Wednesday Warriors #49 – da Undiscovered Country a Legion of Super-Heroes

In questo numero di Wednesday Warriors:

Bam’s Version

UNDISCOVERED COUNTRY #1 di Scott Snyder, Charles Soule e Giuseppe Camuncoli.

Il concetto di distopia politica non è mai stato così vicino alla realtà come negli ultimi anni. La radicalizzazione del discorso, lo svilimento delle parti coinvolte e la banalizzazione dei mezzi di comunicazione hanno inasprito l’umore popolare – al punto tale che anche solo l’idea di poter riscontrare pensieri e discussioni politiche nei media e nella cultura pop terrorizza chi ne fruisce, privati del proprio agognato, sacrosanto diritto all’escapismo, alla fuga dalla realtà.
Ma è impossibile sfuggire da ciò che ci circonda ed è giusto, normale che dalle situazioni paradossali create nella vita reale se ne possa trarre storie avvincenti, ricche di possibili riflessioni e spunti di discussione.
Undiscovered Country nasce dall’amicizia tra gli autori Scott Snyder e Charles Soule e dalle idee scambiate prima e dopo le convention statunitensi, tra agenti della CIA, DARPA e jogging. Collettivismo e solipsismo, una tensione eterna tra l’individuo e il gruppo, non solo legati all’essere umano in sé, ma all’essere umano in quanto parte di uno Stato, di qualcosa di più grande. Il clima politico odierno sottolinea ancora di più questo stacco tra il singolo e il collettivo: l’essere parte di una discussione globale si oppone alla clausura, al rimuoversi dal dialogo, chiudendosi in se stessi, creando camere d’eco ed evitando ad ogni costo la sfida, il pericolo, l’idea del confronto e del conflitto.

Il set-up ideato da Soule & Snyder accarezza il post-apocalittico senza sentire il bisogno di esagerare, proponendo un pianeta Terra privato degli Stati Uniti d’America. Una premessa semplicemente assurda e geopoliticamente devastante, ma non del tutto irrealizzabile o impensabile; gli autori giocano sulla strana sensazione creata dal concept, così stranamente vicino alla realtà del lettore da solleticare riflessioni sull’effettiva possibilità che, un giorno, anche una premessa tanto fuori dalla logica possa diventare realtà.
E se, un giorno, gli Stati Uniti d’America chiudessero le loro porte, barricandosi dietro enormi mura, tecnologicamente avanzate e impenetrabili? Come reagirebbe il mondo esterno? Cosa potrebbe succedere ai sistemi governativi, alle dinamiche di mercato globale, quale il destino per chi è dentro e per chi è fuori dalla cinta muraria? Il 20 Luglio 2029, noto anche come Giorno 0, l’America si separò dal resto del mondo. Trent’anni dopo, un messaggio raggiunge l’Alleanza Euroafricana e la Zona di Prosperità Pan-Asiatica – l’America è pronta a riaprire i cancelli.
Il #1 di Undiscovered Country si apre con un primo sguardo al cast di protagonisti – personaggi arrivati da ogni parte del mondo, in volo verso le mura degli Stati Uniti d’America. Una serie di flashback si alterna alla linea narrativa principale, fornendo contesto e sostanza alla pericolosa missione in elicottero verso il cuore del Colorado: nei trent’anni di isolazionismo statunitense, il mondo è radicalmente cambiato.
Snyder e Soule non tengono particolarmente a fornire informazioni specifiche, quanto più a centellinare nomi ed eventi storici sconosciuti al lettore, pezzi di una time-line tutta da ricostruire grazie anche all’utile infografica in chiusura dell’albo. Nuove alleanze continentali sono casualmente citate nei discorsi dei protagonisti, così come non vengono fatti minimi riferimenti ai sintomi e alle origini del virus Sky, una piaga che ha messo in ginocchio la popolazione mondiale e funge da motore per l’incipit di trama. Solo il Dottor Samuel Elgin, portavoce degli U.S.A., uomo legato al progetto Aurora e unica possibile speranza nella ricerca di una cura per lo Sky.
“The Sky is falling”, una frase pronunciata attraverso un freddo videomessaggio, l’unico venuto fuori dagli Stati Uniti d’America dopo trenta lunghi anni. Giornalisti, studiosi, epidemiologi, diplomatici ed ex-militari dal passato oscuro si ritrovano ad un tavola rotonda, scelti dai rispettivi governi per superare la cinta muraria e scoprire se esiste davvero una cura.

“Cammo” mostra da subito due aspetti chiave nella sua evoluzione artistica: una attenta pulizia del tratto, che assottiglia i volti e le figure, contrastata dall’enfasi su fondali, cura per i dettagli ed inquadrature d’ambientazione. Il primo sguardo che l’artista italiano riserva ai confini statunitensi è iconico e fa intuire come mai Undiscovered Country sia stata già opzionata per un adattamento cinematografico: Camuncoli introduce il lettore in America con una gigantesca splash page che costruisce in un colpo solo l’ambientazione, creando contesto narrativo praticamente da solo. La griglia delle pagine non è sfarzosa o complicata, tuttavia il ritmo è incalzante e non sobbarca il lettore di informazioni, inciampando giusto nella presentazione dei personaggi. Nessuno di loro spicca o risulta particolarmente memorabile,  non ne viene curato il design; tuttavia la scelta risulterà azzeccata e chiara una volta varcati i confini degli States, creando un contrasto netto tra cosa viene ritenuto “normale” dentro e fuori le mura degli USA. I colori, ora brillanti e accesi, di Matt Wilson e il primo, inquietante impatto con l’undiscovered country di Cammo alzano prepotentemente il ritmo della trama, presentando al lettore gli abitanti di questo continente perduto, profondamente cambiato e sconosciuto.

Gli autori seducono il lettore, invitandolo a volersi addentrare in questa terra letale: si cerca di stimolare la curiosità e l’attenzione grazie ad un world-building intelligente, eccentrico e tuttavia abbottonato. Senza rivelare tutte le proprie carte, l’inventiva di Soule e Snyder sembra essersi scatenata e le ultime pagine di Undiscovered Country lasciano una sufficiente dose di misteri, creature impensabili e figure inquietanti e pericolose da catturare completamente l’immaginazione del lettore.
L’America immaginata da Scott Snyder e Charles Soule, illustrata da Giuseppe Camuncoli, Daniele Orlandini e Matthew Wilson è lontana dall’America controversa, reazionaria ed irrazionale di Trump – possibilmente, è ancor più spaventosa, una creatura sconosciuta che, letteralmente, apre le fauci per inghiottire i suoi nuovi visitatori. 

Gufu’s Version

LEGION OF SUPER HEROES #1 di Brian Michael Bendis e Ryan Sook

Quello della Legione dei Supereroi è stato uno dei franchise di maggior successo in casa DC Comics durante gli anni ‘80: dal 1982 fino al 1989 Paul Levitz e Keith Giffen tennero saldamente in mano le redini della serie ambientata mille anni nel futuro dell’universo DC sviluppando intorno alla stessa uno zoccolo duro di appassionati ancora molto solido a 30 anni di distanza.
Nonostante tutto sono passati ben sei anni dall’ultimo albo di Legion of Super Heroes, pubblicato negli USA nell’Ottobre del 2013, e i quattro rilanci/reboot che si sono susseguiti nel corso degli ultimi tre decenni non sono riusciti a replicare i passati successi.
Ci sono diversi ostacoli che si frappongono tra la LoSH e il successo di pubblico: la complessa continuity del gruppo, la mole del cast e lo scollamento della serie con le altre del DC Universe. Ostacoli che rendono Legion of Super-Heroes una delle serie più convolute e impenetrabili dell’intero panorama dei comics.

Al problema della continuity ha posto rimedio drasticamente Geoff Johns nell’undicesimo capitolo di Doomsday Clock, offrendo a Brian Michael Bendis la possibilità di ripartire con una nuova timeline completamente libera da ogni vincolo: lo scrittore ha potuto così dedicarsi alla creazione di un entry point per i nuovi lettori facendo attenzione a non scontentare il pubblico più fedele.
In questo senso è notevole il lavoro di design realizzato da Ryan Sook: l’artista ha ridefinito il look della Legione per i lettori contemporanei sia da un punto di vista estetico, ridisegnandone i costumi, che contenutistico, concentrandosi sul tema della diversità, molti dei legionari hanno un aspetto non-caucasico e le fattezze aliene di alcuni sono ancor più accentuate che non in passato. Tutto il lavoro di Sook è indirizzato allo scopo di rendere più accessibile e digeribile la mole di informazioni che investe chiunque si addentri in un mondo (o universo) a lui sconosciuto: la riconoscibilità dei personaggi e delle loro funzioni all’interno della storia passano dalla capacità del disegnatore di isolare gli stessi nella composizione e di renderne la personalità attraverso la messa in scena, il linguaggio del corpo e l’espressività dei volti.

Questa mole di lavoro, che precede sia questo primo numero che la miniserie Legion of Super-Heroes: Millennium uscita nei mesi precedenti allo scopo di introdurre la nuova serie regolare, permette agli autori di gestire con meno apprensioni la questione della dimensione del cast: LoSH ha circa una trentina di personaggi principali, un numero equivalente di villain e dozzine di comprimari, personaggi secondari, comparse e quant’altro. Bendis e Sook risolvono la questione in maniera abbastanza netta: vengono messe in secondo piano tutte le necessità “bibliografiche” relative al world-building (o forse è più corretto dire world-explaining) a favore della narrazione degli eventi correnti, gettando il lettore nel mezzo di un universo sconosciuto, pieno di facce sconosciute, senza curarsi di spiegare il chi, il come e il perché.
L’albo inizia in medias res, durante un inseguimento tra le fogne di Blüdhaven nel pianeta Gotham, e vediamo coinvolti quattro legionari, gli Horraz e un super cattivo storico della Legion: è molto interessante notare come nessuno di questi personaggi ci venga spiegato in alcun modo (degli Horraz sappiamo solo che sono “i peggiori della galassia”) ma come allo stesso tempo la funzione narrativa di ognuno di questi sia chiarissima. Bendis decide di restare fedele alla regola “show, don’t tell” facendo in modo che la storia parli per lui senza ricorrere a nessun tipo di scheda, infografica, riassunto o spiegone di sorta: arriva anche a prendersi gioco dei classici espedienti della LoSH come le “orientation presentation”, che i personaggi citano di continuo senza però riuscire a farne una, o le Frichtman Tag, delle etichette olografiche che proiettano nome e informazioni di base dei personaggi che però vengono mostrate sempre parzialmente.
Utilizzando Jon Kent, alias il Superboy proveniente dal “nostro” secolo, come congegno narrativo, Bendis gioca coscientemente con il caos e il senso di smarrimento del lettore che si trova ad affrontare così tante informazioni nuove in poco tempo: i dialoghi si accavallano uno sull’altro e gli eventi si susseguono in maniera concitata – con una densità narrativa insolita per lo scrittore – attorno al ritrovamento del tridente di Aquaman. L’analogia tra Superboy e il lettore è palese e forza un processo di identificazione portando quest’ultimo esattamente al centro della storia, proprio dove Bendis vuole: è un approccio leggero e scanzonato che però prelude a eventi più drammatici suggeriti nel corso di questo prime pagine.

Molto pragmaticamente gli autori decidono di aumentare le connessioni tra la Legione e il DC Universe cercando di aumentarne la rilevanza al suo interno: indipendentemente dalle qualità intrinseche di una serie, molto spesso il suo successo dipende da quanto il pubblico percepisce gli eventi narrati nella stessa come “importanti” all’interno della macronarrazione dell’Universo Condiviso della DC Comics (questa considerazione vale ovviamente per tutte le storie narrate all’interno di universi narrativi, dalla Marvel fino a Star Wars). Un mega-crossover ha in genere un buon successo di vendite, indipendentemente dalla sua qualità, proprio per via della sua rilevanza assoluta nel contesto del DCU, di contro succede spesso che ottime serie vengono snobbate in quanto “non in continuity” e quindi poco importanti. Bendis inserisce quindi degli elementi provenienti dal DCU incardinando maggiormente le vicende della Legione a quelle degli altri supereroi DC: l’arrivo di Superboy nel 31° secolo, il tridente di Aquaman, il pianeta Gotham e Metropolis come base operativa della Legione. Vengono anche introdotti altri (!) personaggi, Doctor Fate e Golden Lantern, che richiamano quelli del 21° secolo.

Al netto di qualche dialogo sconnesso questo primo albo di Legion of Super-Heroes conferma la capacità di Bendis di descrivere e gestire supereroi adolescenti riuscendo a essere un buon punto di inizio per i nuovi lettori senza scontentare i fan storici; Ryan Sook, assistito da Wade Von Grawbadger alle chine e da Jordie Bellaire ai colori, riesce a modulare il suo tratto passando da atmosfere più cupe a quelle più luminose senza particolari sofferenze.
La partenza sembra essere quella giusta.

First Issue

EXCALIBUR #1 di Tini Howard,  Marcus To e Erick Arciniega

Delle tre serie finora uscite dall’operazione Dawn of XExcalibur in questo albo di esordio risulta essere la meno riuscita. Il difetto che immediatamente viene a galla a lettura conclusa è che, un nuovo lettore completamente all’oscuro della storia passata legata tanto alle varie incarnazioni del supergruppo britannico quanto del recente rilancio mutante di Jonathan Hickman, si sente sicuramente a disagio nel prendere in mano l’albo, con una comprensione quasi nulla delle vicende.

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