Medz Yeghern – una recensione dolorosa

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Medz Yeghern

Tu vuoi saperne di più, vuoi capire.
Ti tuffi nei libri di scuola, e non c’è niente.
Un silenzio minaccioso si stende sulla storia del primo terribile genocidio del Novecento: chi vuol parlarne, chi s’incuriosisce e s’informa, viene persuaso a guardare dall’altra parte.

Il fumetto sta sempre più diventando un linguaggio capace di raccontare in modo diretto e affatto disimpegnato anche i grandi temi della storia. A volte anche di quella un po’ (o molto) dimenticata.

Perché è capace di raccontare, dentro la Storia, le storie, quelle dei singoli; è capace di rappresentare le persone, non i personaggi, e da quelle persone consente di astrarre famiglie, città, popoli interi. Ha cominciato Art Spiegelman, e in molti lo hanno seguito. Ma non tutti con la forza e l’efficacia di quest’opera…

Paolo Cossi ha sempre provato a raccontare le cose grandi (ma spesso ignorate) con modi non eclatanti. Lo ha fatto fin dai suoi inizi. Lo ha fatto andando a toccare argomenti quasi mai mainstream, dalla ricerca dell’Arca sull’Ararat, al Vajont, dal terremoto del Friuli, a Mauro Corona. Mi pare si possa dire che è uno che non si volta dall’altra parte…

Probabilmente l’autore friulano (che purtroppo non conosco di persona) ha nel cuore la solidità, l’asprezza e la bellezza della sua terra, ecco perché racconta senza fronzoli di posti, e di persone, scarni, semplici, dolorosi. Così l’Anatolia e il Caucaso sono luoghi in cui ben si ambientano le sue storie, disegnate con apparente semplicità. In realtà con un registro grafico alla portata di tutti, ma incredibilmente vario, duttile e raffinato.

Hazard Edizioni fortunatamente ha pensato di pubblicare la nuova edizione di una storia non facile, storicamente controversa (forse ricordate le polemiche dello scorso anno per questo messaggio), prodotta la prima volta quasi nove anni fa, ma attualissima. È infatti proprio di questi giorni (esattamente nella notte tra il 23 e il 24 aprile)  la celebrazione dell’anniversario del Medz Yeghern, Il grande male, in armeno. Con queste due parole gli armeni ricordano le deportazioni e le stragi (in qualche modo una vera e propria epurazione etnica) subite dal 1914 (simbolicamente però la data di inizio è il 24 aprile 1915) al 1916 ad opera dell’Impero Ottomano, nelle mani dei Giovani Turchi, e tuttora ammesse obtorto collo dalla stessa Repubblica Turca.

Qui i disegni di Cossi e l’asprezza del Caucaso ben si conciliano con il dramma storico di cui questo territorio è stato teatro.

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Medz Yeghern

Dramma che Cossi racconta passando attraverso piccole storie di persone, pur facendo più volte emergere dallo sfondo il quadro terribile della Storia. Così il Grande Male si presenta negli affollati campi di concentramento, nello sterminio, nelle esecuzioni di massa, nella fatica delle deportazioni con vecchi e bambini, nelle immagini e nei comunicati dei tre Pascià che ne danno la misura e il quadro generale. Si manifesta però in modo ancora più diretto nelle crudeltà gratuite e terribili nei confronti delle singole persone. E se possibile è ancora peggio, perché colpisce ciascuno di noi, e non un impersonale e collettivo popolo lontano. Le piccole frasi in armeno, i nomi delle persone, rendono i racconti ancora più vividi, coinvolgono e lasciano il segno.

Si susseguono così le piccole storie, ognuna delle quali ci porta più vicino al fondo, portando l’umanità a livelli sempre più vicini alla pura bestialità. Dai quasi duemila soldati uccisi nel primo quadro, alle giovani donne violentate e uccise dopo che hanno visto massacrare le loro famiglie. Dalle teste impalate lungo le strade, al bimbo malato ucciso davanti agli occhi del padre per uno scherzo crudele, quando sembrava ci fosse un momento di redenzione. Si susseguono in tutta la storia le piccole grandi crudeltà, che colpiscono come pugni nello stomaco, al punto che il dolore trasuda dalle pagine, rendendo la morte quasi un sollievo, anche per il lettore, che sente sublimare la sofferenza dei personaggi.

In tutto questo Cossi cerca di ripercorrere la Storia in modo fedele, mescolando personaggi realmente esistiti ed eventi storici, con le piccole storie che si intrecciano.

Il dramma fortunatamente non cancella l’umanità dei singoli, se è vero che la redenzione passa attraverso un soldato straniero che perde ogni privilegio e rischia la sua stessa vita per raccontare ciò che sta accadendo. Se è vero che un altro tedesco (quasi una legge del contrappasso!) tenterà senza successo di negoziare in qualche modo con i politici turchi. Se è vero che c’è speranza, perché il trafficante di donne che compra le armene per il suo harem, in realtà ne organizza la fuga, o perché ci sono storie di salvezza, come quella del Mussa Dagh. Se è vero che è l’amicizia tra un armeno e un turco, che combattono insieme dalla parte giusta,  a redimere la storia. Se è vero che in fondo la vendetta del giovane che uccide il Pascià turco, che vive in incognito in Germania, si compie (storicamente) senza condanna.

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Medz Yeghern

Il tratto grafico di Cossi aiuta. È duro e scarno, ma dinamico. Deforma ambienti e personaggi, anche in contesti in cui sembrerebbe fuori luogo. Ma proprio la deformità rende talvolta più accettabili gli eventi, le violenze, le crudeltà. Così la violenza dei soldati, trascesi in volti dall’aspetto demoniaco, sembra provenire dalla loro disumanità, e questo in fondo consola…  I dettagli delle pagine, il taglio delle vignette, la dinamicità delle splash page danno il ritmo della storia. Le foto, ancorché rielaborate facendo perdere i dettagli, si alternano con tratti più precisi, e aiutano graficamente a creare il contesto in cui si inseriscono le singole storie, gli eventi, più tangibili e reali.

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Medz Yeghern

Un aspetto grafico mi ha molto colpito: gli occhi dei personaggi.

Quelli senza pupille dei cadaveri, quelli grandi e trasparenti dei personaggi innocenti, con le pupille che si trasformano in puntini quasi impercettibili quando sono sconvolti dalla paura o dalla pazzia, quelli spiritati e crudeli degli assassini, quelli accondiscendenti e freddi di Enver Pascià. Forse perché il racconto della prima crudeltà si conclude con una condanna che non ci viene mostrata, un «Cavate gli occhi al prete» che non riesce più a sopportare la vista delle sofferenze inflitte dai soldati. Una condanna che non si vede, ma che si sente distintamente nello stomaco.

E dagli occhi del lettore passa la storia, grazie alla Nona Arte. Attraverso anche le foto un po’ edulcorate che trascendono l’orrore, senza nasconderlo. Ma anche attraverso le parole di Armin Theophil Wegner, il soldato tedesco che ha scattato quelle foto, rivelando al mondo Il grande male:

La voce della coscienza e dell’umanità non potrà mai placarsi in me…
Questa lettera è un testamento spirituale. È la voce di migliaia di morti che parla per mezzo mio.

E allora non è possibile guardare dall’altra parte.

Medz Yeghern, il Grande Male

di Paolo Cossi

144, b/n Hazard Edizioni

Andrea Cittadini Bellini

Scienziato mancato, appassionato divoratore di fumetti, collezionista di fatto, provo a capirci qualcosa di matematica, di scienza e della Nona Arte...

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