Wednesday Warriors #18 – Dai Guardiani della Galassia all’Immortale Hulk

In questo numero di Wednesday Warriors:

Bam’s Version

NAOMI #1 di Brian Michael Bendis, David F. Walker & Jamal Campbell.

Quanto possono contare diciassette secondi nella vita di un’adolescente? Per Naomi, protagonista della serie omonima, i diciassette secondi che aprono il #1 si riveleranno fondamentali. Il brevissimo passaggio di Superman nella cittadina di Port Oswego – un fittizio paesino dell’Oregon – sconvolge la vita dei coloriti adolescenti della città, Naomi compresa. Ma c’è qualcosa che non va. Un evento così importante dovrebbe essere discusso e considerato come tale. Eppure, Port Oswego sembra tornare alla vita di tutti i giorni, rendendo anche l’arrivo di Superman “una cosa qualunque”, un evento da vivere solo ed esclusivamente in quel fugace attimo. Quello architettato da Brian Michael Bendis e David F. Walker è un vero e proprio mistero: perché nessun telegiornale, social network o sito internet parla di questo apparentemente comune, ma straordinario evento? Perché nessun “adulto” sembra sconvolto dall’arrivo dell’Azzurrone?
Naomi sembra essere l’unica a notare le stranezze che aleggiano a Port Oswego. Le sue reazioni sono quelle di un’adolescente con uno spiccato cool factor, eppure si intravedono le fragilità della ragazza, le sue insicurezze. Naomi ha tanto da dire ma non trova il modo, é insicura e si sente fuori posto, una sensazione fin troppo comune per chi, come lei, é stato adottato e non conosce i suoi genitori naturali. Decisamente infastidita dall’aver mancato ben due volte l’avvistamento di Superman, la protagonista vive l’evento attraverso le voci dei suoi amici e coetaenei, ricco cast di comprimari ma anche voci narranti, testimoni e fiore all’occhiello del numero per quanto riguarda l’aspetto artistico.
Jamal Campbell illustra e anima l’ambientazione con personaggi coloriti, sinceri nell’espressione della loro personalità ed emozioni: é una generazione hipster un po’ esagerata ma che rappresenta al meglio la “reale” Portland, base operativa degli stessi Walker e Bendis. Il disegnatore gioca con la tavola, separando i campi lunghi e creando sequenzialità all’interno di una singola, enorme splash page; non segue schemi fissi ma si nota la voglia di mettere al centro le reazioni e le espressioni dei protagonisti con strategici primi piani.
Non ci sono esplosioni, combattimenti adrenalinici tra eroi e villain, non ci sono ret-con colossali o stravolgimenti di status quo capaci di suscitare minacce di morte agli autori su Twitter. Semplice ed efficace, “Naomi” #1 è una storia slow burn, che rivelerà le sue carte poco alla volta, puntando su uno stile artistico giovane, vivace ed intrigante e su protagonisti in grado di catturare l’attenzione con la loro genuinità.

GUARDIANS OF THE GALAXY #1 di Donny Cates & Geoff Shaw.

Tra gli highlight del 2018 a fumetti, sarebbe criminale ignorare l’ascesa allo status di golden boy di Donny Cates. Specialmente per la Casa delle Idee, l’autore Texano ha saputo imprimere la sua aria da ribelle rock con il retrogusto da bravo ragazzo incompreso.
“Doctor Strange”, “Death of The Inhumans”, “Marvel Knights” ma soprattutto “Venom” e “Thanos” hanno creato le basi per un 2019 da vivere da protagonista assoluto.
Un 2019 che comincia con il rilancio dei Guardiani della Galassia: comincia, non a caso, da Thanos, «morto e contento».
I piú vicini Eventi Cosmici hanno concesso carta bianca a Cates, un’opportunità preziosa e da non sprecare. Non a caso, la parte artistica di questo pompato rilancio è affidata a Geoff Shaw, che ha ben fatto proprio su “Thanos” e che ha già disegnato la bomba “God Country”, serie che ha messo in moto la macchina dello stardom per entrambi.
Sin dalle primissime pagine, gli autori mostrano la loro voglia di esagerare, partendo innanzitutto dal cast. Silver Surfer, Nova, gli Starjammer, Starfox, Beta Ray Bill, il Superskrull, gli Shi’ar e molti altri ancora, riuniti intorno al cadavere del Titano Pazzo, tremanti alla rivelazione che mette in moto la catena di eventi della serie. Sembra di rivedere la “Lezione di Anatomia del Dottor Tulp” di Rembrandt nella versione più folle e contorta immaginabile. Da questa macabra introduzione, l’attenzione del lettore si sposta verso i Guardiani della Galassia o meglio, ciò che resta di loro: Star-Lord e Groot, che battibeccano animatamente, scambiandosi  (poco) amichevoli inviti a “fare in c%&o”. Cates sembra voler prendere le distanze dai predecessori, Duggan, Bendis, James Gunn incluso. La distruzione del nucleo dei Guardiani della Galassia permette allo scrittore di allargare il discorso, coinvolgendo volti nuovi e personaggi ammodernati, che cambiano dinamiche collaudate e stantie. L’introduzione solenne della trama principale, tra eredità violente e tensione tra alleati, ha portato un’aria gravosa che allontana le atmosfere amichevoli delle incarnazioni precedenti del gruppo, lasciando spazio ad un umorismo piú essenziale e decisamente incattivito.
Tuttavia, é sbagliato pensare che il #1 di questa serie sia dedicato soltanto alle teste parlanti: la parte centrale dell’albo coincide con la deflagrante dimostrazione di potenza action di Geoff Shaw. Grazie anche ai colori del veterano Marte Gracia, lo stile aggressivo del disegnatore si esalta nel gestire e muovere schiere di personaggi tutti diversi, schegge metalliche, raggi al plasma, fulmini cosmici e catene fiammanti. Anche graficamente, “Guardians Of The Galaxy” adotta un’immagine prepotente, grezza e sporca, ma non abbozzata o dozzinale. C’è del metodo nel portare su carta questo nuovo look, risultato del rinnovo del cast e della trama decisamente piú cruda e sprezzante, figlia della straripante personalità dello stesso autore.
Ogni nuovo elemento viene incastrato con ordine nel disordine, i nuovi protagonisti hanno una logica nella loro singola, specifica, sproporzionata personalità. Bisognerà vedere nei prossimi numeri se il risultato dell’operazione porterà davvero un cambiamento radicale alle dinamiche dei Guardiani della Galassia. Sta di fatto che Donny Cates e Geoff Shaw hanno confezionato questo debutto come un manifesto programmatico, con l’intenzione di cambiare registro narrativo, scuotere le fondamenta del Cosmo Marvel e divertirsi esagerando. Dopo le prime, densissime ed esaltanti 30 pagine, oserei dire che il futuro e la fortuna sorridono ancora agli audaci.

Gufu’s Version

THE IMMORTAL HULK #12 di Al Ewing, Joe Bennett e Eric Nguyen

Al Ewing è uno scrittore di razza, uno di quelli che conosce il proprio lavoro e il pubblico di riferimento. E da scrittore di razza qual è sa bene che, per quanto si possa studiare un intreccio avvincente, ricco di inventiva e svolte narrative, quello che davvero connette con il pubblico è colui che è chiamato a interpretarlo: che si tratti del protagonista o di un comprimario, un personaggio ben costruito, credibile, riesce a scavalcare qualunque artificio e ad afferrare il lettore. È con i suoi sentimenti e il suo vissuto che ci immedesimiamo, sono i personaggi quelli che amiamo, odiamo o amiamo odiare.
Cosciente di questo Ewing decide di imperniare tutta la sua narrazione sull’esplorazione del proprio eroe/antieroe di matrice Stevensoniana, Bruce Banner, l’incredibile Hulk, marginalizzando – delegandole un ruolo puramente strumentale – la catena di cause ed effetti, il plot, che tiene in moto la storia.
Se nei precedenti capitoli avevamo visto come tutto il mondo di Hulk, il suo microcosmo di alleati e nemesi, è un riflesso distorto del protagonista stesso, Immortal Hulk #12 è un passo nella psicologia frammentata di Hulk, che esplora il passato di Bruce Banner a partire dal rapporto conflittuale con le figure genitoriali caratterizzato da assenza (la madre) e violenza (il padre). È la storia di un bambino traumatizzato che è cresciuto fino a diventare un mostro combattuto tra la sofferenza (“Why Hulk have to hurt so much?” chiede il gigante di giada in lacrime) e il desiderio di essere amato.
Da un punto di vista formale questo dramma è reso impeccabilmente dal team creativo, che vede Joe Bennett ed Eric Nguyen alternarsi alle matite, nella sua interezza. Tutto è maniacalmente studiato e sincronizzato al fine di trascinare il lettore nel mondo terrificante di Hulk, mondo caratterizzato dalla continua dicotomia uomo-mostro, amore-paura sottolineata anche dalle scelte cromatiche complementari (rosso-verde) di Paul Mounts.
Vengono così mutuate soluzioni generalmente estranee a quelle del fumetto supereroico e più vicine al linguaggio dell’horror in salsa EC Comics: le continue reiterazioni, il tratteggio fitto e opprimente, i colori e le scelte di lettering – il monologo con caratteri da macchina da scrivere sembra uscire da un racconto pulp anni ‘50 – rimandano a un immaginario più introspettivo e meno extrapersonale. È l’esternalizzazione di un mondo interiore dove anche gli scontri fisici sono manifestazioni di un conflitto interno.
È indubbio che questa cura meticolosa nella definizione del protagonista, affiancata da un incedere drammaticamente lento della storia principale, siano il fattore principale che rende Immortal Hulk un Instant Classic.
Da non perdere.

BATMAN #63 di Tom King e Mikel Janìn

Come sopra, ma con Batman.

 

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