Orfani: Nuovo Mondo – Is this the real life?

Una serie di riflessioni nate sulla scia degli ultimi due episodi di Orfani: Nuovo Mondo e dalla pigrizia di un social network addicted.

Questa doveva essere una tardiva recensione degli ultimi due numeri di Orfani: Nuovo Mondo (Stati d’alterazione e Frammenti) ma poi succede che fai cose, vedi gente e va un po’ tutto a peripatetiche. Dopodiché, mentre butti preziosi minuti della tua vita facendo scrolling su Facebook, ti capita di leggere una cosa che fa partire tutta una serie di considerazioni.

La “cosa” è questa:

Recchioni-Facebook

Sebbene possa essere interpretata come una boutade del vulcanico demiurgo di Orfani questa dichiarazione chiama comunque a una riflessione.
«Non scrivo fantascienza»
Quindi viaggi su altri pianeti, astronavi, tecnologie futuristiche, alieni ecc… non sembrano essere abbastanza per definire Orfani come una serie di fantascienza.

orfani-bonelli
Dannate astronavi fuorvianti!

Cerchiamo quindi una definizione comune e condivisibile del suddetto termine prima di procedere nel ragionamento.
Un rapido giro su Wikipedia ci permette di trovare questa interessante affermazione di Ben Bova (autore di oltre 120 romanzi di fantascienza e plurivincitore di premi Hugo) nel suo The Craft of Writing Science Fiction That Sells:

Le storie di fantascienza sono quelle in cui un qualche aspetto di scienza futura o di alta tecnologia è così integrale alla storia che, se togli la scienza o la tecnologia, la storia collassa.

A leggere bene la serie di Orfani ci accorgiamo effettivamente che la componente scientifica, per quanto integrata nella storia, è assolutamente pretestuosa e non cardinale. Un po’ come succede anche in Guerre Stellari, non c’è un vero approfondimento scientifico: per quanto ne sappiamo (e per quanto interessa ai fini della storia) potrebbe funzionare tutto “per magia”.

Ma è quindi solo la vulgata scientifica a determinare la “fantascientificità” di una storia?

Andando a rovistare tra gli scaffali delle librerie possiamo trovare decine, se non centinaia, di ottimi romanzi di fantascienza in il cui rigore scientifico è tutt’altro che il centro della storia. Ci deve essere quindi qualcos’altro in grado di definire questo genere.

Ci viene in aiuto una citazione dello scrittore Valerio Evangelisti:

La fantascienza è il genere narrativo che ha per oggetto i sogni e gli incubi generati dallo sviluppo tecnologico, scientifico e sociale.

Alla quale possiamo aggiungerne un’altra di Judith Merril:

La narrativa speculativa ha l’obiettivo di esplorare, scoprire, imparare, attraverso la proiezione, l’estrapolazione, l’analogia, la sperimentazione di ipotesi, qualcosa sulla natura dell’universo e dell’uomo.

La fantascienza quindi parla del futuro (o di versioni alternative del presente e del passato) ma in realtà effettua un’indagine sulla natura dell’uomo e sulla società creata da quest’ultimo.

Orfani BandieraIn questo senso Orfani, e nello specifico la terza stagione, è inscrivibile in quel grande insieme di sottogeneri comunemente chiamato Fantascienza. Sin dal primo numero in cui vediamo il parallelismo tra il viaggio di Rosa verso il Nuovo Mondo e la cronaca contemporanea degli sbarchi di profughi a Lampedusa, fino all’ottavo numero con la pubblicazione, nella pagina introduttiva, della bandiera degli Orfani terribilmente simile a quella dello Stato Islamico; e con il racconto della dipendenza di Rosa dalle droghe che tanto ricorda i soldati dell’ISIS imbottiti di Captagon.

Anche alla luce di queste considerazioni però “non scrivo fantascienza” resta comunque un’affermazione sostanzialmente vera: quest’indagine sul presente infatti manca di affondare il colpo preferendo la via del fumetto “leggero” di intrattenimento.

Quindi cos’è esattamente che scrive Recchioni? Qual è il perno intorno al quale ruota Orfani?

Partiamo da quella che è la critica più insistente portata alla serie: “è una storia che poteva essere risolta in tre albi invece che nei dodici previsti”. Si tratta di un’affermazione assolutamente veritiera, io azzarderei anche un “Stan Lee e Jack Kirby sarebbero riusciti a concluderla in un unico albo di 22 pagine”.
Riflettendoci su pochi secondi, comunque, mi vengono in mente decine di manga a cui potremmo imputare lo stesso difetto: come mai quindi la diluizione della narrazione di opere come Slam Dunk, Dragon Ball e Captain Tsubasa non ci turba quanto quella di un albo Bonelli?
Perché, appunto, è un albo Bonelli.

Anzi: è un albo della Bonelli che non rispetta nessuno dei canoni classici della casa editrice.
La serie non è in bianco e nero, non è strutturata in storie autoconclusive, il protagonista cambia ogni 12 albi, i dialoghi sono stringatissimi e i suoi autori si divertono a smontare tutte le peculiarità grafiche dei volumi della casa editrice (a partire dalla famosa gabbia bonelliana).

NM8-Pag-14

Vengono mutuate scelte stilistiche da altri modi di intendere il fumetto: “Il Pozzo” disegnato da Luca Casalanguida sembra uscito dalla testa e dalle mani di Jack Kirby e nel duello “onirico” di Rosa (Numero 8 pagg. 67/71) ritroviamo le atmosfere care a Sampei Shirato nelle matite di Werther Dell’Edera. Proseguendo così, tra gli Youngblood di Liefeld e gli X-Men di Claremont, assistiamo al lavoro di una generazione di artisti che ha digerito e assimilato nuovi modi di approcciarsi al fumetto, fino ad arrivare al nono albo della serie in cui vediamo alternarsi ben cinque disegnatori diversi (tra i quali spicca per eterodossia lo stile pittorico di Giulio Rincione).

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Come avevamo già detto in precedenza Recchioni & Co. stanno usando il pretesto della fantascienza per scardinare le regole del fumetto seriale popolare italiano. Orfani è la naturale continuazione del progetto cominciato con John Doe (come abbiamo visto QUI).

Orfani-RincioneQui però si insidia il vero nodo problematico di tutta la serie: soprattutto in questi ultimi due albi sembrerebbe che il discorso progettuale sia spesso preponderante su quello narrativo. Si è più concentrati su come si narra che non su quello che si narra. Lo stesso ricorso agli “omaggi/citazioni”, che tanto ha fatto discutere sul web, comunica l’impressione di una ricerca di complicità tra autore e lettore (“ehi l’ho capito il riferimento al Flower Thrower di Banksy! Siamo amici io e te”) che scavalca la naturale affezione necessaria tra lettore e protagonista che, per giunta, cambia ogni stagione. In definitiva non si cerca di vendere un fumetto quanto di vendere un modo di fare i fumetti. Non è una novità sia chiaro: l’autorialità nel fumetto è sempre esistita ed esisterà sempre ma non ha mai fatto parte del corredo genetico del fumetto seriale e nello specifico di quello Bonelli.

Orfani-PixelartLa sensazione restituita da questi ultimi due albi quindi è quella di una serie troppo ripiegata su se stessa, sulle proprie (eccellenti) virtù stilistiche e meno rivolta verso il mondo esterno. Potenzialmente potrebbe risultare rivoluzionaria ma questo lo scopriremo solo negli anni a venire, valutandone gli effetti. In questo senso sì, Orfani: Nuovo Mondo è un fumetto di fantascienza in quanto proiettato nel futuro.

1 thought on “Orfani: Nuovo Mondo – Is this the real life?

  1. State parlando della serie che si è rivelata uno dei flop più clamorosi degli ultimi anni. Recchioni sosteneva che avrebbe riempito il San Paolo con le vendite di Orfani. Oggi, con circa 19.000 copie al mese, è un po’ difficile mantenere le promesse. E che fine ha fatto 4 Hoods, la famosa serie di pupazzi colorati molto simili al gioco Magicka della Paradox? Negli ultimi 10 mesi la sua pagina FB ha avuto un solo aggiornamento. Dopo l’addio di Marcheselli molte cose sono cambiate…

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