Wednesday Warriors #63 – Tra Super-Teenager e Robot
Questa settimana su Wednesday Warriors: OUTLAWED #1 e X-RAY ROBOT #1
Questa settimana su Wednesday Warriors:
Gufu’s Version
OUTLAWED #1 di Eve Ewing e Kim Jacinto
Parallelamente all’incombente Empyre, il nuovo mega-crossover che dovrebbe impegnare il prossimo futuro di tutti gli eroi della Casa delle Idee, i teenager della Marvel vivranno il loro personale evento che si dipanerà sulle testate Miles Morales: Spider-Man, Magnificent Ms Marvel e Ghost Spider e che lancerà la nuova serie regolare dei Champions assieme a due miniserie dedicate ai New Warriors e ai Power Pack.
Si tratta di un evento chiave nello sviluppo di un parco testate rivolto a un pubblico più giovane che mira a intercettarne tematiche e linguaggio puntando sul processo di identificazione (di cui abbiamo parlato QUI) ormai difficile da far scattare con gli eroi tradizionali che hanno ormai raggiunto l’età adulta.
Il processo è lo stesso che va avanti dalla creazione di Robin e che ha fatto le fortune di personaggi come i Teen Titans, Spider-Man, Ninja Turtles e Invincible: si dà al pubblico adolescente un personaggio con cui è possibile a immedesimarsi, che sia loro vicino a sia in termini di età che di vissuto; eroi che, come gli adolescenti potenziali lettori, vanno a scuola, hanno le loro prime cotte e così via.
Va da sé che per autori non più teenager è sicuramente un compito arduo realizzare un prodotto che sia credibile e abbia effettiva presa sul proprio pubblico di riferimento. Alla stessa maniera non è facile per un critico di mezza età comprendere la corretta portata dello stesso. Ma, come spiegato QUI, non è altrettanto difficile capire se il suddetto prodotto può definirsi riuscito o meno.
Con questo one-shot Eve Ewing e Kim Jacinto raccontano, tramite il consolidato meccanismo narrativo del flashback, gli eventi che portano il governo USA a emanare una legge che vieta le attività superumane agli eroi adolescenti: l’intervento dei Champions alla Coles Academic High School (la scuola di Kamala Khan – Miss Marvel) degenera in un incidente dalle proporzioni tragiche – sebbene dai contorni non ben definiti – e che porta al dibattito congressuale raccontato in questo Outlawed #1.
Se questo soggetto vi sembra familiare è perché probabilmente nel 2006 avete comprato e letto Civil War o magari lo avete recuperato successivamente: la Ewing riprende e ricalca quanto fatto scritto da Mark Millar nell’avvio di uno dei crossover più significativi degli ultimi vent’anni con l’obiettivo di spostare il centro tematico dalla questione etica, che era il perno di Civil War, al conflitto generazionale.
Nelle intenzioni della scrittrice la riproposizione di un canovaccio familiare è strumentale narrazione di questo conflitto: Outlawed #1 propone le sue tematiche mettendole in contrasto con quelle di una storia di 14 anni fa, e cerca la sua identità nelle differenze con il lavoro di Millar.
E qui, purtroppo, sta il vero fatal flaw di questo albo.
Le differenze tra questa storia e l’albo d’esordio di Civil War sono poche, formali, e scarsamente significative: resta l’incidente causato dai superadolescenti, la descrizione del loro approccio superficiale alla crisi in corso e la reazione del mondo circostante in cui anche Capitan America ricopre, seppur brevemente, lo stesso ruolo pro-eroi che già aveva in CW.
Le uniche differenze significative sono individuabili nelle conseguenze dell’incidente, stavolta il governo se la prende solo con i giovani invece che con tutti i supereroi, e nel tono generale dell’opera, che, pur cercandola, non riesce a raggiungere la dimensione tragica del suo predecessore.
Ma se quello del “cosa” viene raccontato è un falso problema, dopotutto riproporre storie già scritte è la norma della narrazione, il “come” queste storie vengono raccontate è essenziale: la mancanza di tragicità non è voluta, la Ewing cerca in tutti i modi di rimarcare il dramma in corso, ma non è efficacemente rappresentata.
Il primo vincolo e limite della storia è, paradossalmente, proprio quello di essere indirizzato a un pubblico adolescente e, in quanto tale, deve sottostare a una serie di limitazioni nella rappresentazione della violenza e delle sue conseguenze che impediscono di fatto agli autori dell’opera di delineare efficacemente i contorni dell’incidente scatenante: non si vedono morti o feriti se non qualcuno con bende e cerotti. In aggiunta la narrazione corale e compressa impedisce alla scrittrice di soffermarsi sulle conseguenze emotive, di descrivere l’impatto psicologico degli eventi sui protagonisti: sono tutti più o meno genericamente tristi e/o arrabbiati.
Paradossalmente anche l’incredibile talento di un Kim Jacinto particolarmente ispirato rema contro il tono generale dell’albo che la scrittrice insegue. Il segno caricaturale, spigoloso e dinamico dell’artista stride con l’intenzione drammatica del soggetto e dei dialoghi creando così una discrepanza che non riesce a dare una direzione alla storia, come fosse strattonata da più parti.
Ci sarà sicuramente spazio e tempo per approfondire tutti questi elementi ma, circoscrivendo l’analisi a questo albo specifico non si può fare a meno di notare che manca un livello di lettura che vada oltre alla mera riproposizione di un soggetto già visto: la storia non riesce a essere incisiva in alcun modo, non crea pathos, empatia o un seppur minimo interesse che non sia quello relativo alla mera curiosità di sapere come comincia questo evento. La continuity come sola ragion d’essere (e di acquisto).
Bam’s Version
L’idea di poter fuggire dalla nostra realtà non mai è stata così affascinante come in questo periodo. Vivere la quotidianità significa essere bombardati da informazioni spiacevoli, dure prese di coscienza con la realtà dei fatti, difficili decisioni da prendere e da sopportare.
Fortunatamente la fantasia dei coniugi Mike e Laura Allred giunge in nostro soccorso degli annoiati lettori, cullati da colori psichedelici e concept astrusi, trasportati in un genere di follia unico al mondo, un marchio di fabbrica che vive e segna le pagine della nuova serie X-Ray Robot.
Il Dr. Max Wilding è uno scienziato dal portentoso genio e dall’audace ambizione: insieme al suo collega, il professor Brian Saunders, ha finalmente perfezionato un automa-avatar perfetto, una macchina in grado di proiettare la mente oltre lo scibile umano, squarciando il velo tra le dimensioni, risolvendo l’annosa domanda che pesa sulle spalle del Dr. Wilding da una vita intera: cos’è reale e cosa no? Chi potrebbe mai definire i confini della realtà? Sugli studi del fondatore del laboratorio, il Dottor Hubble Zelzer, Wilding lascia correre la sua immaginazione e mette all’opera il suo incommensurabile genio. Sulle spalle dei giganti, dei grandi, Wilding innova e mette in discussione ciò che lo circonda: come egli stesso ha più volte dichiarato nel lungo corso della sua carriera, Allred sottolinea l’importanza delle proprie influenze artistiche e musicali – ascendenti che anche in X-Ray Robot sono evidenti e necessari alla comprensione di alcune precise scelte stilistiche. Nel creare Max Wilding l’autore sembra quasi autobiografico o piuttosto autoreferenziale ma non in maniera stucchevole, quanto più ironica, meta-narrativa ma in perfetta linea con l’uomo e l’autore Mike Allred.
L’atmosfera retrò e la scelta di particolari tipi di nomi, di sound permette agli autori di poter ricreare l’energia pop di Madman o di Red Rocket 7, creando continuità in questo bizzarro universo condiviso Allrediano. Con la premessa iniziale presentata in una singola, cruciale splash page e le primissime pagine di X-Ray Robot che introducono i lettori alla vita del protagonista Max Wilding senza troppi fronzoli, i coniugi Allred prediligono in questa occasione l’approccio diretto alla trama, lasciando via via discernere le nozioni fondamentali con lo scorrere della trama; moglie e bambini sono al primo posto quanto la scoperta scientifica per il dottor Wilding, che riesce a gestire entrambi gli aspetti della sua vita con invidiabile abilità e passione. Nonostante alcune turbolenze tra i membri dello staff nel laboratorio, tutto sembra pronto e l’esperimento può cominciare: Allred piega immediatamente i confini della tavola, modificando la struttura e la griglia impiegata per spiazzare il protagonista quanto il lettore. Il contrasto tra le asettiche tute da lavoro, l’elmo-proiettore di coscienza e il design del robot, alieno, colorato di un viola acceso e con un grosso fulmine giallo in petto spezzano in due la “normalità” incontrata finora. Il fantascientifico meccanismo viene finalmente messo in funzione. Gli Allred muovono il robot in maniera frenetica ed imprevedibile, abbozzando la figura all’interno della sequenza come in sketch preliminari alla stesura della sceneggiatura stessa, riempiendo lo scheletro d’acciaio di schizzi convulsi e colpi di china frenetici.
L’introduzione di un singolo elemento mette in moto una catena di eventi allucinogeni che sconvolge la vita del dottor Wilding: le mani alla testa, che prima sembravano aiutare la mente a lanciarsi oltre i confini della realtà, sono ora a coprire il volto in segno di incredulità. La recitazione dei personaggi e soprattutto del protagonista inscenata dalle matite di Allred è sbalorditiva; mentre tutto il cast di personaggi sembra ignaro dei cambiamenti che riducono in pezzi la mente dello scienziato, le domande che hanno aperto l’albo e ne costituiscono lo scheletro tornano a presentarsi in tavole sempre più concettualmente ambiziose. Unendo l’ampiezza ed il raggio di Jim Steranko alla frenesia pop di Steve Ditko, i coniugi Allred tornano a chiedere al lettore cosa sia reale o meno, come si faccia a discernere i limiti della nostra dimensione. L’ultimo, splendido cliffhanger giunge dal futuro, 277 anni avanti nel tempo: il Robot è tornato ed ha visto la fine dell’umanità, ma ora il pezzo di metallo ha fattezze umanoidi ed assomiglia al Dr. Wilding – anzi, afferma sia proprio lui.
X-Ray Robot è il trip che in questo momento permette di fantasticare; il ritorno di Mike e Laura Allred all’universo di Madman ha in sè l’energia di un autore maturo e seriosamente “mai serio”, capace di creare affascinanti elucubrazioni sul ruolo dell’escapismo, del progresso scientifico e della fascinazione dell’uomo sull’ignoto attraverso la semplice introduzione di un lucente automa violaceo.
First Issue
DECORUM #1 di Jonathan Hickman e Mike Huddleston
I numeri di esordio delle serie ideate e scritte da Jonathan Hickman sono spesso accomunati da una caratteristica, quella di lasciare i lettori spaesati a fine lettura, quasi soverchiati dal numero di informazioni riversate nelle pagine, ma altrettanto affascinati dall’affresco narrativo che da lì in poi si andrà a comporre.
Se in questa comunanza vogliamo trovare una discriminante, lo possiamo fare separando gli albi d’esordio firmati dallo sceneggiatore per la Marvel Comics da quelli creator owned editi da Image Comics nel corso degli anni.
Nei primi, la “maschera” di personaggi noti ai lettori, come Fantastici Quattro, Avengers e più recentemente gli X-Men, si cala sull’impianto della storia fungendo da filtro per i lettori. Grazie alla confidenza che questi hanno con i supereroi, di cui hanno già letto decine o centinaia di storie, la densità narrativa messa in campo da Hickman risulta meno spiazzante, più facile se non da decifrare, almeno da assimilare. Detto in altri termini: le figure conosciute degli eroi diventano capisaldi, punti fissi di una mappa concettuale a cui far riferimento per iniziare l’esplorazione di un territorio sconosciuto che è la nuova storia che si para davanti agli occhi.