Non è solo una balena, è Moby Dick!
Il capolavoro di Melville rivive, e con tanto animo e classe, nella graphic novel edita da Kleiner Flug: sceneggiatura e disegni dei francesi Jouvray e Alary, che dimostrano come il fumetto non ha nulla da invidiare al cinema.
Moby Dick di Hermann Melville non è qualcosa da trattare con leggerezza, sia per quanto riguarda un suo adattamento a fumetti, né tanto meno per quanto riguarda una recensione che parli di tal fumetto.
La mia posizione non è dunque da ambire, ma è sicuramente migliore di quella di Jouvray & Alary, i due ardimentosi che hanno portato il Capitano Achab e la sua nemesi sulle tavole colorate edite da Kleiner Flug.
Eppure quello che mi sono trovata tra le mani non è sicuramente un lavoro che subisce il disagio di confrontarsi con cotanto gigante letterario.
Olivier Jouvray ha preso il romanzo di Melville e ha iniziato a sgranare i fatti più salienti in una trama chiara e piena di suspense, tanto che chi non avesse mai letto l’originale si troverebbe a sfogliare le pagine in attesa della catastrofe che trasuda da ogni pagina, completamente avvinto da questa storia di tormento e tensione.
I disegni di Pierre Alary completano la tridimensionalità del racconto aggiungendo facce e ambientazioni al dramma, con colori che si alternano tra quelli freddi, che sottolineano il precipitare della vicenda nelle profondità della disperazione, e quelli caldi, che animano le scene cruente della lotta tra uomo, ossessionato, e mostro del mare, senza cuore. E costruiscono tavole spettacolari e originali, nonostante un tema che non lo è poi molto.
Non credo di trovarmi di fronte a lettori sprovveduti che non sappiano di cosa parla questo dramma dell’animo umano, simboleggiato dalla ricerca ossessiva di Achab della balena bianca che gli ha fatto perdere una gamba. Su Moby e il Capitano credo sia stato detto tutto e anche troppo, e non nessuna intenzione di mettermi nel mucchio a parlarvene qui. Anche perché noi non stiamo argomentando del romanzo dello scrittore americano, ma di un fumetto, che dunque, rispetto al libro, offre molto di più.
Affrontiamo allora quest’opera come se fosse qualcosa di diverso e di inaudito: quello che per me è più evidente in questo Moby Dick di Jouvray & Alary è l’intrecciarsi delle storie di quattro uomini e il modo in cui si pongono di fronte al proprio destino.
C’è Ismaele, un uomo che tenta di cambiare il proprio destino e lo fa imbarcandosi in cerca di avventure, trovando quella definitiva, che lo porta a guardare in faccia la morte e a essere da lei rifiutato. Il suo volto è reso con tratti arrotondati, ha capelli morbidi, il viso ancora poco segnato dalle intemperie. Le inquadrature lo sorprendono sempre dall’alto verso il basso, come se tenesse sempre la testa china, come temesse di guardare direttamente quello che lo aspetta. Sicuramente ha paura: di quello che sta cercando di lasciare e ancora di più di quello che ha davanti.
C’è Starbuck, un uomo che vorrebbe cambiare il proprio destino, ma non ci riesce. Sa cosa sarebbe giusto fare, cioè impedire al capitano di guidarli tutti verso la morte, ma non riesce ad ascoltare quella voce saggia e rivoluzionaria e si lascia invece convincere a lasciare procedere tutto come se fosse ineluttabile. E ineluttabile diventa. La sua caratteristica è un cappello che fa ombra ai suoi occhi troppo tondi, che svelano la scarsa fortezza del suo animo. Quegli occhi sono lo specchio della sua condanna: sappiamo già guardandolo che non sarà in grado di impedire il peggio.
C’è Quiqueg, un uomo che conosce il proprio destino e non gli si oppone. La sua abilità come ramponiere è solo il simbolo della nobiltà del suo animo: Quiqueg conosce se stesso e in questo modo conosce anche gli altri, non ha paura di affrontare quello che la vita gli riserva, tutto ha uno scopo per lui ed è guardando dritto davanti a sé che affronta il disastro. Il punto di vista in cui è rappresentato è dal basso, si staglia imponente e nobile con i suoi tatuaggi e i suoi riti da selvaggio, ma è il migliore di tutta la ciurma, senza ombra di dubbio.
Infine, c’è il Capitano Achab, un uomo vittima del proprio destino, che per egoismo e follia violenta porta alla distruzione la nave e il suo equipaggio. È convinto che il mondo sia fatto per mettere in scena la sua sfida contro Moby Dick, non vede null’altro, non capisce null’altro. È rappresentato come il prototipo della rigidezza e della severità: profilo arcigno, tratti affilati, magro e duro come il legno, con il classico iconico cappello a cilindro che lo rende ancora più cupo e distante.
I suoi occhi sono sempre iniettati di sangue, sempre tagliati da una linea di malvagità e odio: non sanno vedere nulla al di là della schiena bianca di una creatura che ha eletto come sua nemica. E per questo si sente autorizzato a rovinare la vita di tutta la ciurma.
Personalmente non amo e non amerò mai Moby Dick, il capolavoro di Melville, ma questo fumetto è qualcosa di potente, così ben realizzato e di pregio artistico, che mi fa rivalutare anche il lavoro che lo ha ispirato, restando un’opera da esso indipendente e dimostrando quanto un fumetto non ha nulla da invidiare a letteratura e cinema.