The Wild Storm vol. 1 – Una recensione convertita
Si può rebootare un intero universo narrativo per la terza volta, senza apparire noiosi e ripetitivi? Certo che si può, se sei bravo. Se invece sei Warren Ellis, allora puoi fare anche di più: resuscitare Wildstorm come The Wild Storm.
Secondo l’autorevole opinione di mia madre, io ho un pessimo carattere. Tendo a non dare mai ascolto a nessuno, sono ipercritico e cerco sempre la contraddizione e l’errore in quello che mi viene detto. Eppure anche io ho i miei mostri sacri: uno di questi, per quanto riguarda la qualità e la storia dei fumetti americani mainstream, è Jim Shooter. Vero e proprio genio produttivo, ha segnato la storia dei comics per almeno trent’anni, scoprendo autori di rango assoluto e creando personaggi, case editrici e saghe ancora oggi indimenticate.
Shooter oggi ha una sua casa editrice, soprattutto di ristampe di materiale d’annata. Essenzialmente si gode la meritata pensione, e ogni tanto concede qualche saggia intervista in cui dice cose giuste. In una di esse, rilasciata alla testata online AiPT, si permette qualche dichiarazione critica sulla Marvel e, soprattutto, sulla tendenza contemporanea alla decompressione delle storie.
Quindi Jim Shooter ci ha preso di nuovo? Beh, è più che evidente che non ha ancora letto The Wild Storm, la nuova maxiserie targata DC Comics, scritta da un certo Warren Ellis e disegnata da John Davis Hunt.
La Wildstorm
Era il 1991, quando sette disegnatori in forza alla Marvel Comics decisero che, se la gente comprava milioni di copie di fumetti effettivamente di merda, allora era giunto il momento di fare i soldi veri. Così fecero ciao ciao con la manina e fondarono la Image Comics, con lo scopo, appunto, di vendere fumetti di merda e guadagnare tanti dollari.
Ed è ciò che in sostanza accadde. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, la Image è diventata la casa editrice di maggior qualità in USA (il che dimostra che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior), e uno di quei sette, Jim Lee, oggi ricopre un ruolo importantissimo alla DC Comics.
La sua proposta, ai tempi della Image, era l’universo Wildstorm, un mazzo di testate tutte praticamente uguali che parlavano di gruppi di supereroi. Lee buttò lì due idee di base:
1) Sulla Terra dai secoli dei secoli si combattono in segreto due razze aliene, i cherubini e i demoniti (indovina un po’ chi sono i cattivi e chi i buoni).
2) Non esistono supereroi indipendenti: o sei un agente del governo, oppure fai il galoppino per qualche multinazionale, dopo esserti licenziato dal tuo lavoro per il governo. Oppure ancora sei un cyborg e quindi l’equivalente di un frigorifero.
Ben presto Lee, McFarlane e Liefeld abbandonarono il tavolo da disegno per la difficoltà a trovarlo tra i mucchi di banconote. McFarlane si mise a fare giocattoli, Liefeld a non pagare alcuni suoi cloni, e Lee decise che la cosa che gli riusciva meglio era fare l’uomo d’affari. Reclutò così gente come Alan Moore, James Robinson o Scott Lobdell, che rivoltarono il concept originale come un calzino; e, soprattutto, mise una serie inutile se non dannosa come Stormwatch in mano a un tizio di nome Warren Ellis, gli lasciò carta bianca e ottenne in cambio che quell’inglese ubriacone traghettasse il fumetto supereroistico americano nel nuovo millennio.
Stormwach di Warren Ellis fu il primo vero fumetto decompresso della storia dei comics, e qui torniamo a noi.
Torniamo a noi
Nel 1998, la DC paga fior di dollaroni a Lee per acquistare tutta la baracca, includendo i personaggi Wildstorm nel suo multiverso. Jim Lee nel frattempo scala la gerarchia divenendo il braccio destro di Dan DiDio, e nel 2016 decide di re-re-reinventare i personaggi del suo universo narrativo. E a chi altri poteva consegnarlo, se non all’uomo che aveva già saputo rendere indimenticabile quell’accozzaglia di supertizi anonimi e coloratissimi?
Warren Ellis riprende in mano l’universo Wildstorm, con la licenza di fare quello che vuole. E, come al solito, ci insegna come si fanno i fumetti. Sì, anche quelli decompressi.
Ellis riprende il concept originario dell’universo Wildstorm trasformandolo in una sorta di spy-story supereroistica di stampo complottista, in cui il mondo è dominato da agenzie segrete pseudo-governative e corporazioni multinazionali che, dietro le quinte, si sono spartite il potere. Nel calderone ci sono razze aliene, personificazioni metafisiche e speculazioni tecno-filosofiche sulla vera natura dell’universo. Se si pensa al materiale di partenza, e al fatto che Ellis in realtà non ne tradisce in nessun modo le premesse, sviluppandone con rispetto e intelligenza le conseguenze, non si può che gridare al miracolo.
Come in una sorta di sfida al presente, Ellis non rinnega lo stile decompresso, come abbiamo già detto, ma lo porta ai suoi limiti, utilizzandolo con la sapienza di chi sa di poter fare bene tutto quello che vuole. La narrazione è estremamente lenta, la scoperta e la presentazione dei personaggi principali avviene prendendosi i suoi tempi, al punto che al numero 8 della serie stiamo ancora scoprendo le premesse della serie. Ellis riesce a creare un’attesa paradossale: in fondo, chi conosce il pregresso dell’universo Wildstorm, sa già più o meno dove si andrà a parare; conosce già i personaggi, e le loro interazioni; eppure entra in questo nuovo universo come se fosse la prima volta. Una donna in una strana armatura tecnologica salva un uomo che cade da un grattacielo: e anche se noi conosciamo già quella donna e quell’uomo, e sappiamo chi sono e perché sono come sono, non possiamo fare a meno di scorrere avidamente le pagine per sapere cosa accadrà dopo.
Ellis riempie questa attesa con i dialoghi brillanti cui ci ha abituato, e una padronanza della narrazione a fumetti che ancora ci lascia a bocca aperta. Le sequenze d’azione sono di una potenza unica, e sfruttano al massimo le potenzialità del media fumetto, grazie anche alle matite pulite ed essenziali di Hunt, che quanto a capacità narrativa ricorda il miglior Quitely.
E quindi
E quindi, tornando al discorso di partenza, aveva ragione mia madre: per me, anche Jim Shooter sbaglia. La decompressione non è un male in sé: lo è se fine a se stessa, se usata per risparmiare sulle idee e allungare il brodo. Ma se fatta bene, la decompressione può donare al fumetto un respiro unico, permettendo di approfondire la tecnica narrativa e allo stesso tempo di renderla in qualche modo più pulita. Eppure, mia madre aveva torto: perché c’è qualcuno che non mi ha mai deluso e su cui non sono mai riuscito a trovare un pretesto per criticarlo: e quell’uomo è Warren Ellis, che mi ha convertito alla decompressione.
Fatevi un favore: leggete questa serie, pubblicata in Italia dalla RW Edizioni in volumi che raccolgono 6 numeri alla volta. Sia che siate, come me, vecchi che hanno conosciuto la Wildstorm delle origini, sia che siate sbarbatelli che non ne hanno mai sentito parlare: in entrambi i casi, troverete il meglio del fumetto americano contemporaneo e, perché no, futuro.
Warren Ellis
The Wild Storm, volume 1
RW Lion
cm 16.8×25.6, brossura, colore, 160 pagg.
€ 14,95