Pian d’Albero – Una recensione partigiana
La versione a fumetti di un evento che ha segnato un momento importante della storia partigiana in Toscana, ma da una prospettiva familiare: perché la Storia spesso macina e distrugge le storie con la “s” minuscola.
La storia della battaglia di Pian D’Albero del 20 giugno 1944 è molto presente nella memoria storica della resistenza toscana. Basta una piccola ricerca su Internet e si trovano moltissimi documenti, anche dettagliatissimi.
Da quasi dieci anni il luogo dell’evento è diventato Parco Storico della Resistenza.
Ciò che accadde alla famiglia Cavicchi nel loro casolare isolato tra il Valdarno e il Chianti è stato oggetto di una ricerca dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana perché, se è certo che 39 persone furono uccise dalle truppe tedesche, un po’ per rappresaglia, un po’ semplicemente per un’azione di guerra, visto che in quel casolare si era rifugiata un’unità partigiana, molto meno certi sono altri dettagli dell’evento, ad esempio circa l’intervento di informatori che avvisarono i tedeschi della presenza dei partigiani.
Comunque sia andata, la ricerca dei dettagli di questi scampoli di storia è importante, per non dimenticare, per trovare le piccole storie che la Storia ha stroncato.
I promotori della ricerca, Matteo Barucci e Gabriele Mori, hanno scritto l’introduzione al fumetto Pian d’Albero di Pierpaolo Putignano, autore che abbiamo già conosciuto con il volume dedicato a Pier Capponi.
Il territorio di Bagno a Ripoli era competenza della 22bis Brigata Garibaldi d’assalto “Vittorio Sinigaglia” della Divisione “Arno” e come succedeva in tutta l’Italia occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre, la Wehrmacht era alla ricerca dei combattenti (italiani e non) che gli si opponevano.
Nella rievocazione fumettistica dell’evento ci sono vari piani che si intrecciano. Da una parte quello della memoria, con il vecchio partigiano, quindicenne all’epoca dei fatti, che racconta al figlio e sottolinea che «la guerra non ha nulla di eroico» e che «ha fatto cose di cui non va fiero» per ripulire il campo da facili entusiasmi retorici.
Poi quello della storia, con il racconto degli eventi, a volte crudo, senza lasciare nulla di nascosto, dai colpi alla nuca per finire i feriti, all’impiccagione sommaria anche del piccolo Aronne.
Quello dell’esperienza personale, della paura e del coraggio, che non è l’assenza di paura, ma capire di dover «fare la cosa giusta». Dei ricordi e degli incubi che non ti abbandonano mai.
Infine quello del monito, perché la memoria non può essere fine a sé stessa, altrimenti si finisce con il «dar credito a quella faccenda dei corsi e ricorsi storici». Perché «le cose non “vanno storte”, non “si muovono da sole”, le cose si sbagliano». Così non si può cancellare la memoria per timore di “turbare i giovani”, ma tutto va raccontato, per evitare che si ripeta.
E il racconto che fa Pierpaolo Putignano è efficace, ricco, anche se fatto solo di 40 tavole.
La sua sceneggiatura riduce al minimo la retorica: i partigiani sono soldati, per i quali un quindicenne è troppo piccolo «per sparare alla gente», la guerra «non è un gioco, la gente muore»; i tedeschi sono anch’essi soldati, che usano la loro maggior forza per fiaccare sotto tutti i punti di vista la resistenza di un nemico che è anche traditore. Così non lasciano al frate la possibilità di confortare i condannati e non si fanno scrupolo a impiccare un pastorello. È un richiamo forte contro tutte le violenze e gli autoritarismi. Un richiamo universale, tanto che non c’è una sola battuta in dialetto toscano, e in tutto il volume si trova un solo detto nei dialoghi che lasci trapelare in qualche modo l’ambientazione geografica, che pure è precisissima nella caratterizzazione dei luoghi.
E d’altra parte universali sono l’orrore delle troppe morti, la gioia della liberazione e il rimpianto della morte degli innocenti.
Il racconto è tutto virato seppia, come le vecchie foto, solo il rosso del sangue e il colore delle bandiere tricolori fanno eccezione, con una tecnica ormai assodata di utilizzare il colore per sottolineare alcuni elementi grafici e per cambiare scena, tempo e luogo senza dirlo.
C’è solo una pagina virata in rosso, quella della decisione di imbracciare il fucile dopo tanti tentennamenti da parte del quindicenne aspirante partigiano. Non è certo l’unica splash page, ma quella che dà senso alla storia, perché in qualche modo senza quella decisione non ci sarebbe stato neppure il racconto della storia di Pian d’Albero.
Le scene colorate in modo vivo sono quelle del presente, con una tecnica già vista altre volte, di utilizzare i colori per distinguere i diversi livelli della storia.
La gabbia delle pagine è molto varia, ma sempre piuttosto regolare. Le vignette sono tutte rettangolari, anche se di dimensioni e forme diverse. Ogni tanto ci sono delle vignette senza bordo nelle quali i primi piani possono permettersi un po’ di strabordare, ma senza eccessi. E di nuovo è la storia a guidare la grafica, perché l’unica pagina meno regolare è quella dell’assalto tedesco che coglie tutti impreparati, e anche se la gabbia è molto precisa, la bustina che vola da un piano all’altro dà il senso del momento.
Il tratto di Putignano è molto preciso e deciso, caratteristici gli occhi formati solo da un bottoncino nero, ma non per questo meno espressivi. Un modo di disegnare che ammorbidisce la realtà, senza toglierle nulla. In alcuni momenti mi fa pensare al modo di disegnare di Bill Watterson, che colpisce la realtà non solo con la profondità e la sagacia delle battute, ma anche con la efficacia del tratto.
È una realtà che può essere ammorbidita, anche nei tratti, ma non dimenticata, come la memoria, che vede i fatti farsi via via più indistinti, ma non può e non deve cancellarli. Perché altrimenti avremo bisogno di una nuova Pian d’Albero, di un altro Aronne Cavicchi e di una nuova lotta partigiana.
Pierpaolo Putignano
Pian d’Albero
Kleiner Flug, Collana Viaggi fra le nuvole
48 pagg., colore, brossurato, 21×29,7 cm、€12.00