Yocci e l’arte del kamishibai modificato
Il kamishibai è una forma di narrazione a metà fra il teatro e il fumetto che Yoshiko “Yocci” Noda ripropone in forme contemporanee rileggendo alcune fiabe tradizionali giapponesi ed europee.
Yoshiko Noda detta “Yocci” è una pittrice giapponese che ha studiato prima all’Accademia di belle arti di Osaka e poi a quella di Bologna dove alla fine è rimasta a vivere, ultima di una lunga serie di artisti stranieri che hanno scelto come nuova casa la città emiliana e ne confermano l’ottima tripla fama di città internazionale, città con un’alta qualità della vita, città degli artisti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente vero per chi lavora nel mondo del fumetto, un settore editoriale che vede storicamente nella città emiliana il suo cuore pulsante artistico e commerciale. Nonostante Yocci non si sia (ancora) confrontata con i fumetti in senso stretto, la sua attività artistica ci si è avvicinata moltissimo con i suoi tre kamishibai pubblicati da Corraini Edizioni.
Il kamishibai, ovvero “teatro di carta”, è una forma di spettacolo di strada che ha raggiunto la sua massima diffusione nella prima metà del XX secolo e in particolare durante il periodo della grande depressione, prima che la televisione arrivasse nelle case. I kamishibai-ya (narratori) giravano per le strade con il loro teatrino portatile, ovvero una cassa di legno con le dimensioni e proporzioni di una valigia a mano, apribile su uno dei lati frontali e con un taglio su uno dei lati corti: il teatrino conteneva alcune immagini che illustravano le varie scene di una storia e il kamishibai-ya le narrava a voce alta (anche variando le voci per imitare i vari personaggi), sfilandole via una dopo l’altra dal taglio laterale.
Considerando le varie scene illustrate come singole vignette e la narrazione del kamishibai-ya come le didascalie e le battute dei personaggi, appare lampante che il kamishibai è in tutto e per tutto arte sequenziale e quindi fumetto, solo che non si presenta in forma di libro cartaceo bensì di spettacolo di strada. Non è un caso che Shigeru Mizuki, uno dei massimi maestri del fumetto giapponese, abbia iniziato la propria carriera proprio come disegnatore di kamishibai. Oggi i kamishibai per strada sono praticamente scomparsi, ma la tradizione si è mantenuta e in Giappone sono comuni gli spettacolini organizzati nelle biblioteche o nelle feste per bambini.
Yocci recupera questa gloriosa forma narrativa e la attualizza nell’aspetto e nella sostanza. I suoi primi tre esperimenti sono Momotarò archeologico, Tsuru no ongaeshi ornitologico e Cappuccetto rosso archeologico: l’ultimo titolo suona familiare ma bizzarro al pubblico occidentale tanto quanto i primi due suonano familiari ma bizzarri ai giapponesi.
Momotarō è infatti il protagonista di uno dei più celebri mukashibanashi (storie, leggende, miti popolari) e ha per protagonista un piccolo Ercole che viene trovato dai genitori dentro una pesca gigante e combatte contro gli oni, ma nella versione di Yocci i genitori di Momotarō sono dei geologi e lui stesso sembra più interessato ai fossili che ad altro.
La stessa gentile bizzarria si ritrova in Tsuru no ongaeshi (“La ricompensa della gru“), forse il più simile a una fiaba occidentale fra tutti i mukashibanashi giapponesi, che nella versione di Yocci presenta una gru dedita alla divulgazione scientifica.
Non meno inusuale è Cappuccetto rosso archeologico in cui la bimba protagonista e il suo cagnolino bianco vanno a caccia di resti di dinosauri.
L’editore mantovano Corraini, che ha un catalogo a dir poco prestigioso data la presenza delle ristampe anastatiche delle opere di Bruno Munari ed Enzo Mari, ha avuto la grande intelligenza editoriale di portare in Italia questa forma narrativa collettiva che non può esistere se non in favore di un pubblico. Il kamishibai fonde insieme il fumetto e il testo teatrale, ma più di un fumetto e più di un testo teatrale il kamishibai ha bisogno di un pubblico per esistere, perché il lettore/narratore non vede quello che sta raccontando: i testi sono stampati dietro le immagini, che sono viste dal pubblico, non dal narratore.
Yocci in persona legge un kamishibai.
Il kamishibai non ha quindi senso senza pubblico, e quelli di Yocci sono doppiamente dipendenti dal pubblico perché presentano fiabe modificate rispetto alla loro forma originale, quindi il narratore deve tenere d’occhio molto attentamente le reazioni del pubblico per evitare di annoiarlo o confonderlo. Le illustrazioni sicuramente aiutano a tenere alta l’attenzione: lo stile grafico di Yocci è delizioso, molto grafico, quasi vignettistico, ed è disegnato con quelli che sembrano strumenti grassi (come pastelli a olio o colori a cera) un po’ spuntati e premuti con forza sulla carta, a cui si aggiunge un ripasso al computer per sistemare qualche dettaglio.
Sia nei tre kamishibai sia in altre sue opere Yocci usa principalmente una spessa linea nera. Nei kamishibai aggiunge un singolo colore per opera (il rosa per Momotarò archeologico, l’arancione per Tsuru no ongaeshi ornitologico e il rosso per Cappuccetto rosso archeologico) ottenendo un risultato brillante in cui i colori, spiccando dal bianco e nero, appaiono particolarmente potenti.
I kamishibai di Yocci sono uno squisito intrattenimento per i bambini e un tipo di teatrino perfetto per un editore che ha un teatrino nel suo stesso logo. Speriamo che questi primi tre titoli siano solo i primi di una lunga serie, o i prodromi di un futuro fumetto.
Yoshiko “Yocci” Noda
Momotarò archeologico / Tsuru no ongaeshi ornitologico / Cappuccetto rosso archeologico
Corraini Edizioni, 2019
8~9 pagg., cofanetto non rilegato, b/n e colore, 42×30 m, €25.00 cadauno
ISBN: 9788875707897 (Momotarò archeologico), 9788875707903 (Tsuru no ongaeshi ornitologico), 9788875707774 (Cappuccetto rosso archeologico)