Il viaggio di Arlo – recensione

Per la seconda volta nella mia vita, forse, sono andata a vedere un film di cui non avevo visto praticamente nessun trailer (solo uno prima di uscire di casa, quando era troppo tardi) e di cui non sapevo quindi nulla: Il viaggio di Arlo (titolo originale The good Dinosaur…). Avevo capito ad occhio e croce che si trattava di un prodotto piuttosto indirizzato verso il target infantile, ma mi avevano detto che era targato Disney-Pixar e mi sono fidata: di solito questo significa “qualità”. Ok, io ho poca memoria. Ok, io sono troppo ingenua.

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SPOILER: non mi è piaciuto.

SPOILER ALERT: per spiegare il perché dovrò inserire un sacco di informazioni che potrebbero essere SPOILER, appunto.

In una realtà parallela alla J. J. Abrahams dove i dinosauri non si sono estinti, un padre e una madre assistono alla schiusa delle loro tre uova. Da quello insensatamente enorme viene fuori il nostro protagonista, un… brontosauro? Lucertola senza senso? Insomma, una cosa piccola verde e deforme che ha paura a uscire dall’uovo. E di camminare. E delle sue zampe.

Lo so, mi state per dire che in un film di animazione ci deve stare quella santa “sospensione dell’incredulità” senza cui il divertimento si dimezza, ma vi assicuro, io volevo “sospendere la mia incedulità” ma… ma i dinosauri dovrebbero essere e fare i dinosauri, non coltivare la terra! Costruire i Silos!!!!

Ma torniamo alla trama: il piccolo Arlo è debole e incapace rispetto ai fratelli, e ha paura di qualsiasi cosa (letteralmente qualsiasi), il padre cerca in tutti i modi di fargli vincere questa odiosa tendenza e gli affida il compito di uccidere il parassita che mangia il loro granturco (pure lui, eh). Arlo non ci riesce, il padre perde la pazienza, risultato: va a finire male, la famiglia si ritrova senza figura maschile (e scompaiono anche i fratelli, ma questo non ha giustificazione nella trama) e, causa mancanza di intelligenza, finisce anche che Arlo cade nel fiume e viene portato via dai flutti insieme al parassita. Che altri non è che un cucciolo di umano. Che non si sa perché si comporta come un cane. Ma che invece è l’unico elemento gradevole di questo film, oltre ai fondali spettacolari.

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Da qui inizia il viaggio per tornare a casa, gli incontri con altri dinos che sembrano buoni e sono cattivi, altri che sembrano cattivi e sono buoni, fino all’epilogo “epico” in cui Arlo tira fuori le palle per salvare il suo amico umano (Spot. Io mi sono offesa a sentire che era questo il suo nome) e riesce a tornare a casa.

Giudizio: pessimo (spoiler).

Per quasi tutta la visione nella mia testa ha risuonato un sonoro “perché?”. Intanto perché fare un film sui dinosauri che non si comportano da dinosauri; perché il protagonista è così mal riuscito, dal character (che è semplicemente brutto, non coccoloso, non ammiccante, niente, sgraziato tutto al più) al carattere (fifone, stupido, egoista, lagnoso all’inverosimile: i bambini dovrebbero identificarsi con lui? Santoilcielo spero proprio di no!); perché ricercare così maldestramente l’originalità in un prodotto che è già dalle basi poco originale (tutti hanno parlato di Piedino e Alla ricerca della Valle incantata: non hanno niente a che fare per fortuna, ma comunque esiste, appunto, un’opera bella sullo stesso argomento).

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Ci sono diverse citazioni, anche (che ti fanno chiedere “ma perché”) tipo la saga del west: ci sono T-Rex che fanno i mandriani (avete capito bene) e il capo ha le fattezze di Jack Palance. Ma quando devono difendersi da dei ladri di bestiame (che hanno il look standard dei metallari: dai su, davvero!) non li mangiano. E le prendono pure un po’.

Sono indecisa se considerare i ripetuti svenimenti di Arlo, quando la trama non sa che strada prendere, come una citazione degli svenimenti di Dante nella Commedia, ma ovviamente NO, ed ecco, la perdita di coscienza non può essere un deus ex machina, funziona solo lì!

Alla fine del film ci si rende conto che tutto ciò che è successo non ha avuto senso: il padre (Henri!) è morto, ma quando anche Arlo (piccolo e fragile) si trova nella stessa situazione sopravvive senza problemi; nasce una tenera amicizia tra Arlo e Spot (più che altro Spot lo salva da infiniti pericoli, perché è un bambino meraviglioso, simpatico, coraggioso, divertente e intelligente, all’opposto del Bronto-coso. Unico elemento che ha ripagato i 7 euro del biglietto) ma poi si separano (buon per Spot) senza davvero bisogno di farlo; gli altri personaggi che conosce non gli insegnano davvero qualcosa, quello che fa con loro avrebbe potuto farlo anche a casa; e poi quando torna può finalmente imporre la sua impronta (cosa che viene permessa ai fratelli solo dopo grandi imprese) semplicemente perché è tornato vivo. E che avrebbe imparato? A non cadere nel fiume, penso.

Adesso non ditemi: ma era un film per bambini! I bambini ridevano alle cose insensate messe a posta per farli ridere, ma tutto lì. Non credo gli sia piaciuto (uno non faceva altro che chiedere speranzoso se fosse finito), non credo lo ricorderanno (anche se ci sono già gli ovetti Kinder dedicati): andranno a vedere un altro film di Natale e lo scorderanno. Perché NON è un film per bambini, è un film brutto, mal fatto (anche la Computer Grafica non mi è parsa delle migliori. Solo le scenografie sono ben realizzate) che non lascia nulla. Forse anche a causa del cambio di direzione: la sceneggiatura e la regia affidate inizialmente a Bob Peterson, poi sostituito alla regia da Peter Sohn (che poi sono due bravi!). Non saprei, ma la Pixar in questo caso ha fatto uno scivolone.

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Oltre a Spot, una seconda nota positiva potrebbe essere che hanno ricostruito, penso piuttosto fedelmente, come dovesse essere il Gran Canyon prima di diventare il Gran Canyon, immettendo coerentemente elementi tipici della natura Americana, compresa presenza di bufali e di geyser (che ci portano a Yellowstone). Peccato che questi particolari li nota l’adulto e non il bambino…

Un prodotto per bambini per me è qualcosa che resta appiccicato nella loro memoria, magari anche perché non hanno capito tutto quello che è successo, ma ha impresso una marchio. Non come la fanghiglia che lascia Arlo sul Silos di casa.

Silvia Forcina

Non pratico il nerding estremo pur essendo nerd nell'animo, ma non ho niente da condividere con i Merd che popolano il mondo. So solo quello che non sono. Come Balto.

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