Monolith – Donne e motori, e bambini e deserti
Monolith, primo progetto crossmediale di Sergio Bonelli Editore & Sky Cinema HD: un film sceneggiato da Roberto Recchioni e tratto dalla graphic novel omonima di LRNZ.
Il 12 agosto è una data importante per la Sergio Bonelli Editore. Infatti, distribuito in più di duecento copie da Vision Distribution, esce Monolith, prima produzione cinematografica della casa editrice di fumetti milanese. Uno sforzo produttivo non indifferente, che vede la partecipazione di Sky Cinema HD, Valentine e, ovviamente, la Bonelli, che del soggetto di Monolith, ideato da Roberto Recchioni, ha curato anche una versione a fumetti disegnata da Lorenzo LRNZ Ceccotti e sceneggiata dallo stesso Recchioni e Mauro Uzzeo.
Il film è stato già ampiamente pubblicizzato attraverso trailer sia al cinema sia in televisione: Monolith a inizio film viene presentata come l’automobile più sicura del mondo. Il film comincia con uno spot pubblicitario in cui un ibrido tra Elon Musk e Steve Jobs introduce tutte le feature dell’auto: indistruttibile, con vetri antiproiettile, blindatissima e una volta entrata in modalità difesa anche impenetrabile. Non solo: l’auto è intelligente, ed è governata da una intelligenza artificiale chiamata Lilith (Lilith, per quei due o tre che non lo sapessero, è stata la prima donna creata, la prima sposa di Adamo. Lilith però dimostrò di non essere una buona sposa in quanto non in grado di essere sottomessa, per questo fu scacciata dal paradiso terrestre). Questa intelligenza artificiale gestisce l’auto attraverso un pilota automatico ed è controllata da remoto mediante una app per cellulare.
La protagonista del film è Sandra, ex cantante di musica pop, che rimane in città con il bambino figlio di una precedente relazione del marito, mentre il consorte, produttore musicale, è andato fuori città per seguire le registrazioni di un nuovo singolo in uscita. Mentre è in videochiamata con il marito però comincia ad avere un dubbio: e se lui la stesse tradendo con una sua amica? Decide di raggiungerlo a Los Angeles, ma qualcosa va storto, il figlio rimane chiuso dentro la macchina inaccessibile mentre lei non può fare nulla per liberarlo.
Iniziando ad analizzare la pellicola da un punto di vista prettamente cinematografico (e mettendo quindi da parte il fumetto), possiamo dire che Monolith, diretto da Ivan Silvestrin, rappresenta un grande sforzo produttivo nel panorama cinematografico italiano, ma anche un’occasione non colta appieno.
In genere quando ci troviamo di fronte a questo genere di film ci aspettiamo un colpo di scena dopo l’altro, qualcosa che ci tenga letteralmente incollati allo schermo. Il film invece più che giocare sulle emozioni sul filo del rasoio gioca principalmente sul senso di colpa di una giovane mamma che non sa cosa fare per proteggere il figlio, una ragazza emotivamente instabile che prende tutte le decisioni sbagliate e che rischia di trasformare paronie e peccati veniali in peccati mortali.
Sebbene l’attrice principale sia calata nel ruolo e dia un’ottima interpretazione, la sceneggiatura non le dà appigli per fare di più, per svoltare e fare la differenza: possiamo dire che questo film è davvero realistico, la mamma non fa altro che cercare di aprire o sfondare l’auto usando la forza bruta, ma si sa che non ce la farà, viene spiegato all’inizio del film che questa macchina è inespugnabile. Allora perché continua? Semplicemente perché in questo film non c’è Beatrix Kiddo, ma una ragazza normale, non un supereroe, ma una bionda che lotta contro la tecnologia e contro il senso di colpa di non essere “abbastanza”.
Il film nonostante la sua godibilità lascerà gli appassionati del genere a bocca asciutta. Molti espedienti narrativi non sono stati usati: si è scelto il nome Lilith per l’intelligenza artificiale e lo spettatore più smaliziato poteva aspettarsi una sorta di sfida tra le due donne, quella di carne ed emotiva e la fredda di chip e bulloni. Invece la lotta tra tecnologia e umanità non si è consumata. Lilith rimane muta alle richieste di Sandra e si comporta come un frullatore dispettoso. Altra pecca è la mancanza di un vero atteggiamento materno da parte di Sandra: Sandra ama il suo bambino e per tutto il film ripete che è colpa sua se sta male, ma quello che salta agli occhi di una donna è che non si comporta esattamente come una madre. Il film è stato scritto da quattro uomini e la mancaza di un elemento femminile si nota: Sandra reagisce come reagirebbe qualunque uomo, ma non come farebbe una qualunque madre.
Stilisticamente Monolith ha molti punti di forza, che però non rescono a salvarlo dall’essere un’occasione mancata: visivamente Monolith, la possente e sicurissima automobile, è una bellezza per gli occhi. Concepita dalla mente di Lorenzo Ceccotti, è stata pensata per essere realmente una macchina funzionante su strada: il design della carrozzeria, la dashboard sul cruscotto, la meccanica interna conferiscono allo spettatore un senso di reale, di vero, di “possibile”, strizzando l’occhio al futuristico, ma rimanendo ancorato alla realtà. Non a caso l’automobile che vediamo nel film è realmente una Monolith funzionante, su cui la CGI opera solamente sulla dashboard frontale. In ogni inquadratura in cui l’automobile appare diventa automaticamente la protagonista della scena, sorprendendo sempre per il suo incredibile design.
Altro punto di forza della pellicola è indubbiamente l’attrice protagonista del film Katrina Bowden, che regge unicamente sulle sue spalle il film per tutta la sua durata, rimanendo sempre nel personaggio.
Bellissima la scelta delle location: un deserto sperduto che restituisce un senso di smarrimento e desolazione.
Il film, purtroppo, pecca molto nella regia. Complice una sceneggiatura piatta e quasi del tutto priva di svolte narrative accattivanti, la regia di Silvestrin risulta prevedibile, immobile e a tratti troppo descrittiva, che non interpreta la disperazione che prova la protagonista durante tutto il film. Nel corso della visione di Monolith, lo spettatore non viene coinvolto nel dramma che Sandra si trova a vivere, vuoi per l’assenza di sviluppi narrativi interessanti, vuoi per uno stile di regia troppo lento che vuole probabilmente essere “realistico” nella descrizione delle vicende, ma che, nell’insieme della finzione, tende a smorzare il legame dello spettatore con il film. Per tutta la durata della pellicola, purtroppo non si avverte la tensione tra Sandra e Monolith, non c’è interazione tra i due e soprattutto non c’è pathos.
In conclusione Monolith è un coraggioso esperimento cinematografico italiano che merita tutta l’attenzione e il supporto possibile e che speriamo possa essere un apripista per produzioni indipendenti future.