L’effetto He-Man – I giocattoli ci hanno cambiato la vita?
L’effetto He-Man è un saggio a fumetti che racconta come la combo fatale fra TV e i giocattoli negli anni Ottanta abbia plasmato i nostri ricordi e la nostra identità.
L’effetto He-Man – Come i produttori americani di giocattoli ti vendono i ricordi della tua infanzia è un fumetto di Brian “Box” Brown edito da BAO Publishing, primo volume tradotto ed edito nel mercato italiano di questo autore.
Operazione interessantissima questa di Brown, quarantenne fumettista statunitense non nuovo al mondo del reportage a fumetti: ne aveva già scritto uno che gli era valso pure l’Eisner Award nel 2019 sul leggendario comico Andy Kaufman (personaggio che magari conoscete per Man on the Moon, film biografico diretto nel 2000 da Miloš Forman e interpretato da uno strepitoso Jim Carrey), e dopo un’incursione sulla storia del videogioco Tetris (Tetris: The Game People Play, 2016) e una sulla cannabis (Cannabis: The Illegalization of Weed in America, 2019), Brown si dedica qui a un tema tanto particolare quanto fondante per la generazione di lettori millennial: i giocattoli.
Intendiamoci, non siamo di fronte a una banale storia del giocattolo, ma a una brillante analisi del rapporto fra la televisione (soprattutto degli anni Ottanta), il mercato del giocattolo, la psicologia infantile e la costruzione dei ricordi.
La tesi, spiegata in soldoni, è più o meno questa: i ricordi piacevoli costruiti durante la nostra infanzia rimangono indelebili nella nostra mente e quindi tendiamo a volerli riprodurre. Ecco che, ad esempio, se associamo un bel ricordo a un cartone animato visto da bambini, obnubilati dalla nostalgia vogliamo a tutti i costi far vedere quel cartone anche ai nostri figli e nipoti, sperando che anche in loro ricrei le stesse sensazioni positive lasciate in noi.
Per arrivare a questa tesi Brown parte da Giulio Cesare e dal concetto di propaganda e dal ruolo centrale che i mezzi di comunicazione hanno avuto e hanno nel controllo dei comportamenti di massa. Brown analizza pagina dopo pagina, in maniera capillare, il rapporto di interdipendenza tra la pubblicità, la televisione e i telespettatori.
Lo fa per gradi e in maniera cronologica, partendo da Walt Disney (chi altri?) e l’enorme successo del suo personaggio più famoso: Topolino. L’impatto del topo antropomorfo creato da zio Walt sugli USA dei primi del Novecento non ha paragoni. Topolino divenne fin da subito una superstar e generazioni di spettatori sono state disposte non solo a guardarlo, prima al cinema e poi in TV, ma si sono spinte a idolatrarlo, fondando club spontanei e dimostrando di essere disponibili ad acquistare merci di ogni tipo con sopra stampata la faccia del topo più famoso d’America. Il licensing legato a Topolino divenne uno dei primi esempi di come si potesse capitalizzare in maniera feroce su un prodotto di intrattenimento; non a caso la battaglia sul copyright di Topolino è stata una delle più lunghe e controverse nella storia del diritto statunitense.
Nel secondo dopoguerra, una classe media statunitense più ricca e forte e l’invenzione dell’apparecchio televisivo permisero una capillarità nella distribuzione dei prodotti audiovisivi mai vista in precedenza. Tutti, o quasi, ebbero la possibilità di guardare, comodamente da casa, serie TV e cartoni animati e ovviamente di guardare spot commerciali che pubblicizzavano i prodotti più svariati, dalle sigarette a, per l’appunto, i giocattoli.
Ma se gli spettatori adulti erano in grado di capire la differenza tra finzione narrativa e pubblicità, allo stesso modo sarebbero stati in grado di farlo i bambini? Ecco che qualcuno comincia a sentire la necessità di regolamentare le trasmissioni dedicate ai bambini e le pubblicità in esse contenute. I produttori di giocattoli vedono così gli spazi pubblicitari dedicati a loro diminuire ed essere severamente regolamentati fino agli anni Ottanta.
Alla fine degli anni Settanta uscì infatti un film che ha cambiato per sempre il cinema statunitense e il rapporto fra prodotto audiovisivo e mondo del giocattolo: arrivò infatti in tutti i cinema Guerre stellari di George Lucas, opera visionaria ambientata in un futuro fantastico che non solo divenne campione d’incassi al botteghino, ma che generò una vera e propria mania negli spettatori. Al film e ai suoi fortunati sequel vennero abbinati, dopo lunghe traversie, una serie di giocattoli e action figure che spopolarono e permisero alla Kenner, azienda di giocattoli statunitense, guadagni milionari.
Forti dell’esempio di Guerre stellari e con un governo repubblicano disposto a chiudere un occhio, i produttori di giocattoli drizzarono le antenne e si ingegnarono per riuscire a bissare il successo dell’azienda concorrente, in particolar modo le due aziende leader del settore: Hasbro e Mattel. La Mattel ebbe un’idea geniale, ovvero ribaltare l’assioma fino ad allora vincente: invece di produrre giocattoli derivanti da prodotti televisivi o cinematografici di successo, si mese in testa di mandare in onda una serie animata basata su una linea di giocattoli. Nacque così Masters of the Universe. L’intento dell’azienda era quello di pubblicizzare attraverso la televisione i propri giocattoli senza dover passare per forza attraverso lo spot commerciale. La serie animata a episodi era essa stessa un grande spot mascherato da fiction e in definitiva mai scelta promozionale fu più azzeccata e lungimirante. La serie divenne subito un successo e la vendita dei prodotti a essa legamta, le action figure di He-Man e compagni, schizzò alle stelle (per un approfondimento sulla storia di He-Man vi consiglio la serie antologica disponibile su Netflix, I giocattoli della nostra infanzia).
He-Man divenne dunque uno dei primi esempi di prodotto studiato a tavolino e creato su misura per piacere ai bambini dell’epoca, a partire dall’aspetto estetico, creato sulla base dei culturisti e wrestler allora tanto di moda, fino alla prudizione della serie animata che forniva ai bambini un immaginario con cui giocare.
Nel primo anno, He-Man apparve su 166 stazioni TV negli USA e in 37 paesi esteri. La maggior parte dei nove milioni di spettatori erano maschietti fra i quattro e gli otto anni. Le action figure, i veicoli e i diorami della Mattel si vendevano ovunque. La Mattel ne vendette per 350 milioni di dollari. E contando i prodotti in licenza, le vendite del primo anno di He-Man raggiunsero il miliardo di dollari.
Brown analizza poi anche il progressivo fallimento di tale operazione e i successivi cambiamenti del mercato ludico e televisivo. Mantiene sempre uno sguardo critico e lucidissimo sui cambiamenti tecnologici e sociali avvenuti in America, e conseguentemente in Europa e negli altri paesi occidentali negli ultimi decenni, e riesce a far comprendere in maniera semplice concetti anche molto complessi, ad esempio analizzando la rinnovata fortuna del franchising Guerre stellari sulla generazione di millennial che ora sono abbonati alle piattaforme.
Insomma dietro ai nostri acquisti, per chi non lo sapesse ancora, ci sono elaborate strategie di marketing create analizzando i mutamenti sociali delle masse. Sì, anche dietro agli acquisti in apparenza più innocenti, come quello dei giocattoli, che invece di potenziare lo spirito immaginativo dei bambini si sono sempre più trasformati in rimpolpatori delle casse delle grandi multinazionali.
Lettura interessante e stra-consigliata a tutti i millennial nostalgici dei bei vecchi tempi.
Disclaimer: He-Man e i suoi Masters of the Universe hanno costellato la mia infanzia e l’hanno riempita di muscoli, testosterone e magia. Ancora oggi nella mia soffitta giace uno scatolone pieno zeppo di pupazzi Mattel che mi guardo bene dal buttare o donare e a cui non mi avvicino per il timore che mi prenda la voglia incontrollabile di ricominciare a giocarci.
Brian “Box” Brown
L’effetto He-Man – Come i produttori americani di giocattoli ti vendono i ricordi della tua infanzia
BAO Publishing, 9 febbraio 2024
272 pagg., b/n, brossura, 17×23 cm, 22.00 €
ISBN: 978-88-3273-969-5