Le bizzarre avventure di Jojo – Phantom Blood
Oh voi stolti che pensate che Naruto sia un figo, che Goku sia forte o che One Piece sia uno shonen intelligente, che Ken il guerriero sia imbattibile e che Seiya sia coraggioso, penitenziagite! Qualsiasi cosa, Jojo l’ha fatta prima, e se non l’ha fatta prima, l’ha fatta meglio. Seguiteci in questo viaggio attraverso lo shonen manga più bello del bigoncio.
Alla maggior parte di voi la parola shonen provocherà questa reazione:
(Se appartenete a questa categoria di persone, sappiate che gli shonen sono quei manga rivolti a un pubblico maschile adolescenziale. Generalmente si parla di botte da orbi oppure di battaglie e belle signorine. O entrambi.)
Ai lettori con una certa dimestichezza con i manga potrebbero invece venire in mente uno di questi tre, con una probabilità di, diciamo…



Come i più pratici di matematica avranno notato, manca un 2%. Ecco, quel 2% detiene la verità. Perchè a quel 2%, se sente la parola shonen, viene immediatamente in mente questo:
Signore e signori, stiamo parlando, ovviamente, di Jojo no kimiyona boken, l’unico manga di cui io abbia mai imparato il nome in giapponese. E sapete perché? Perché è una grandissima figata.
(Per inciso: la seconda cosa che verrà in mente al 100% dei suddetti è questa):

Da qui in poi esploreremo l’immenso mondo creato da Hiroiko Araki, l’unico autore di manga di cui io abbia mai imparato il nome (non è vero, ma ci stava bene). E siccome il manga si divide (finora) in 8 serie, il nostro viaggio durerà 8 puntate.
Chi non lo conosce, si prepari al viaggio più folle della sua vita.
Chi già lo conosce, si prepari a rileggerlo, perché, dopo questo viaggio, gli verrà voglia. E non si dica che non vi avevo avvertito.
Parte 1 – Jonathan Joestar (Phantom Blood)
ovvero: Georgie incontra i Miserabili, e gli succhia il sangue
Quando Araki iniziò a serializzare la serie su Shonen Jump, nel lontano 1987, aveva in mente soltanto pochi, precisi punti su cui lavorare. I suoi manga precedenti erano stati interessanti ma non avevano sfondato. Araki aveva un inesauribile curiosità, era un lettore vorace e un amante della musica, dell’arte rinascimentale, dell’Italia, della moda, dei romanzi ottocenteschi e della letteratura in generale, della prestidigitazione, della psicologia, dell’archeologia, della storia, del cinema, del fumetto e di altra robetta. E ancora stava cercando di creare un’opera in cui potesse infilare tutta questa roba.
Il primo germe della serie nacque quando Araki pensò che sarebbe stato bello scrivere una saga generazionale. Ogni capitolo si sarebbe occupato di un rampollo della nobile famiglia inglese dei Joestar, alle prese con un cattivo a tutto tondo.
Inventare Jonathan Joestar, primo della lunga serie di eroi soprannominati Jojo, non fu impresa ardua: Araki voleva un eroe senza macchia, un puro, l’ideale inarrivabile per tutti i suoi successori.

Quando però si trattò di delineare la figura del cattivo, Araki fece quello che pochi altri autori si preoccupano di fare: si documentò. Divorò letteralmente libri e libri sulle personalità più malvagie della storia, da Jack lo Squartatore ai serial killer odierni, soffermandosi sulle loro motivazioni. Quali potevano essere le molle che facevano scattare il desiderio di compiere il male? Araki lesse in particolare le perizie psicologiche redatte dalla polizia americana, e cominciò a definire il suo cattivo. Doveva essere il male incarnato, e per questo scelse un nome alquanto particolare: Dio Brando.

Araki si chiese inoltre quale dovesse essere la forma più pura di male. Squartamenti e omicidi non sarebbero mancati nel repertorio della serie, ma l’autore racconta di essere stato colpito dal caso di un serial killer alquanto particolare. Costui aveva chiuso in una stanza una dozzina di donne. Di volta in volta entrava, ne prendeva una, la portava fuori e la uccideva. Araki si chiese perché le donne non si fossero ribellate, tentando di sopraffarlo con il numero non appena l’assassino fosse entrato. Qual era il loro stato d’animo mentre aspettavano di morire? Capì allora che forse l’aspetto più sottile e invisibile del male era il controllo subìto dalle vittime, la loro incapacità di reagire e, anche, la fascinazione che esercitava.
Così, decise che Dio Brando sarebbe stato questo: un uomo capace di spargere il male intorno a sé, corrompendo tutto ciò che toccava, spingendo le persone a servirlo ciecamente.
Il bene e il male, primo elemento.
Segue l’ambientazione. L’Inghilterra nebbiosa di fine Ottocento, carrozze, cavalli, tenute di campagna e vestiti di broccato generalmente sono lo sfondo di storie d’amore e struggimenti, non certo di scontri all’ultimo sangue. Araki attinge da romanzi come i Miserabili e Cime Tempestose, tratteggiandoli con un segno ancora acerbo ma già attentissimo ai particolari.
Infine, gli scontri. Non aspettatevi gente intenta a gonfiare i muscoli, urlando forte mentre l’aura si gonfia (ogni riferimento a fumetti realmente esistiti è voluto). Araki inventa un sistema di superpoteri che rende davvero il senso della parola bizzarro. Serpenti che escono dalla testa, zombi, vampiri aztechi, e tutta una serie di trovate che hanno un solo e unico scopo, quello di rendere impossibile prevedere quello che accadrà nella prossima pagina. E ci riuscirà davvero, Araki. Tenetelo presente, perché per non derogare a questa sua regola aurea Araki giungerà, molto ma molto tempo dopo, a rischiare di compromettere la qualità della serie.
La prima serie di Jojo si conclude nel modo più tragico. Araki è pronto a voltare pagina, senza guardarsi indietro. Quello che resta sono 3 volumi densi di avvenimenti, che contengono soltanto la scintilla di quello che verrà ma senza le quali il complesso mito di Jojo non avrebbe mai potuto realizzarsi. Oggi molti tendono a saltare a piè pari le prime due serie per buttarsi direttamente sulla terza, ma la complessità della saga è impossibile da cogliere appieno se non si seguono le vicende di Jonathan Joestar e del suo fratellastro Dio Brando.

E di quell’altro grande personaggio che è il protagonista della seconda serie di Jojo, in cui il genio di Araki si accende a illuminare le nostre grigie vite.

Ma di lui parleremo nella prossima puntata!