i motivi che verranno esposti nel quarto articolo di questa serie, ovvero quello dedicato ai dialoghi, l’autore di questo articolo tende a credere che la terza possibilità sia quella reale.

 

Arc., lett., ant.

Torniamo all’intervista su Ricciotto con la parte forse in assoluto più significativa:

Fresia – Per cui una delle frasi che a volte vengono citate quando si parla di traduzione e di adattamento, e cioè che una traduzione/adattamento fedele in realtà è una brutta traduzione/adattamento, tu sei evidentemente contrario a questa cosa.

Cannarsi – Sono assolutamente contrario e qui diventa un po’ difficile perché si sta mischiando il concetto di “corretto-scorretto”, che è un fattore obiettivo che afferisce ai fatti, al concetto di “bello-brutto” che è un fattore soggettivo e afferisce alle opinioni. La mia idea è che se si sta parlando di una traduzione, ovvero un’opera di servizio che serve a rendere intellegibile in una lingua seconda ciò che esiste in una lingua prima, l’originale, secondo me non si può pensare che qualcuno o qualcosa possa chiamare “giusto” ciò che suona “bello” a qualcun altro, anche perché se la bellezza è un criterio soggettivo, ciò che suona bello a me potrebbe non suonare bello a te. È veramente difficile fare una statistica del pubblico.

Fresia – Questo sì, sicuramente, [ma] un conto è leggere certi termini e un certo tipo di lingua, anche particolarmente ricercata e desueta se vogliamo, su carta, altro è sentire quella medesima lingua da grande schermo, perché i due media in qualche modo hanno un calore diverso e di conseguenza il pubblico si relaziona in maniera differente.

Cannarsi – Capisco quello che dici. Pur tuttavia, anche nel caso di lingua parlata, e già con questo stiamo toccando quella che accademicamente si direbbe una variazione diamesica dell’italiano, il “mezzo parlato”, ebbene, una variazione diamesica come la lingua parlata va incontro al giudizio di infinite variazioni diatopiche, perché noi abbiamo varie regioni, perché noi abbiamo varie città… Quello che io in quasi ormai una ventina d’anni di operato professionale ho notato, è che ciascuna persona inconsciamente tende a estendere la propria personalissima idea dell’italiano parlato a tutta la nazione, ma la verità è che ognuno ha avuto una sola vita e che ognuno ha conosciuto nella sua sola vita un ristretto gruppo di persone, quasi sempre provenienti dal medesimo ambiente magari, no? Non parlo soltanto del luogo di nascita, parlo anche dell’ambiente di lavoro e compagnia bella. Relazionandomi col pubblico ho notato che, anche a livello di cose molto basiche, ciò che era assolutamente alieno a qualcuno era assolutamente naturale a qualcun altro. Faccio un esempio banalissimo: in un film che si intitola Dalla collina dei papaveri, la ragazza protagonista negli anni ’50 facendo vedere al ragazzo protagonista una foto del suo defunto padre da giovane, gli dice «Belloccio, vero?», e io ho utilizzato “belloccio” perché in originale in giapponese utilizza il termine “handsome”, quindi in qualche modo si capisce che la ragazzina stava affettivamente riferendo del giovane padre come se fosse un po’ l’attore di Hollywood, no?, “belloccio”, no? Qualcuno ha detto «Eh, ma nessuno dice belloccio», qualcuno ha detto «No, dalle parti mie si usa tutti i giorni». Quindi io penso che non sia veramente statisticamente modellizzabile il cosiddetto italiano substandard del parlato, penso quindi che una traduzione che voglia essere corretta debba rifarsi da un lato all’indagine dei dizionari maggiori accreditati, ovvero: se un dizionario come il Devoto-Oli, come il Treccani mi riporta un termine come “arc.”, arcaico, o “lett.”, letterario, o “ant.”, antico, allora io devo assumere che quello è un termine non corrente; se non c’è alcuna marca di questo genere devo assumere che è un termine corrente. Esempio banalissimo, “imperituro” per il Treccani è un termine corrente, “perituro” è un termine letterario: non l’ho deciso io, perché io non sono nessuno! Io sono una singola persona, tanto quanto [è] una singola persona ciascuno dei membri del pubblico, e quindi in questo senso io cerco di essere obiettivo. Se così non fosse, sporcherei la mia opera di adattamento con la soggettività di un singolo che sono io, e questo non lo considererei onestamente lecito, nel senso [che] è veramente brutto presumere che ciò che è strano per noi debba essere strano per tutti, ciò che è difficile per noi debba essere difficile per tutti… Ci possono essere delle persone molto più edotte di me che capiscono al volo ciò che magari a me è costato una settimana di ricerca. Questo non è assolutamente indicativo, io come operatore di settore debbo cercare di mantenere il più fedelmente possibile il contenuto di un’opera originale che esiste a prescindere da me, dopodiché starà a ciascuno del pubblico relazionarsi a questa integrità, nel senso che qualcuno potrà legittimamente dire «Oh, quanti arcaismi ci sono in Mononoke hime! A me non piace!» Va benissimo, per carità, però adesso io non devo fare piaggeria nei confronti del pubblico tentando di intelleggere i gusti della maggioranza: questo mi parrebbe un magheggio da commerciale, io non appartengo a questo settore.

Qui siamo al trionfo del relativismo cannarsiano, in cui si mischiano insieme in un unico discorso una tale marea di cose che Cannarsi finisce per darsi la zappa sui piedi da solo.

Dopo aver riconfermato il suo disprezzo per le traduzioni senso-per-senso a favore di quelle parola-per-parola, e dopo aver pronunciato una fesseria colossale sul fatto che ognuno parla soltanto la lingua del suo paesello (come se al giorno d’oggi non si viaggiasse e come se non esistessero i libri, i film, la televisione, Internet e mille altri mass media che consentono il confronto linguistico trans-geografico e trans-temporale con innumerevoli esempi linguistici), Cannarsi giustifica il suo discorso tirando in ballo i due concetti di “correttezza” e “bellezza”, presentati pretestuosamente come opposti per sviare il discorso.

La “correttezza” infatti non è un dato oggettivo come lo presenta Cannarsi: ritornando al teorema base di Schleiermacher, la traduzione “corretta” non esiste in senso oggettivo, ma esistono invece traduzioni effettuate in base a criteri di volta in volta variabili. D’altronde Cannarsi stesso opera in base ai suoi specifici e peculiari criteri, preferendo dare importanza a certi aspetti piuttosto che ad altri: il succitato esempio di “pulzelle” ne è proprio la dimostrazione, in quanto Cannarsi ha scelto quella parola non perché oggettivamente la sola e unica corretta per tradurre otome, ma perché secondo il suo personalissimo punto di vista, secondo il suo ragionamento, secondo le sue suggestioni letterarie, secondo la sua estetica, secondo il suo senso della “bellezza” relativa, quella era la parola corretta. Secondo lui.

Le opinioni personali di Cannarsi sono talmente forti che, per quanto dichiari di tenerle separate dai fatti, poi è lui stesso che non riesce a tacerle. Solo per citare i temi toccati in quest’intervista, è una sua opinione che il cognome vada per forza prima del nome, è una sua opinione che il villaggio degli Emishi nel XV secolo sia fantascienza, è una sua opinione che il tempio sia una capanna, è una sua opinione che quelle ragazzine ricordino la leggenda di Yamata-no-orochi, è una sua opinione che i vecchi Emishi usino un linguaggio forbito, è una sua opinione che la traduzione A-A’ sia la migliore, come abbiamo visto è una sua opinione che baka significhi solo “stupido”, come vedremo nel quarto articolo sui dialoghi è una sua totale, assoluta, personalissima opinione che «dio bestia» sia l’adattamento corretto per la parola giapponese shishigami, ed è una sua opinione che “belloccio” sia la parola giusta per handsome.

 

Il defunto padre belloccio

Fotogramma da "Dalla collina dei papaveri" di Goro Miyazaki.
«Belloccio, vero?»

La storia di “handsome-belloccio” è veramente Cannarsi in a nutshell. Racchiude tutto:

  • opinione assolutamente personale sull’interpretazione del termine: «in qualche modo si capisce che la ragazzina stava affettivamente riferendo del giovane padre come se fosse un po’ l’attore di Hollywood», e in quale modo si capisce, esattamente?
  • ignoranza del contesto (volontaria o meno che sia): il Giappone non ha quasi avuto contatti col resto del mondo per secoli fino al 1868, il che vuol dire che da quella data in poi ha dovuto giocoforza importare in blocco una quantità enorme di parole nuove per tutto quello che era successo nel resto del pianeta e di cui i giapponesi erano rimasti all’oscuro, dal cioccolato al cemento, dal motore a vapore fino alle altalene, attingendo soprattutto al bacino della lingua inglese statunitense. Anche se molte parole furono convertite in neologismi giapponesi, come 野球 yakyū per “baseball”, la gran parte restarono e restano ancora oggi in “inglese giapponesizzato”, come ラジオ rajio per “radio”. Data la massiccia importazione ormai avviata di parole inglesi, nel XX secolo si cominciò a importarne altre ancora non per definire concetti sconosciuti, ma per definire la versione straniera di concetti noti, come sokkusu da “socks” per “calzini” (all’occidentale, al contrario dei 足袋 tabi autoctoni) o appuru da “apple” per le mele (di importazione occidentale, al contrario delle 林檎 ringo autoctone). L’abitudine dei giapponesi a integrare nella loro lingua parole straniere è tale che, in un editoriale sulla rivista Specchio, la giornalista Renata Pisu, inviata de La Stampa a Tokyo, dichiarò che per gioco provò e riuscì ad avere intere conversazioni in giapponese con dei madrelingua mantenendo la grammatica, ma sostituendo le parole giapponesi con parole di importazione straniera, senza che loro ci trovassero nulla di inusuale (al contrario dell’italiano dove l’abuso di parole straniere ha portato a veri e proprio moti di ribellione). Ecco quindi che ハンサム hansamu non è affatto da intendersi automaticamente come la parola straniera “handsome” che si riferisce a un immaginario straniero, ma come una delle migliaia di parole importate che copre un concetto che prima del 1868 semplicemente non c’era: la bellezza maschile virile (la bellezza maschile femminea invece esisteva già).
  • uso errato del termine: a quanto pare Cannarsi conosce il vocabolario Treccani sufficientemente bene da ricordare persino i dettagli di certe parole (i suo esempi di “imperituro” e “perituro” sono corretti), ma poi ne ignora altre, tipo appunto “belloccio”, poiché quello stesso prestigioso testo definisce “belloccio” come «di bellezza umana non perfetta e un po’ grossolana, ma pur sempre piacevole»: una bellezza imperfetta e grossolana sarebbe quella di un attore di Hollywood? Gli attori di Hollywood non sono solitamente caratterizzati da una bellezza superiore alla norma? La ragazzina di Dalla collina dei papaveri voleva dire che suo padre era molto bello o che era «grossolano»?
    Ah, a proposito: sempre il vocabolario Treccani indica “pulzella” come «letter.»: è “corretto”, “bello” o anche solo logico che dei vecchi contadini illetterati analfabeti Emishi sperduti sui monti e ignari della cultura alta giapponese parlino con termini ufficialmente riconosciuti dal vocabolario come letterari?
  • termini locali spacciati per popolari: è veramente incredibile come, dopo tutto il discorso perfettamente argomentato sulle variazioni diamesiche e diatopiche e sul pericolo di considerare la propria lingua come generale quando invece è locale, letteralmente 90 secondi dopo Cannarsi annunci di aver trovato giustificazione al termine “belloccio” proprio in un contesto locale. Cosa vuol dire «No, dalle parti mie si usa tutti i giorni»? Dalle parti tue si usa tutti i giorni, altrove invece no: ecco appunto la conferma, la prova provata che “belloccio” è un localismo, e lo dichiara Cannarsi stesso. ハンサム hansamu è una parola assolutamente comune nel giapponese parlato (stando al dizionario online Kotobank fin dal 1940, e come testimonia il film stesso veniva già usata comunemente negli anni ’50), diffusa in tutta la nazione e comprensibile da tutti: con quale logica Cannarsi la adatta con una parola che egli stesso tradisce essere di uso solamente locale, essendo a detta di altri non usata dalle loro parti e, quindi, non diffusa in tutta la nazione?

La sola parola “belloccio” è sufficiente per illustrare come gli adattamenti di Cannarsi non siano una questione né di correttezza, né di ricerca, né tantomeno di vocabolario o di lett. e arc., no: è semplicemente, meramente dichiarare una cosa e poi fare l’esatto opposto.

Niente secondo i fatti, tutto secondo la sua opinione. Sbagliata.

 

L’altro Cannarsi

Un disegno preparatorio di Hayao Miyazaki per "Principessa Mononoke".
Un disegno preparatorio di Hayao Miyazaki per Principessa Mononoke.

Ora, per quanto possa sembrare assurdo dopo questo tripudio di soggettività relativa mascherata da oggettività assoluta, l’aspetto più impressionante dell’intera intervista è quello che viene dopo.

Dopo il “belloccio”, Fresia cambia completamente registro e chiede a Cannarsi come sarà la nuova versione de La città incantata (di uscita imminente quando fu registrata l’intervista) ed ecco che tutto cambia, perché Cannarsi smette di parlare dell’adattamento e inizia a parlare dei film di Miyazaki.

La seconda parte dell’intervista è un piacere da ascoltare. È così onesta, appassionata e libera dal ruolo del piazzista tenuto fino a quel momento, che Cannarsi smette di essere il personaggio Cannarsi e ritorna a essere quell’otaku (nel senso di Hideaki Anno della parola) così ammirevolmente colto, competente e amante della materia che ha sempre dimostrato di essere fin dal suo primo contributo noto, quella sua primissima letterina dedicata a L’incantevole Creamy pubblicata su Mangazine nel gennaio 1994, in cui si esprime qualcosa di più che interesse, qualcosa di più che passione, qualcosa di più che devozione: è amore.

Cannarsi ama l’animazione giapponese, non c’è dubbio, e ama lo Studio Ghibli e tutto quello che vi gravita intorno. I suoi discorsi in questa seconda parte dell’intervista sono eccezionali, ricchi, intertestuali, pieni di spunti estremamente brillanti e a tratti persino commoventi, in particolare quando parla delle varie volte in cui Miyazaki ha annunciato il suo ritiro, a cui attribuisce una valenza in qualche modo simbolica. È così preso con foga dal suo flusso di coscienza che addirittura a un certo punto dice /Studio Ghibli/ invece di /Stajio Jiburi/, incredibile, la maschera è completamente caduta.

Lo sguardo di Cannarsi è chiaramente quello di qualcuno che ha in mente l’intero panorama e così riesce ad analizzarlo tanto nel dettaglio quanto nel generale, e questa è una grande dote, così grande da far desiderare che si dedichi piuttosto alla saggistica invece che agli adattamenti, settore in cui ha un enorme potenziale e in cui potrebbe esprimere le sue idee e opinioni in libertà in un contesto letterario, su carta.

 

Solo la pizza, forse

Fotogramma da "Neon Genesis Evangelion: Death & Rebirth" di Hideaki Anno.

L’illuminante intervista di Aldo Fresia a Gualtiero Cannarsi conferma una volta per tutte quello che è un dato notorio: già è impossibile tradurre A-A’, o 1:1, persino fra lingue romanze che pure sono nate e cresciute insieme (come tradurre univocamente Du côté de chez Swann?), figuriamoci dal giapponese all’italiano, due lingue che non condividono niente di niente a parte forse la parola “pizza” (pronunciata diversamente, fra l’altro).

È un peccato vedere sprecato un talento analitico per l’animazione come quello di Cannarsi dietro al suo desiderio di metterci le mani dentro nonostante i suoi difetti in questo campo superino di gran, gran, gran lunga i pregi.

[ Introduzione • Metodo • Titoli • Dialoghi • Canzoni | Reazioni ]


Dimensione Fumetto non è una testata giornalistica e non è soggetta agli obblighi di legge in materia di editoria. Tuttavia, in ottemperanza all’art. 8 della legge sulla stampa 47/1948, Dimensione Fumetto ha ugualmente invitato Gualtiero Cannarsi a fornire una sua replica a questo articolo qualora lo ritenesse lesivo della sua dignità o contrario a verità. Con lettera firmata e datata 19/03/2019, Cannarsi ha preferito rifiutare l’invito.

Mario Pasqualini

Sono nato 500 anni dopo Raffaello, ma non sono morto 500 anni dopo di lui solo perché sto aspettando che torni la cometa di Halley.

69 pensieri riguardo “Gualtiero Cannarsi, nel di lui caso – Metodo

  • 20 Dicembre 2018 in 17:18
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    Complimenti davvero anche per questo secondo intervento, possiamo dire davvero che ha ridefinito il termine “dettagliato”. Adesso la questione sta assumendo dei contorni definiti e difficilmente contestabili, anche se continua a crescere e a confermarsi in me il dispiacere per questi adattamenti “mancati”, ma soprattutto ancora non riesco a spegarmi questo duplice atteggiamento nei confronti dei film d’animazione di cui è l’adattarore: da una parte passione sconfinata, dall’altra zelo opinabile e mistificatorio. Aspetto con ansia il prossimo articolo, non ci lasci troppo tempo a bocca asciutta!

    P.S. Non so se è lecito farlo qui, ma dato che gli articoli in questione sono un po’ datati non saprei dove altro, volevo ringraziarla per la rubrica Benvenuti in Giappone, “studio” da appassionato dilettante la cultura giapponese da qualche anno e sono sempre alla ricerca di interventi come il suo; è ancora possibile commentare e magari chiederle qualche informazione a riguardo? La ringrazio.

    Rispondi
    • 20 Dicembre 2018 in 17:45
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      Grazie mille del commento. Ovviamente puoi darmi del tu, e spero di poterlo fare anch’io. Benvenuti in Giappone è una rubrica a cadenza irregolare, prima o poi tornerà! Puoi commentare direttamente sotto gli articoli che ti interessano: leggiamo sempre tutti i commenti a tutti gli articoli, vecchi o nuovi che siamo.

      Rispondi
      • 20 Dicembre 2018 in 18:48
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        Ma certo che puoi, anzi devi darmi del tu. Ci vediamo nei commenti di Benvenuti in Giappone allora, grazie mille.

        Rispondi
  • 20 Dicembre 2018 in 18:10
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    Non mi sarei aspettato che il miglior regalo di natale quest’anno sarebbe stata un elaborato, puntuale, ragionato, informato, dettagliatissimo ROAST di Gualtiero Cannarsi in 5 articoli lunghi. Grazie Mario. Lo dico senza nessuno polemica. Parlare di traduzione e adattamento – in modo ragionato, citando fonti, divulgando i concetti – al di là della propria opinione del lavoro di Cannarsi è un net positive per tutto il mondo degli appassionati.

    Ho seguito per anni e con tanto interesse il lavoro di Shito (ammetto di essermi recuperato i numeri di Mangazine, al tempo, per rileggermi i suoi articoli) e lo stimo moltissimo per la su sensibilità. Pur non essendo addetto ai lavori, e mantenendo tutte le riserve e la buona fede possibili, certamente lo “Stile Cannarsi” esiste e si fa sentire in tutto quello che fa, e spesso secondo me intacca la digeribilità del testo.

    Non veod l’ora di leggere il resto!

    Rispondi
  • 21 Dicembre 2018 in 11:21
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    Sto seguendo questa serie di articoli, scritti molto bene. Ti ringrazio per il lavoro minuzioso che stai facendo e non vedo l’ora di leggere i prossimi. In particolare ho apprezzato il paragrafo dedicato alla seconda parte di intervista, in quanto i detrattori di Cannarsi tendono a denigrare in tutto e per tutto qualunque cosa faccia o dica. Ho seguito tante conferenze di Cannarsi, essendo lui ormai ospite fisso a EtnaComics da anni e ho sempre ammirato la sua passione per il mondo “giapponerd”. Solo l’anno scorso ho scoperto le pagine sui disastrosi adattamenti, è stato un po’ uno shock realizzare la realtà, sebbene spesso, mentre cercavo di confrontarmi con i detrattori per capire bene la situazione, sono stato attaccato e definito “plagiato”, o peggio, solo perché esprimevo opinioni positive sulle sue conoscenze e sulle cose che ho imparato alle conferenze, ma senza mai difendere il suo lavoro per Lucky Red. Finalmente un punto di vista obiettivo e, come lo desideravo, dettagliato.

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  • 21 Dicembre 2018 in 15:59
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    Bravo, ma visto il tono minuzioso dell’articolo, devo farti notare che “perplimere” è un neologismo inventato da Corrado Guzzanti 😀

    Rispondi
  • 21 Dicembre 2018 in 18:35
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    Complimenti per la seconda, splendida parte dell’articolo. L’idea che mi sono fatto finora dell’operato di Cannarsi, come avevo già espresso in precedenza, è che la passione possa bastare ad avere ottimi risultati in ambiti diversi. Ovviamente, questo non è vero e se per scrivere un saggio è eccezionale poter disporre di tanta competenza, un adattamento è tutt’altra storia.
    Ciò che mi ha dato da pensare (e sbottare) è l’idea bislacca che non esista una lingua italiana “unica” , ma che le accezioni regionali cambino la lingua stessa in modo che l’interpretazione di una frase univoca, o persino una sola parola, vari da zona a zona. Se fosse vero, sarebbe impossibile leggere i giornali o ascoltare i tg e le versioni regionali di questi ultimi, o persino le cronache locali, dovrebbero essere in svariati dialetti (ok, la mia è un’iperbole, ma è per far capire quanto non si regga in piedi il ragionamento del Cannarsi adattatore).
    Sappiamo invece benissimo che l’italiano è una lingua unica, con i suoi termini e la sua grammatica, in cui è possibile inserire parole o frasi dialettali (e tutti lo facciamo, chi più chi meno). Tuttavia, se vado al cinema, non mi aspetto di certo di sentir dire che uno dei protagonisti è “niffito” (termine della mia zona – Lucca – che indica un individuo nervoso e irritabile), ma piuttosto che è “irrequieto” o “irascibile” o “incazzato”, a seconda del contesto e della situazione. Questo perché la lingua italiana esiste ed ha delle regole precise. Idem il giapponese.
    Quando si traduce, inevitabilmente si operano delle scelte e dei cambiamenti, che sono radicali in certi casi (ad esempio, nella cultura anglosassone non esiste il concetto dell’aldilà come lo intendiamo noi e, in fase di adattamento, non basta parlare di “after Death”, ma semmai trovare una parola che esprima un concetto similare).
    Ciò detto, attendo con impazienza il prossimo articolo, ma mi è rimasta una domanda: come viene pronunciato “pizza” in giapponese? Forse ricordo male io, ma negli anime che ho guardato sottotitolati, la parola era pronunciata come in italiano…

    Ps: esistono almeno altre due parole italiane che sono identiche in giapponese. Propaganda (ok, è un termine latino, ma è praticamente diventato internazionale a causa del fascismo) e Paparazzi (termine coniato da quel geniaccio di Federico Fellini).

    Rispondi
    • 21 Dicembre 2018 in 18:54
      Permalink

      Ovviamente era una iperbole ironica per dire che non ci sono punti in comune a parte le parole importate dopo il 1868, fra cui ci sono anche molte parole alimentari come “spaghetti”, parole sociali come “mafia”, parole musicali come “piano”, eccetera. In ogni caso hai ragione, le parole che citi sono nel vocabolario giapponese, ma pronunciate diversamente: “propaganda” è puropaganda, “paparazzi” è paparacchi, e la citata “pizza” è piza.

      Rispondi
  • 22 Dicembre 2018 in 0:50
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    Bravi che avete cancellato “Banana Yoshimoto” quale esempio di nome-cognome, essendo “Banana” un chiaro pseudonimo (c’è gente convinta che Rin Taro sia nome-cognome).

    > allungare il brodo in maniera estenuante

    Scusate, ma anziche’ fare la radiografia di un metodo di lavoro e giudicare un’intera carriera professionale partendo da *una* sola intervista (analizzandone anche le virgole), chiedo: voi avete mai parlato con Gualtiero Cannarsi? Nelle varie fiere è spesso presente e sempre disponibile; forse vi sarebbe stato utile per evitare affermazioni stupidine come questa citata.

    Btw, mi sembra di leggere le argomentazioni di quelli che volevano ribaltare il senso di lettura dei manga: per evitare la fatica di piegarsi all’opera straniera, si pretende che l’opera venga piegata alle proprie esigenze (= fare meno fatica possibile).

    A consolarmi, e’ sapere che oggi nessuno pensa piu’ di ribaltare un manga.
    Tra qualche tempo, mi piace pensare che nessuno critichera’ piu’ gli adattamenti di Cannarsi.

    In fondo, si tratta sempre e solo di abitudine 🙂

    Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 1:37
      Permalink

      Il fatto che sia uno pseudonimo non c’entra niente. Più precisamente non è stato rimosso il nome di Banana Yoshimoto, ma quello di Giorgio Amitrano e di conseguenza quello della Yoshimoto, perché abbiamo ricevuto una cortese segnalazione da una sua ex studentessa che ci ha informati che in realtà il professore preferisce l’ordine cognome-nome (quindi è Feltrinelli che usa nome-cognome e non il traduttore). Approfitto per ribadire che ogni segnalazione di errori nel testo è più che ben accetta.

      Per il resto faccio fatica a capire le critiche espresse nel commento. Non mi sono affatto basato solo su quest’intervista: come ho chiaramente scritto nell’articolo e ancor più chiaramente ripeto ora, ho scelto di parlare del metodo di Cannarsi usando come base quest’intervista perché raccoglie in un posto solo un po’ tutte le sue caratteristiche, invece di copiare/incollare stralci di dichiarazioni da fonti disomogenee. Questi articoli sono il frutto di anni di lavoro: ho sentito, visto e letto decine, forse centinaia di materiali su Cannarsi, e dato che quest’intervista riassumeva il Cannarsi-pensiero meglio di qualunque altra fonte, l’ho scelta come riferimento principale (non unico: principale).

      Non conosco personalmente Cannarsi: questo mi impedisce di giudicare le sue dichiarazioni pronunciate dalla sua viva voce e scritte con le sue mani? Se è per questo, dato che non conosco personalmente nessun politico, dovrei astenermi dall’avere opinioni politiche?

      Poi: «mi sembra di leggere le argomentazioni di quelli che volevano ribaltare il senso di lettura dei manga: per evitare la fatica di piegarsi all’opera straniera, si pretende che l’opera venga piegata alle proprie esigenze». Non capisco di cosa tu stia parlando: hai letto l’articolo? Ho scritto o anche solo vagamente suggerito che Cannarsi doveva semplificare il contenuto dell’opera? Si sta facendo puro e semplice fact-checking delle dichiarazioni di Cannarsi stesso, da cui risulta che moltissime delle cose che ha detto sono false e tendenziose e, peggio ancora, mischiate con altre vere al punto che non si distinguono più.

      Infine: lo stile Cannarsi è già imperante, purtroppo.

      Rispondi
  • 22 Dicembre 2018 in 12:53
    Permalink

    Questi tuoi articoli mi stanno facendo capire che Cannarsi è quasi intoccabile, probabilmente non si potrà più sperare in nuovi adattamenti per questi film. Rimarranno così per sempre.

    Rispondi
  • 22 Dicembre 2018 in 13:27
    Permalink

    C’è sempre l’opzione “studiare il giapponese” 😀 Personalmente sono grato a Cannarsi, non posso fare a meno di questi meme => [link]

    Pasqualini先輩、いつもありがとうございます

    Rispondi
  • 22 Dicembre 2018 in 15:47
    Permalink

    > Questi articoli sono il frutto di anni di lavoro: ho sentito, visto e letto decine, forse centinaia
    > di materiali su Cannarsi, e dato che quest’intervista riassumeva il Cannarsi-pensiero meglio
    > di qualunque altra fonte, l’ho scelta come riferimento principale (non unico: principale).

    Sarebbe stato molto più facile sentire direttamente Cannarsi, non credi?
    Guarda che non è mica difficile, basta volerlo.

    Tutte le cose che lo riguardano e sulle quali dici che non si sa nulla, forse le avresti potute sapere.

    > Non conosco personalmente Cannarsi: questo mi impedisce di giudicare le sue dichiarazioni
    > pronunciate dalla sua viva voce e scritte con le sue mani? Se è per questo, dato che non
    > conosco personalmente nessun politico, dovrei astenermi dall’avere opinioni politiche?

    Quando lo definisci (cito testualmente):
    – piazzista;
    – imbonitore;
    – una persona che palesemente non ha la minima cultura né tantomeno cura della lingua che usa.
    stai giudicando solo le sue opinioni e non la persona, giusto?

    Forse, contattandolo, ti saresti ricordato che *prima* di collaborare con Lucky Red, Cannarsi aveva curato l’edizione italiana di ben *sei* film dello Studio Ghibli per Buena Vista (Disney):
    – Kiki (pubblicato nel 2002);
    – Laputa (pubblicato nel 2004);
    – Porco Rosso (doppiaggio eseguito ma rimasto inedito);
    – Mimi wo Sumaseba (doppiaggio eseguito ma rimasto inedito);
    – Nausicaa (doppiaggio eseguito ma rimasto inedito);
    – Totoro (doppiaggio eseguito ma rimasto inedito).
    [link]

    Quando nel 2003 arrivo’ La città incantata al cinema per Mikado, gli appassionati di Miyazaki rimasero delusi dall’edizione italiana e, al momento dell’annuncio di Lucky Red, questi si mossero e chiesero all’editore di far *ri*tornare Cannarsi sui titoli Ghibli.

    Tu consideri la petizione a Lucky Red come il casus belli, a quanto scrivi.

    Perche’ non ti poni la stessa domanda sul perche’ un colosso come Disney avesse deciso spontaneamente di fargli doppiare di fila bene *6* film Ghibli (fino ad allora inediti in Italia)?

    Forse perche’ quando Mononoke Hime arrivo’ al cinema nel 2000 per Miramax con quel doppiaggio, non se lo filo’ nessuno?

    Forse perche’ Disney lo considerava capace e con il giusto bagaglio di competenze tecniche per evitare quanto successo con il sopraccitato film Ghibli?

    Hai mai frequentato il forum pubblico Buena Vista ai tempi?

    Delle due l’una:
    – o non sei a conoscenza di alcuni fatti (ma, nonostante questo, giudichi le competenze altrui);
    – o sei a conoscenza di quei fatti fondamentali e li ometti per scelta.

    Non so quale sia peggio :/

    Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 16:07
      Permalink

      Allora:

      1) abito da anni a 10’00 chilometri da Cannarsi e no, non mi è facile sentirlo.

      2) ti prego di notare che non gli ho affatto dato del piazzista, ma ho scritto che utilizza «linguaggio da piazzista», «tecnica da piazzista» e «ruolo da piazzista», e nel testo specifico dove e quando li usa. Sto valutando quello che dice e scrive, non certo la sua personalità e i suoi sentimenti, che non mi riguardano.

      3) «Cannarsi aveva curato l’edizione italiana di ben *sei* film dello Studio Ghibli per Buena Vista (Disney)» lo so benissimo e non ho bisogno di contattarlo personalmente, perché i fini di questi articoli, tre dei quali non li hai ancora letti, non sono ragionare con lui sul perché e per come ha fatto questo e quello, ma valutare il suo operato sulla base delle cose pratiche di cui si è occupato e fare fact-checking quello che HA GIÀ DETTO e HA GIÀ FATTO. Fact-checking.

      4) Ultima riga del primo articolo: «Era chiaro fin da questi esordi che il lavoro di Cannarsi per Lucky Red sarebbe stato un potenziale casus belli, e così è stato»: la lettera dei 46 non è affatto il casus belli, se Occhipinti lo ha scelto su loro raccomandazione mi sta benissimo perché io non conosco i loro nomi e magari sono 46 stimatissimi professionisti (sempre dal primo articolo: «Il numero e la qualifica dei «professionisti del settore e addetti ai lavori», poi, sono sconosciuti», il che vuol dire che io non li so e quindi potrebbero essere tutti o nessuno, non lo so e nemmeno mi interessa). Il casus belli è, ripeto, il lavoro per Lucky Red. Sei proprio sicuro di aver veramente letto per bene gli articoli?

      5) Non mi interessa perché un distributore sceglie Cannarsi, non sto valutando la sua persona: sto valutando il suo lavoro A COSE FATTE.

      6) Non mi interesa giudicare le competenze professionali di Cannarsi (bada bene, non il curriculum: le competenze professionali, che fra l’altro non ho trovato), ma IL SUO LAVORO.

      Spero stavolta di essere stato sufficientemente cristallino.

      Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 19:26
      Permalink

      Mi spieghi esattamente cosa ti rende così sicuro che ci sia un nesso tra il flop di Mononoke Hime al cinema nell’Italia dell’anno 2000 e il fatto che Cannarsi non avesse curato i dialoghi di quell’edizione? Ci potrebbero essere 100 motivi, ne butto giù alcuni tra i più plausibili: forse nel 2000 Miyazaki in Italia non era nessuno? Forse la distribuzione di quel film fu estremamente limitata e per niente pubblicizzata? Forse il titolo stesso “La principessa Mononoke” era abbastanza oscuro e poco attraente (a volte basta così poco, come dimostra il fatto che abbiano completamentre stravolto il titolo di Sen to Chihiro per renderlo più appetibile)? Forse all’epoca nemmeno gli appassionati si recavano al cinema per vedere film anime, preferendo conservare i soldi per l’home video? Tu credi davvero che migliaia di persone nel 2000 siano andate ad informarsi preventivamente su chi avesse scritto i dialoghi di Mononoke Hime in italiano e, non vedendo il nome di Cannarsi, abbia deciso per questo di non andare al cinema? E che addirittura quindi la Disney abbia scelto lui perché sicura di poter evitare tutti i fattori negativi di cui sopra con il solo potere dell’adattamento di Cannarsi? Se è cosi dovremmo chiamarlo Shitogami, tradotto, Dio Cannarsi.

      Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 20:21
      Permalink

      “Questi articoli sono il frutto di anni di lavoro: ho sentito, visto e letto decine, forse centinaia di materiali su Cannarsi.” Bravo, complimenti vivissimi. Vantatene pure, già che ci sei.

      Rispondi
  • 22 Dicembre 2018 in 17:19
    Permalink

    > abito da anni a 10’00 chilometri da Cannarsi e no, non mi è facile sentirlo.

    Suppongo tu sappia dell’esistenza di Internet, no? ^^

    Cmq stai usando linguaggio da piazzista.
    Ah, non sto dicendo tu sia un piazzista!
    Sto valutando quello che dici e scrivi ^^’

    > i fini di questi articoli
    [CUT]
    > sono valutare il suo operato sulla base delle cose pratiche di cui si è occupato

    Il fine di questi articoli e’ dimostrare come *tu* non condivida il *suo* metodo.

    Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 17:23
      Permalink

      Sto forse cercando di venderti un prodotto? No. Sto mostrandoti, dati alla mano, che certe cose che sono state dette e fatte sono scorrette. Si chiama fact-checking e non ha nulla a che vedere con la mia opinione né personale né professionale su di lui.

      Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 19:10
      Permalink

      Onestamente faccio fatica a capire il perché di tutta questa insistenza sul “sentire Cannarsi”, non mi sembra ci sia alcun obbligo, nemmeno morale: non è che per scrivere 1 o 5 articoli su ciò che lui ha detto e fatto pubblicamente l’autore degli articoli sia costretto a conoscerlo di persona. Tra parentesi, tutto si può dire fuorché che Cannarsi non abbia avuto modo e occasione di dire la propria nel tempo: considerando anche il pubblico e gli incassi che fanno i film su cui lavora, è impressionante la quantità di interviste, interventi, e cose varie a cui gli hanno dato modo di partecipare. È al corrente dell’esistenza di questi articoli e sono sicura che si paleserà anche qui se ha qualcosa da dire.

      Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 20:32
      Permalink

      “Cmq stai usando linguaggio da piazzista. Ah, non sto dicendo tu sia un piazzista!” Ah! Non hai la minima idea di quello che stai scrivendo o pensando, dì la verità. Ma del resto non lo fa neppure il sig. Cannarsi quando si tratta di adattare un testo giapponese nel nostro idioma di origine, quindi perché disturbarsi?

      Rispondi
  • 22 Dicembre 2018 in 17:30
    Permalink

    Se Cannarsi vuole confrontarsi o scrivere qualcosa può tranquillamente commentare, non penso abbia bisogno di altri che lo facciano per lui. Chi vuole commentare dovrebbe parlare della storia, della lingua e della cultura giapponese, perché di questo parla l’articolo. Esattamente come per discutere delle equazioni di Maxwell si parla di rotore, divergenza, gradiente, campo elettrico, campo magnetico, eccetera.

    Per quanto mi riguarda: ottimo articolo, davvero illuminante. Complimenti!

    Rispondi
    • 22 Dicembre 2018 in 20:41
      Permalink

      Eh, ma sai com’è, quando si tratta di discutere sul (dubbio) operato di un nostro stimatissimo compatriota bisognerebbe sempre prima discuterne di persona con il diretto interessato, magari davanti ad un bel boccale di birra o mentre ci si fuma una paglia, come ci ha ricordato in modo tempestivo il buon tanto-per-parlare-non-scrivo-niente-che-forse-faccio-più-bella-figura…

      Rispondi
    • 23 Dicembre 2018 in 1:48
      Permalink

      > Chi vuole commentare dovrebbe parlare della storia, della lingua e della cultura giapponese,
      > perché di questo parla l’articolo.

      Cosa che tu non stai facendo, ad esempio.

      Poi l’autore degli articoli dice che la sua intenzione è solo “valutare il suo operato (di Cannarsi, NdMio) sulla base delle cose pratiche di cui si è occupato”, quindi quanto inviti a fare non sarebbe in-topic.

      Rispondi
      • 23 Dicembre 2018 in 3:33
        Permalink

        È in-topic, perché Cannarsi non traduce bensì adatta, ovvero trasferisce valori storici, linguistici e culturali.

        Rispondi
  • 23 Dicembre 2018 in 2:16
    Permalink

    > Sto forse cercando di venderti un prodotto? No.

    Neanche lui lo ha mai fatto, non e’ mica un imprenditore o un venditore.

    Dico che stai usando linguaggio da piazzista perche’ vuoi far passare la *tua* personale, soggettiva e opinabile idea di adattamento a scapito di quella di Cannarsi; non c’è alcuna volontà di confronto bensi’ il tentativo di far passare come oggettivo cio’ che in realta’ non lo e’.

    Altrimenti non avresti citato l’esempio dell’adattamento italiano nel Gioco dei Troni.
    Tu scrivi che “Funziona.” ma è una tua opinione personale e soggettiva.
    Sappi che qualcun altro, tutta la tiritera sull’adattamento italiano che “funziona”, è alquanto indigesta.
    Di oggettivo non c’e’ *niente*.

    Come “non c’è affatto unanimità sull’ordine “giusto” in traduzione” su nome e cognome, non c’è affatto unanimità di pensiero sul fronte dell’adattamento. Non esistono “regole del mestiere”, non esiste un canone.

    Ci sono solo consuetudini e abitudini radicate nel tempo e soggette al cambiamento.

    Se davvero il tuo fine è il solo “valutare il suo operato sulla base delle cose pratiche di cui si è occupato”, dovresti cancellare in toto l’articolo introduttivo.

    Cannarsi non si e’ occupato della petizione, dunque perche’ citarla?

    Perche’ parlare della sua formazione professionale di cui *tu* non sai nulla? (ma, da buon furbetto, cerchi di universalizzare il tutto usando l’impersonale, “Non si sa nulla”).

    In quell’articolo spari cosi’ tanti giudizi personali e soggettivi che forse hai finito col non considerarli tali.

    Lo definisci “una persona che palesemente non ha la minima cultura né tantomeno cura della lingua che usa”.
    Questo sarebbe “valutare il suo operato sulla base delle cose pratiche di cui si è occupato”?

    A me pare un voler mettere alla gogna qualcuno che la pensa diversamente da te.

    Rispondi
    • 23 Dicembre 2018 in 3:20
      Permalink

      1) Cannarsi vende un prodotto immateriale: il suo lavoro e la sua immagine sul mercato. Non c’è alcun male in questo, essendo la sua professione, né mi pare di aver usato termini insultanti: il piazzista è quello che vende in piazza al mercato, è un mestiere difficile e faticoso in cui si fa uso di certe strategie comunicative come usare una parlantina sciolta, dimostrare assoluta certezza in quel che si dice, ingigantire o falsificare pur di vendere la merce, dire certe cose e tacerne altre, eccetera. Non c’è niente di male in sé né sto condannando la cosa: dico solo che lui lo fa, poi ognuno veda se la cosa è buona o no. Non gli ho affibbiato alcun epiteto.

      2) L’esempio de Il trono di spade «funziona» nel senso che svolge il suo scopo, ovvero fornire le vocali e consonanti giuste necessarie in quell’occasione. Non ho espresso alcun giudizio qualitativo.

      3) Prima riga: gli articoli non parlano di Cannarsi, ma dell’adattamento di Cannarsi per Lucky Red dei film Ghibli. Quindi: come c’è arrivato, come lavora, ed esempi pratici in tre campi.

      4) Se infarcisci di errori una lettera professionale formale, non hai cura della lingua.

      5) Questi articoli stanno facendo fact-checking di ciò che dice/scrive: se ritieni che gli Emishi abitassero al sud, o che “pulzelle” non sia letterario, o che “baka” abbia un significato univoco, benissimo, argomenta, sono tutt’orecchi.

      Rispondi
      • 23 Dicembre 2018 in 19:02
        Permalink

        1) Anche tu stai vendendo un prodotto immateriale: le visite al tuo sito e la *tua* idea di adattamento, spacciando per canonico qualcosa di opinabile;

        2) Hai espresso un giudizio qualitativo e soggettivo scrivendo che l’adattamento e’ “il lavoro con cui si trasforma un testo da una lingua all’altra in modo tale che sia il fruitore della lingua di partenza sia il fruitore della lingua di arrivo ricevano le stesse informazioni per qualità e quantità.” => si adatta pensando al fruitore (figura ideale che non esiste in quanto eterogenea; di norma, in questi casi e’ l’adattatore che considera se stesso come “il fruitore”); inoltre, e’ utopia che il fruitore della lingua di partenza e quella di arrivo possano essere messi sullo stesso piano, dato che ci sono differenze culturali, formali, temporali ecc.

        Questa e’ una *tua* personale opinione, non canonizzata e non regolamentata.

        Per altri, l’adattamento e’ il lavoro con cui si traduce un testo da una lingua all’altra in modo che ad ogni parola e concetto espresso in lingua originale ne corrisponda uno fedele nella lingua di arrivo => Non si adatta pensando al fruitore (soggettivo) ma solo alla lingua d’arrivo (oggettiva).

        3) Se gli articoli non parlano di Cannarsi, ma solo dell’adattamento di Cannarsi per Lucky Red dei film Ghibli, cancella tutta la parte che precede il paragrafo L’ARRIVO IN LUCKY RED.

        4) Tu non invece sei semplicemente scorretto, dato che scrivendo:
        “Fra calchi letterali dall’inglese («Storia lunga fatta breve»), pomposità inutili (persone con una «passione per le arti visive», cioè? Studenti del DAMS?), ripetizioni continue («films […] film», fra l’altro con una errata -s plurale), parole fintamente eleganti usate a casaccio (lavorazioni dei film «non intentate» invece di “non iniziate”, peccato che “intentare” significhi “fare causa” e non è sinonimo di “iniziare”, oppure la citazione che «Muska mi devolve», come fosse denaro o un bene materiale lasciato in eredità), errori da terza elementare («gli orecchi» invece di «le orecchie»)”
        Hai _mischiato_ quanto scritto da Muska (“films” e le ripetizioni, “passione per le arti visive”) con quanto scritto da Cannarsi su un forum e _NON_ in una lettera professionale formale; inoltre, dovresti fare un ripasso da vocabolario del verbo “infarcire”. Btw, secondo Treccani:(pl. orecchie s. f., non com. orecchi) e quindi nessun errore (lo usi tu stesso nell’ultima riga del post che sto citando!! °°)

        5) Abito a 10.000 chilometri da Cannarsi eppure, come molti altri, riesco a discutere tranquillamente con lui.

        Rispondi
        • 23 Dicembre 2018 in 19:16
          Permalink

          1a) Questo sito è privo di pubblicità e sostenuto per autofinanziamento dei soci dell’Associazione Culturale Dimensione Fumetto, che non hanno nessun beneficio di nessun tipo da maggiori o minori visite.

          1b) No, guarda, è Cannarsi che spaccia per canonico, unico, fattuale qualcosa di opinabile e soggetto a una vasta possibilità di scelte, come scrivo fin dal primo articolo. Lo hai letto?

          2a) «al fruitore (figura ideale che non esiste in quanto eterogenea»: è una figura retorica che si chiama sineddoche, e con il singolare “il fruitore” intendevo il plurale “i fruitori”, ovvero il pubblico.

          2b) «l’adattatore che considera se stesso come “il fruitore”»: che cosa??? L’adattatore è UNO, il pubblico una moltitudine, ovviamente l’adattatore non può assolutamente, nella maniera più assoluta pensare di star adattando per sé stesso scegliendo modalità che siano adeguate ai suoi gusti o metodi. È pagato per adattare per il pubblico, non per sé stesso.

          2c) «e’ utopia che il fruitore della lingua di partenza e quella di arrivo possano essere messi sullo stesso piano, dato che ci sono differenze culturali, formali, temporali ecc.» e colmarle è esattamente, precisamente il lavoro dell’adattatore.

          2d) «Per altri, l’adattamento e’ il lavoro con cui si traduce un testo da una lingua all’altra in modo che ad ogni parola e concetto espresso in lingua originale ne corrisponda uno fedele nella lingua di arrivo»: per altri chi, esattamente, oltre a Cannarsi? Anzi nemmeno Cannarsi, perché come vedremo nel quarto articolo lui non è assolutamente fedele.

          3) Mi stai dando ordini?

          4) La lettera è stata revisionata da Cannarsi, quindi si suppone che a lui stessero bene quelle parole. Io ho sottolineato gli errori: quelli sono scorretti, non io.

          5) Ne sono lieto.

          Rispondi
          • 23 Dicembre 2018 in 20:19
            Permalink

            1a) Bene per il sito, pero’ noto che hai omesso la parte in cui scrivevo che stai vendendo un prodotto immateriale, ossia la *tua* idea di adattamento, spacciando per canonico qualcosa di opinabile.

            1b) Da questo punto di vista siete identici. Tu hai la tua idea di adattamento e lui ha la sua. Sia tu che lui volete dimostrare che la vostra idea e’ quella preferibile. La differenza e’ che tu la butta sul personale (parlando dal tuo pulpito) e lui no.

            2a) Intendevo solo che tu identifichi “il fruitore” come una massa di soggetti omogenei, come hai scritto descrivendo la tua personale idea di adattamento; io ti ho proposto un’idea di adattamento che ha la stessa dignità di esistere della tua e che non fa mai alcun riferimento a questo fantomatico “fruitore”.

            2b) Scusa ma… dove vivi?
            Sai che nel doppiaggio italiano di Brain Powerd si e’ deciso di sostituire “Mozart” a “Nietzsche” perche’ convinti che il pubblico non conoscesse Nietzsche?
            Sai che Maldesi si invento’ C1-P8 perche’ lo considerava un nome piu’ simpatico rispetto a RD-D2 (“C1-P8, sei rotto?”… richiamava Gianni e Pinotto)? Anche Darth Vader venne scartato perche’ suonava male; cambio’ tutti i nomi secondo i suoi gusti personali. E Maldesi era ritenuto in Italia il punto di riferimento per ogni direttore di doppiaggio.
            Ah, tutte le cadenze regionali inserite nei Simpson perche’ considerate piu’ divertenti?
            Guarda che l’elenco e’ infinito.
            L’adattatore e/o il direttore di doppiaggio decidono senza contraddittorio secondo i propri gusti soggettivi e personali, questa e’ la prassi in Italia.

            2c) Pensare di colmarle e’ utopia. Un giapponese non avra’ mai la testa di un italiano. Ma neanche un americano. Quanto dici e’ solo un’illusione che apre la porta alla liberta’ creativa di ogni adattatore, che finisce con l’agire nel modo che *lui* preferisce.

            2d) Come “Altri chi?”? Non crederai che il mondo si esaurisca su Internet ^^’

            3) “Mi stai dando ordini?” -> ti invito alla correttezza. Se intendi parlare solo delle cose che ha fatto per Lucky Red, tutto il cappello che precede quella parte dimostra la tua non-oggettività e la *tua* idea di adattamento giusto che vuoi portare avanti.

            4) “si suppone” -> *tu* supponi; ogni tuo uso dell’impersonale sembra il tentativo maldestro di lavarsi le mani delle proprie affermazioni.

            5) E’ la differenza che c’e’ tra dialogo e monologo. Ma continua pure il soliloquio ^^

          • 24 Dicembre 2018 in 17:14
            Permalink

            Premetto che è l’ultima risposta che ti scrivo, almeno per questo articolo, dato che nessuno dei tuoi commenti aggiunge nulla alla discussione.

            1a) Io non vendo nulla poiché non ottengo né soldi né vantaggi né niente di niente da questi articoli.

            1b) Non c’è niente di personale.

            2a) Questo è solo quello che tu pensi che io penso.

            2b) Quello che fanno gli altri non è minimamente rilevante per questi articoli, il cui scopo è valutare l’operato di Gualtiero Cannarsi e non fare confronti. Se mai ci saranno confronti, serviranno per analizzare il suo lavoro e non per valutare il lavoro altrui, che non è in nessuna maniera l’argomento di questi articoli. Mai, mai è stato scritto né verrà scritto che Cannarsi è migliore o peggiore di altri. Se leggendo gli articoli si ha l’impressione che Cannarsi sia meglio o peggio di altri, dipende dal lettore. Qua non sono stati espressi, non si esprimono e non si esprimeranno giudizi qualitativi sul lavoro di Cannarsi. L’unico aggettivo usato è stato «pessimo» nel primo articolo nel seguente contesto:

            «Il lavoro di Cannarsi per Lucky Red, infatti, è pessimo. “Pessimo” non per gusti personali, ma perché non rispetta in alcuna maniera le regole del mestiere».

            Quindi non si sta dicendo che il lavoro di Cannarsi è pessimo in sé, ognuno può giudicarlo come vuole. Si sta dicendo che è pessimo in rapporto alle regole, usi e consuetudini del mestiere. Se ritieni che le regole, usi e consuetudini del mestiere di adattatore siano solo aria fritta che Cannarsi è venuto a rivoluzionare, allora dovresti essere solo entusiasta del fatto che io lo definisco pessimo rispetto al mestiere, no? Anche gli impressionisti furono definiti pessimi in rapporto alle belle arti accademiche del tempo, e oggi invece sono fra gli artisti più amati di sempre, quindi se hai assoluta certezza nella validità del lavoro di Cannarsi non saranno certo i miei articoli a farti cambiare idea né a modificare la storia futura.

            2c) No, l’adattatore agisce nel modo di volta in volta più pertinente. Se alcuni, o persino se tutti non lo fanno non vuol dire che quella sia la regola.

            2d) La tua minimizzazione di Internet non ha nessun senso storico né, tantomeno, nessun senso riferito a questi articoli.

            3) Non ho nessuna idea di adattamento, sto verificando fattualmente se le parole di Cannarsi corrispondono a verità o meno. È quello il cuore della questione, non altro.

            4) In effetti non suppongo affatto: sono assolutamente certo oltre ogni dubbio che Cannarsi abbia revisionato e approvato la lettera: lo certifica l’utente Muska. Quindi sono assolutamente certo che quell’italiano gli stava benissimo, sennò l’avrebbe cambiato.

            5) Dato che ci stiamo rispondendo botta e risposta, mi chedo di quale monologo parli. Anzi, non me lo chiedo affatto.

    • 23 Dicembre 2018 in 10:49
      Permalink

      Parlando dei suoi adattamenti e del fatto che (secondo lui) la loro validità rimarrà immutata nel tempo, Cannarsi dice, un paio di giorni fa:
      “La fedeltà è l’unica possibilità di comprensione del vero. Di salvaguardia del vero. Tutto il resto sta a zero. Oltre al vero, e a chi è interessato a quello, c’è solo il vacuo sollazzo della frivolezza”
      In altre parole lui innalza il suo metodo (“la fedeltà”) a portatore di verità assoluta e quindi, di conseguenza, egli stesso (“chi è interessato a quello”) è il difensore della verità mentre tutti gli altri cercano solo un inutile intrattenimento.
      Chi innalza le sue opinioni e i suoi metodi a verità assoluta, etichettando malamente le opinioni altrui è quindi Cannarsi stesso, non l’autore dell’articolo che, se hai letto attentamente, cita anche fonti esterne quale ad esempio il filosofo e grande teorico della traduzione Schleiermacher. Era lui che, già ai suoi tempi (ovvero, ben prima che mezzi come quello della televisione e di internet con la loro immediatezza fossero inventati… Pensa un po’!) teorizzava metodi più avanzati di quelli di Cannarsi. All’università ho passato più di un esame di teoria della traduzione e ti assicuro che il metodo Cannarsi è, appunto, un metodo tutto suo. Non è suffragato da alcuna base scientifica e accademica (che infatti lui non ha mai citato per difendere il suo operato) e ti dirò di più: nemmeno agli albori di questa disciplina, quando i metodi moderni non erano ancora stati elaborati, il metodo Cannarsi avrebbe probabilmente trovato sostenitori dato che pure all’epoca del source-oriented nessuno si permetteva però di tradire in modo così evidente la lingua d’arrivo e le sue regole. Applicando il metodo Cannarsi all’inglese, sarebbe come dire “Io sono 20 anni vecchio” per esprimere la propria età.

      Rispondi
      • 23 Dicembre 2018 in 18:30
        Permalink

        @Heavenly29

        Non fare il furbetto!
        Piu’ sotto ha specificato:
        “Allora la vera scelta è sempre la stessa: mantenere il contenuto, nella sua fedele verità, oppure deformarlo ad uso di una maggiore naturalezza per dei riceventi stranieri, traslati? Io scelgo la prima. La verità di cui parlo, chiaramente, non è la Verità ontologica, è solo la verità del contenuto linguistico di un testo.”

        Eccoti la risposta.

        > Applicando il metodo Cannarsi all’inglese, sarebbe come dire “Io sono 20 anni vecchio”
        > per esprimere la propria età.

        I testi italiani del film Kill Bill: vol.1 sbugiardano questa tua affermazione. Sono *suoi*.

        > Non è suffragato da alcuna base scientifica e accademica

        Ma parli dell’adattamento? Basi scientifiche e accademice? Ma non esistono.
        Davvero, dimostrate di non sapere di cosa state scrivendo.

        Che titoli aveva Elio Vittorini – che *non* conosceva l’inglese – per tradurre Edgar Allan Poe?
        forum.corriere.it/scioglilingua/30-04-2011/a-proposito-di-elio-vittorini-traduttore-1781973.html

        E che titoli aveva Dacia Maraini per inventarsi di sana pianta l’adattamento e il doppiaggio italiano di Solaris?

        Guarda, nei doppiaggi italiani la prassi e’ quella di mettere in bocca ai personaggi qualcosa di sensato secondo i gusti dell’adattatore di turno; la fedelta’ all’originale e’ quasi sempre l’ultimo dei problemi.
        Non esistono “regole del mestiere”, non esiste un canone; esistono solo abitudini consolidate.

        All’autore dell’articolo, volevo citare anche le traduzioni del Tanàkh ad opera di Erri De Luca:
        “Più che attenuto, mi sono appiattito, schiacciato sulla parola ebraica per riprodurla a calco in italiano: compreso per esempio l’ordine della frase o la rinuncia di quella lingua al verbo avere… L’intento è quello di procurare nostalgia dell’originale”. (parla di Šemot/Esodo).

        Rispondi
          • 23 Dicembre 2018 in 19:09
            Permalink

            > E quindi?

            Finito le argomentazioni? ^^

            E quindi fatevene una ragione: se si parla di adattamento, non esistono regole canonizzate

            Quello che spacci all’inizio del dossier come “il canone dell’adattamento” e’ solo una delle tante visioni possibili dell’argomento.

            Tu condividi quell’idea e ti stai facendo in quattro per difenderla.
            Altri non la condividono.

            Pace.

          • 23 Dicembre 2018 in 19:23
            Permalink

            Sicuramente sei a conoscenza che esite una disciplina nota come Scienze della traduzione, a conferma che esistono regole canonizzate e poi come. Forse quello che volevi dire è che non esiste una regola unica per adattare, e su questo ti dò perfettamente ragione, peccato che ad affermare il contrario è proprio Cannarsi, che parla in continuazione di Verità, Correttezza e Fedeltà come fossero concetti astratti e unici.

          • 23 Dicembre 2018 in 19:24
            Permalink

            A quanto leggo (qui e sui vari social) “altri” saresti solo tu. Però è sicuramente una mia impressione eh.

        • 23 Dicembre 2018 in 19:35
          Permalink

          Leonherd, ma perché ti scaldi tanto? Mi sembra quasi che qualcuno ti stia scrivendo le risposte… A pensar male…

          Rispondi
        • 23 Dicembre 2018 in 19:52
          Permalink

          >Guarda, nei doppiaggi italiani la prassi e’ quella di mettere in bocca ai personaggi qualcosa di sensato secondo i gusti dell’adattatore di turno; la fedelta’ all’originale e’ quasi sempre l’ultimo dei problemi.
          OPS. Quindi Cannarsi non è per niente fedele? OOOPS.

          >Non esistono “regole del mestiere”, non esiste un canone; esistono solo abitudini consolidate.
          Non meriti nemmeno risposta, stai solo insultando la tua intelligenza.

          Rispondi
        • 23 Dicembre 2018 in 20:27
          Permalink

          Non sto facendo la furbetta, semplicemente non c’è alcuna risposta nemmeno in quello che citi. Quello di cui parla lui, che lo chiami “verità”, o “contenuto” o “fedeltà” o quel che vuoi, sono concetti astratti e non obiettivi. A lui fa comodo spacciarli per obiettivi ma, mi spiace, le lingue non sono formule matematiche, e i prodotti artistici che fanno uso di una qualsiasi lingua saranno sempre soggetti a interpretazioni e sfumature talvolta nemmeno spiegabili. Per questo la traduzione si definisce imperfetta, per questo menti più brillanti ed esperte di te e me si sono scervellate per anni per trovare una soluzione al “problema” traduzione senza mai giungere a una conclusione, per questo non è possibile creare una macchina che traduca automaticamente.
          Quando Mario Pasqualini scrive che l’adattamento è “il lavoro con cui si trasforma un testo da una lingua all’altra in modo tale che sia il fruitore della lingua di partenza sia il fruitore della lingua di arrivo ricevano le stesse informazioni per qualità e quantità”, non sta esprimendo una sua opinione ma sta dando la definizione più accettata di adattamento. Ovviamente, come dicevo, non c’è un solo modo perfetto per fare ciò e per questo chi adatta può solo provare a offrire al pubblico d’arrivo gli stessi concetti che ha ricevuto il pubblico in partenza.
          Quando invece tu scrivi “Per altri, l’adattamento è…”, mi dici esattamente chi sarebbero questi altri? A parte Cannarsi, s’intende. Il metodo di cui parli, oltre a essere esso stesso un’utopia in quanto si rifà a un concetto astratto di fedeltà e di contenuto interpretabile, non è supportato dai più recenti studi in quanto ritenuto non realizzabile e addirittura dannoso.
          Se fosse possibile scomporre il contenuto originale in concetti precisi e perfetti come un’equazione, cosicché a parola giapponese A corrisponde sempre parola italiana B, la traduzione automatica sarebbe possibile. Sorpresa sorpresa! Ci hanno provato diversi signori con svariati esperimenti ben prima che Cannarsi nascesse, provando a dare alla macchina regole e dizionari, provando ad attribuire a ciascun lemma dei sottoelementi costutuenti del significato e perfino creando un’interlingua apposita per questa operazione. Ci sono riusciti a creare qualcosa di perfetto e immutabile nel tempo? No, così come non c’è riuscito Cannarsi, naturalmente.
          Altre precisazioni sparse:
          – ovviamente il mio dell’inglese e dell’età era un esempio molto semplice per evidenziare l’operazione che a volte Cannarsi fa col giapponese, non ho detto che fosse un caso reale.
          – sì, parlo di basi scientifiche e accademiche, e il fatto che tu le ignori dimostra solamente che sei tu che non sai di cosa stai parlando, non che non esistano. Esiste una disciplina chiamata scienza della traduzione o teoria della traduzione e non l’ho inventata io, ti prego di informarti o evitare di sparare giudizi a caso.
          – se qualcuno nel mondo dell’adattamento fa di testa sua e rovina i prodotti su cui lavora è altrettanto biasimabile e questo non giustifica altri a lavorare in un certo modo.
          Ti stupirà forse sapere che qui ci sono persone, compresa la sottoscritta, che hanno studiato i vari metodi di traduzione, adattamento e localizzazione a seconda del mezzo per il quale si traduce, i quali sono basati su altrettanti studi che si collegano a varie altre scienze come la linguistica, la sociologia, la cinematografia, e così via. E per quanto nessuno ti insegnerà mai a tradurre in modo perfetto, chi fa questo lavoro non dovrebbe ignorare metodi raffinati nel tempo grazie a varie esperienze, studi e argomentazioni e seguire un proprio metodo inventato, altrimenti il risultato è quello sotto gli occhi di tutti.

          Rispondi
  • 23 Dicembre 2018 in 19:49
    Permalink

    @Andrea Gagliardi

    > A quanto leggo (qui e sui vari social) “altri” saresti solo tu.

    Da quando i “social” sarebbero un campione statistico attendibile?

    C’e’ tantissima gente che scrive sui social convinta che la nostra terra sia piatta e, probabilmente, sono molti di più rispetto a quelli che scrivono convinti che la terra sia sferica.

    Secondo il tuo personale modo di vedere le cose, la nostra terra sarebbe dunque piatta ^^’

    Fuori dai “social” esiste il mondo reale, nel caso te ne fossi dimenticato.

    Rispondi
    • 23 Dicembre 2018 in 20:18
      Permalink

      …ed è proprio per questo che ritengo i tuoi commenti statisticamente e contenutisticamente irrilevanti.

      Rispondi
      • 23 Dicembre 2018 in 20:21
        Permalink

        Infatti lo sono, come i tuoi e l’intero articolo di questo sito ^^

        Rispondi
        • 23 Dicembre 2018 in 20:26
          Permalink

          Articolo che ritieni talmente irrilevante da dedicargli la bellezza di tredici commenti in forma anonima. Epperò, ne hai di tempo da dedicare alle cose inutili.
          Qui il sospetto adombrato da Boyfriend Drago si fa sempre più pregnante.

          Rispondi
          • 23 Dicembre 2018 in 20:35
            Permalink

            Hai omesso la parolina chiave: “statisticamente” irrilevante 😉

          • 23 Dicembre 2018 in 20:42
            Permalink

            Il modo in cui cambi ogni volta la tua mail di registrazione invece è statisticamente molto rilevante. 😉

  • 23 Dicembre 2018 in 19:51
    Permalink

    > Cannarsi, che parla in continuazione di Verità

    “Verità del contenuto linguistico di un testo”, cit. Cannarsi

    Rispondi
  • 23 Dicembre 2018 in 19:58
    Permalink

    >I testi italiani del film Kill Bill: vol.1 sbugiardano questa tua affermazione. Sono *suoi*.
    Se proprio vogliamo essere precisi e a onor del vero, la traduzione è di Cannarsi, i dialoghi sono di Carlo Valli. [link]
    Tra l’altro questa tua affermazione non sbugiarda assolutamente nulla, mi spiace. Dovresti imparare ad argomentare.

    Rispondi
    • 23 Dicembre 2018 in 20:32
      Permalink

      > Se proprio vogliamo essere precisi e a onor del vero, la traduzione è di Cannarsi,
      > i dialoghi sono di Carlo Valli

      Mi passi una bell’assist: in quanti altri doppiaggi italiani (non di anime) trovi accreditato il nome del traduttore?

      Rispondi
      • 23 Dicembre 2018 in 21:16
        Permalink

        Nessun assist (spoiler: è maschile), Leonherd, sono un giocatore solitario. Non lo so, non conto le volte in cui appare il nome di un traduttore, ma magari è il nostro amico comune ad aver preteso di essere accreditato e dopo tante insistenze è stato accontentato. Non mi è mai parsa una gran traduzione, tant’è che non compare nemmeno sulla pagina di wikipedia di GC, come ben sai. Tra l’altro, nel DVD non mi pare sia accreditato, ma magari non ho cercato bene io. Non ho nemmeno trovato il suo nome in KB2, mi sembra significativo, tu che ne dici? 😀

        Rispondi
      • 24 Dicembre 2018 in 1:25
        Permalink

        Tralasciando che Cannarsi non è né il primo né l’ultimo traduttore o responsabile dell’adattamento a essere accreditato nei titoli di coda, ma poi che significherebbe? Sai bene, vero, che tra questo e la qualità della traduzione non c’è alcun nesso e che chi decide queste cose spesso non conosce nemmeno l’adattamento né la lingua in questione? Sinceramente se hai bisogno di simili “argomentazioni” nel tentativo disperato di provare che Cannarsi fa un buon lavoro, ti fai un autogol (per rimanere in tema calcistico) e la discussione si può anche chiudere qui.

        Rispondi
  • 23 Dicembre 2018 in 22:14
    Permalink

    Bhe abbiamo appurato definitivamente che gli adattamenti di Cannarsi non sono ne carne ne pesce . Si è venduto bene , in pieno stile italiano . Come girolamo panzetta in giappone . Dai poi il nome proposto da altri e una cosa da film , una cosa da giapponesi …….

    Rispondi
  • 24 Dicembre 2018 in 0:14
    Permalink

    tanto-per-parlare le tue argomentazioni per quanto sensatissime e da me condivise sono assolutamente superflue. Qui la questione è che tutta l’impalcatura di questi articoli è auto-contraddittoria, perché chi li ha scritti non avrebbe potuto scriverli seguendo il vaglio della sua stessa logica. Ovvero sono gli stessi articoli che mi dicono di dubitare del loro autore, del suo curriculum e delle sue competenze invece che farmi dubitare dell’operato di un professionista, una specie di autogoal clamoroso insomma, nient’affatto risolto dal disclaimer iniziale.

    Insomma siamo nel territorio del bue che dice cornuto all’asino…

    Rispondi
      • 24 Dicembre 2018 in 10:32
        Permalink

        Secondo la tua logica, chiaramente espressa, non posso io e non puoi nemmeno tu nei confronti di Gualtiero Cannarsi. Né io, né te, né lui possediamo titoli accademici in merito, no? E va da sé che non è sufficiente riferirsi a persone qualificate, che peraltro tu non citi puntualmente con metodo scientifico/accademico (dici soltanto di essertene avvalso), perché questo certamente l’ha fatto anche Gualtiero, avvalendosi di traduttori ed esperti in materia. Tra l’altro credo che poi Cannarsi si sia pure laureato e oggi tiene anche dei corsi… Il punto è: come puoi delegittimare la figura professionale di Gualtiero parlando di titolo di studio e competenze che non avrebbe acquisito e poi nel dialogo con me far valere i meri dati? ma scusa, i dati, la verità la correttezza non sono forse le argomentazioni di Gualtiero stesso? Quindi tu faresti eccezione alla tua stessa logica? Tutto ciò che scrivi mi pare paradossale.

        Rispondi
        • 24 Dicembre 2018 in 16:34
          Permalink

          Approfitto di questo commento per comunicare che da questo momento in poi mi rifiuto categoricamente di rispondere a commenti il cui unico scopo è provocarmi, o chiedere giustificazioni e spiegazioni per quello che scrivo, o peggio per indicare come puramente soggettivi e indimostrabili questi articoli. Contestualmente smetto di moderare e approvare commenti, delegando al direttore del sito questo lavoro giudicando di volta in volta se pubblicarli: finora ho approvato personalmente tutti i commenti, nessuno escluso, tranne uno per specifica richiesta del suo autore.

          Questi articoli si occupano del lavoro di Gualtiero Cannarsi e non intendono in nessuna maniera metterlo volontariamente in cattiva luce.

          Questi articoli si occupano del suo lavoro. In nessun caso e per nessun motivo è stata scritta una singola parola o un singolo aggettivo sulla persona Cannarsi, sui suoi gusti personali, sulle sue preferenze, sulla sua immagine, sulle sue storie private, sulle sue frequentazioni. Se mai dovesse essere successo o dovesse succedere, invito a segnalarmelo tempestivamente.

          Questi articoli si occupano del suo lavoro. Un lavoro si ottiene solitamente poiché si posseggono determinate competenze specifiche o, al contrario, perché non le si posseggono e quindi si vuole far sì che il lavoratore le apprenda sul campo: entrambe le possibilità sono assolutamente lecite. Nel primo articolo è stata presa in considerazione la carriera accademica e lavorativa di Cannarsi pre-Lucky Red proprio per capire come è iniziato questo lavoro, e non per farlo apparire più o meno competente. Sono stati riportati solo i dati effettivamente verificabili dalle fonti. Dopo aver riscontrato che Cannarsi non possiede, almeno accademicamente, le competenze solitamente richieste per il suo lavoro, non ho avviato una campagna denigratoria né chiesto la sua rimozione lavorativa: mi sono limitato ad appurare i fatti.

          Questi articoli si occupano del suo lavoro. Le interviste ai mass media sono parte del lavoro di Cannarsi e della sua comunicazione pubblica. Tutto quello che è stato fatto in questo secondo articolo è stato sbobinare scrupolosamente una delle sue interviste poiché ritenuta quella più ricca di contenuti, e verificare se quello che è stato detto risponde effettivamente al vero o no utilizzando dati verificabili, tutti linkati in blu nell’articolo. Per la maggior parte si è cercato di linkare materiali in italiano, laddove non è stato possibile si è ricorso a materiali in inglese o in giapponese. Posseggo molti altri materiali cartacei che sarebbero stati pertinenti e avebbero fornito altre fonti e che avrei potuto listare in bibliografia, ma trattandosi soprattutto di libri in lingua giapponese disponibili solo in Giappone, non sono stati inseriti negli articoli per la precisa scelta di fornire solo materiali consultabili da tutti: dichiarare che una certa informazione viene da un libro che il lettore non può consultare avrebbe potuto fargli venire il sospetto che ho modificato dei dati o addiruttura che quel libro non esista affatto. Linkando solo fonti virtuali perdo molti spunti interessanti che avrei potuto scrivere, ma almeno così ognuno può leggere coi suoi occhi e approfondire. Se dalla verifica delle sue dichiarazioni risulta che ha mischiato insieme dati veri e dati falsi e questo lo mette in cattiva luce, non è colpa mia: io ho fatto solo fact-checking.

          Questi articoli si occupano del suo lavoro. Se la verifica fattuale delle sue dichiarazioni lo mette in cattiva luce, non sono io quello da biasimare.

          Rispondi
          • 24 Dicembre 2018 in 16:58
            Permalink

            Salve, sono “il direttore del sito”.
            Da questo momento in poi tutti i commenti verranno moderati da me. La decisione è stata presa dal sottoscritto in quanto responsabile ultimo (anche legalmente parlando) dei contenuti del sito, commenti compresi.
            Qualunque commento che non riguardi l’argomento trattato ma abbia lo scopo di “buttarla in cagnara” non verrà autorizzato.
            Ogni commento proveniente da account non verificabili, e pertanto apparentemente o palesemente fake (come quelli di chi inserisce mail non valide) verranno cassati in automatico indipendentemente dal loro contenuto.
            Buon dibattito a tutti gli altri.
            P.S. vi libero dall’incombenza di accusarmi di antidemocraticità. Qui non c’è democrazia in quanto le querele del caso me le beccherei io in maniera assolutamente antidemocratica.

          • 24 Dicembre 2018 in 17:23
            Permalink

            Il mio intento è semplicemente quello di far notare all’autore e a tutti le evidenti aporie di questi scritti. Nel primo articolo, al paragrafo: LO “STILE CANNARSI” scrivi chiaramente che è richiesto un bagaglio di competenze specifiche per fare quel dato mestiere (tra l’altro linkando un articolo che parla di traduzione e non di adattamento e direzione del doppiaggio ma tralasciamo) e giudichi l’operato di Cannarsi pessimo in virtù del fatto che lui non le possiederebbe. Ma a me, da ignorante, la prima cose che viene da chiedermi è quali siano le competenze dell’autore di un testo che giudica le altrui competenze assenti e il suo lavoro pessimo.

            Ovvero che autorevolezza hai per dire che il lavoro di qualcun altro è pessimo? L’ironia e il paradosso è che un testo come il tuo si presta a essere criticato precisamente come tu critichi il lavoro altrui, no? Come fai a conoscere le regole del mestiere se tu per primo non fai quel mestiere? Siamo, insomma nel territorio tipicamente italiano del “siamo tutti allenatori di squadre di calcio”.

            Io sono una persona ignorante in materia ma non posso fidarmi certo di un approccio del genere, del tutto contraddittorio. Se devo giudicare le singole argomentazioni, quelle di Gualtiero mi sembrano molto più convincenti e condivisibili, se devo giudicare le competenze, beh, il CV di Cannarsi parla da solo.

          • 24 Dicembre 2018 in 17:36
            Permalink

            Passo questo commento per far capire come funzioni l’off-topic.
            Non entri nel merito di quanto scritto ma contesti l’autore richiedendo competenze. Come se io per fare critica di fumetto dovessi saper disegnare/sceneggiare ecc… per farla breve, non ha senso.
            Le competenze di chi ha scritto il pezzo sono quelle necessarie a scrivere l’articolo (analisi del testo, ricerca di documentazione, proprietà di linguaggio ecc…) e la ricchezza di documentazione apportata da Mario mi sembra inequivocabile. Se a te non sembra altrettanto dovresti contestare le argomentazioni piuttosto che l’autore.
            Questo non è un processo a Cannarsi e tantomeno deve diventare un processo a Mario.
            Detto questo, nessun commento che non risponda nel merito ma si ostini a discutere l’autore dell’articolo verrà autorizzato dal sottoscritto.

          • 24 Dicembre 2018 in 17:47
            Permalink

            No, non giudico affatto l’operato di Cannarsi in base alle sue competenze: le ho solo elencate.

            Ho scritto, copio/incollo di nuovo:

            «Il lavoro di Cannarsi per Lucky Red, infatti, è pessimo. “Pessimo” non per gusti personali, ma perché non rispetta in alcuna maniera le regole del mestiere».

            Quindi non solo non giudico il lavoro di Cannarsi pessimo in base alle sue competenze, ma nemmeno pessimo in sé né tantomeno pessimo per giudizi personali: è pessimo se analizzato coi canoni tradizionali della traduzione e dell’adattamento. Se si ritiene che questi canoni siano solo vecchiume insensato, allora essere considerati pessimi rispetto a questi canoni è solo un complimento, no?

  • 24 Dicembre 2018 in 0:51
    Permalink

    Ma perché ti stai scaldando tanto e stai sviando il discorso? Abbiamo capito che ti piace la faccetta ^^, gli emoticon sorridenti, ed chiaro che difendi Cannarsi e il suo operato, ma perché non contesti direttamente le questioni puntuali di cui parla l’articolo? Altrimenti è come prendersela con il dito che indica la Luna. Voglio dire, per mettere in torto un terrapiattista gli si spiega la forza di Coriolis, gli si mostra la differente rotazione delle stelle osservate dai due emisferi, al limite lo si porta nello spazio.
    In generale si contestano i punti importanti portando delle prove. Per creare un confronto tra pari che sia proficuo si fa così, sai? L’onere della prova pesa sulle spalle di chi afferma qualcosa, altrimenti è un continuo giocare allo specchio riflesso.
    Se ti si rompe la caldaia e non hai le competenze per aggiustarla dovrai chiamare un tecnico specializzato in tale ambito, idem per questioni legate alla filosofia, alla poesia, alla medicina, alla fisica, alla matematica e così via. Se non si sa nulla delle questioni che riguardano uno specifico ambito si dovrebbe tacere (“non fingo ipotesi”, scrisse Newton) e affidarsi a chi sa qualcosa ed è più preparato. Dato che difendi Cannarsi evidentemente hai delle competenze che ti permettono di spiegare perché il suo operato è migliore. Dunque, perché non argomenti per bene smontando le affermazioni che l’articolo fa sugli Emishi, sulle “pulzelle”, sul “baka” e sul “belloccio”? Mario ha spiegato perché Cannarsi sbaglia, facendosi carico dell’onere della prova, perciò ora tocca a te. Un confronto serio avviene così.

    Rispondi
    • 24 Dicembre 2018 in 1:16
      Permalink

      PS: io non ho le competenze per tradurre e/o adattare un testo giapponese, pertanto non posso fare altro che leggere i pareri di chi ne sa più di me senza intromettermi nella discussione. Ho letto sia le spiegazioni di Cannarsi che quelle di Mario, e penso che sarebbe interessante un confronto.

      Rispondi
  • 24 Dicembre 2018 in 9:59
    Permalink

    Noto con tristezza che alcune critiche sembrano venire da persone che paiono non aver letto con attenzione gli articoli (visto che le risposte e le argomentazioni sono già contenuti nel testo) e non comprendere bene la differenza tra “adattamento” e “traduzione”.
    Eppure basterebbe aver fatto una versione di latino al liceo per comprenderla.

    Rispondi
  • 2 Gennaio 2019 in 15:18
    Permalink

    Quando nel primo articolo commentavo sostenendo che era controproducente mettere delle conclusioni già nel primo articolo (parlando di errori inaccettabili, piazzista ecc ecc) intendendevo proprio questo. Si danno degli agganci ai sostenitori di Cannarsi e a chiunque voglia leggere negativamente questi articoli attaccandosi ai pregiudizi di chi scrive l’articolo nei confronti di Cannarsi.
    Sia chiaro, io sono d’accordo con ogni parola e li trovo interessantissimi anche per quanto riguarda tutti i retroscena di come è arrivato a fare quello che fa e il suo metodo di lavoro.

    Poi per giudicare il lavoro di Cannarsi credo sia sufficiente la quinta elementare e un semplice ragionamento. Molti dei film che adatta sono dedicati (anche) ad un pubblico di bambini. E questi bambini dubito che in Giappone possano avere alcun tipo di difficoltà a comprendere i dialoghi. Chiedetevi invece se i dialoghi italiani sono di così semplice comprensione per un bambino…

    Una cosa che ha poco a che fare col tutto, ma mi ha fatto pensare a questi articoli nei giorni scorsi:
    L’altra sera guardavo “C’era una volta in America” nella versione del 2012 con le traduzioni originali ripristinate e 25 minuti di scene restaurate per la prima volta. Quei 25 minuti non sono tradotti ma solo sottitolati (avendo recuperato il doppiaggio originale era impossibile farle doppiare).
    C’è una scena in cui al protagonista viene chiesto di firmare un testamento (Last will) e lui pochi secondi dopo risponde ad una domanda con “I will” (tradotto nei sottotitoli con “Lo farò”).
    Mi s’è gelato il sangue a pensare a cosa avrebbe potuto fare Cannarsi visto che ogni parola va tradotta sempre nello stesso modo (will in questo caso, con due significati e traduzioni decisamente diverse)…

    Rispondi
    • 2 Gennaio 2019 in 15:19
      Permalink

      “attaccandosi ai pregiudizi di chi scrive l’articolo nei confronti di Cannarsi”
      Scusate, preciso… PRESUNTI pregiudizi.

      Rispondi
    • 3 Gennaio 2019 in 12:19
      Permalink

      Guarda, come già scritto e scriverò ancora, ho proprio evitato di parlare del suo italiano perché lì ovviamente le ragioni soggettive hanno un ruolo, concentrandomi solo sul confronto linguistico. Al proposito, ti anticipo che nel quarto articolo ci saranno esattamente esempi del tipo che hai citato.

      Rispondi
  • 10 Aprile 2019 in 15:22
    Permalink

    Piccolo commento sulle colonie greche del Sud Italia, visto che è parte della storia italiana. La Puglia (soprattutto il Salento che resistette più a lungo all’invasione normanna) e la Calabria rimasero parte dell’Impero Romano d’Oriente (volgarmente detto “bizantino”), di lingua greca e di religione greco-ortodossa fino al 1071. La popolazione ellenofona nei secoli si ridusse, con l’emergere dei dialetti romanzi (salentino e calabrese) ma la lingua greca parlata nei villaggi rimasti ellenofoni è in continuità col greco medievale “bizantino”.

    Rispondi

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