Fiumi di inchiostro – “Il grande male” di David B.

Il grande male è un’opera in sei tomi pubblicata in Francia tra il 1996 e il 2003 da L’Association e in Italia nella versione integrale nel 2010 da Coconino Press, in cui David B., all’anagrafe Pierre-François Beauchard, narra la storia della sua famiglia e dell’epilessia del fratello Jean-Cristophe, che segna indelebilmente l’esistenza di chi lo circonda.

Il titolo originale è L’ascension di haut mal (in senso letterale L’ascesa dell’alto male), espressione con cui una volta tale patologia veniva etichettata. La trasposizione in italiano però non rende appieno il valore metaforico insito nelle parole «ascesa» e «alto», fondamentale per capire tutto il fumetto: la malattia è rappresentata nei momenti cruciali come una cupa e scoscesa montagna nella cui scalata l’epilettico trascina David e gli altri parenti in una faticosa salita, sulla conclusione della quale l’autore si interroga con dolente frustrazione.

Fin dove può arrivare il male? Fino a che punto di sofferenza? Fino a quando bisogna aiutare chi è malato? La risposta di David e della sua famiglia è unitaria e tenace fin dall’inizio: se Jean-Cristophe ha una crisi è necessario sorreggerlo perché non si ferisca; se l’attacco si manifesta per strada occorre fronteggiare gli sguardi di compassione o le parole di biasimo di un pubblico grettamente curioso e pronto a giudicare; se i farmaci non bastano bisogna percorrere tutte le strade al di fuori della medicina ufficiale, dalla macrobiotica alle sedute spiritiche.

Ma quali sono le conseguenze di questi tentativi? Sul malato ora giovevoli ora peggiorative, sui familiari per lo più frustranti e comunque condizionanti, anche se in forme diverse: il padre assume su di sé il ruolo di guida ferma e dura, la madre non si arrende mai ma il suo equilibrio risulta vacillante e intaccato in profondità dalla sensazione di non aver fatto abbastanza, la sorella appare in superficie distaccata e ignara, quasi un personaggio di scarso rilievo nelle vicende, ma alcuni dettagli all’apparenza insignificanti, come le due dita tenute in bocca, lasciano presagire che sarà la vittima più fragile di questo percorso.

E David? Nella sua infanzia il piccolo, soprannominato Fafou, comincia a disegnare scene di battaglie, proiettando nelle guerre la sua lotta contro il male, e nella sua adolescenza a scrivere racconti che, a distanza di anni, gli sembreranno in qualche caso incomprensibili; insomma riversa sui fogli in modo inconsapevole il magma di sentimenti che si agita sotto una superficie di tranquillità, quasi di indifferenza.

Per contrastare la pena e non ammalarsi anche lui lo strumento più resistente è la matita, che come una spada lo protegge dalle difficoltà e lo trasforma in uno scrittore ma soprattutto in un disegnatore instancabile e prolifico, oltre che un sognatore incline a sfuggire nella sfera dell’inconscio dallo strazio di vedere suo fratello morire tre volte al giorno, e un ragazzo solitario che parla con le ombre e non ha paura dei fantasmi e dei mostri, anzi trova in essi gli unici compagni con cui confidarsi. Queste sono le attitudini costanti con cui l’artista francese descrive se stesso nel fumetto, narrando in prima persona al presente e aggiungendo spesso alle immagini una didascalia apparentemente ridondante, in quanto esprime a parole ciò che il disegno già offre, con lo scopo di favorire l’immedesimazione di chi guarda e legge e di esprimere con ogni mezzo l’impellenza di raccontare, dando così senso e chiarezza alle proprie vicissitudini.

Nei sei volumi il ritmo è definito da una trama principale, una sorta di saga familiare, in cui i momenti di massima tensione sono legati ai progressivi peggioramenti di Jean-Cristophe malgrado le innumerevoli soluzioni cercate dai genitori con ostinata convinzione, e da varie trame collaterali che si collegano a grappolo con l’avanzata del male: le digressioni sulle origini dei metodi curativi, da cui si colgono i molteplici interessi culturali della famiglia Beauchard e l’apertura a territori del sapere poco battuti; i flashback per risalire alle avventure degli antenati, spesso vicende belliche, e ricostruire con affetto l’albero genealogico a cui aggrapparsi in cerca di consolazione; i sogni, registrati meticolosamente e presentati come microracconti autonomi, con un titolo proprio, nella cornice generale.

Non sempre queste storie si esauriscono nell’ultima vignetta di una tavola, come chiaro limite spaziale e cronologico, ma soprattutto nel quarto volume, che ha vinto nel 2000 il premio Alph-Art al Festival d’Angoulême per la migliore sceneggiatura, proseguono nella prima striscia della pagina seguente, per creare un legame, anche se talvolta stridente a livello visivo, con il tessuto narrativo principale o successivo, come a dire che tutto è collegato, passato e presente, vivi e morti, sogni e quotidianità, e il sottofondo del reale è un universo fantastico popolato di creature surreali. Del resto, se la vita di David e della sua famiglia non è “normale” anche le cose più strane possono diventare “normali”, se la malattia non può essere curata può essere almeno trasposta per immagini, se la pesantezza del morbo è insostenibile il disegno può essere una valvola di sfogo, una comunicazione dei propri stati d’animo, in superficie celati e repressi per lasciare spazio a quelli più urgenti del fratello.

Nei disegni l’epilessia assume forme disparate: sia quelle più intuibili di Jean-Cristophe che cade a terra, si contorce, ha lo sguardo perso, sia altre metaforiche, come il serpente-drago che attraversa e dilania il suo corpo, si siede sul banco di scuola accanto al malato, viene affrontato in duello dal guerriero David. Nelle scelte grafiche il fumettista sfrutta infinite potenzialità: se da un lato il narratore cerca l’empatia del lettore svelando con semplicità quasi infantile anche i suoi pensieri più nascosti e tremendi, come il desiderio di uccidere il fratello, dall’altro adotta soluzioni non realistiche in modo da favorire il coinvolgimento emotivo ma mai la compassione o la condanna per nessun componente della famiglia.

Lo stile si avvicina spesso alla caricatura, nel senso dell’esagerazione espressiva o deformazione delle normali proporzioni: il fratello diventa un gigante quando è più aggressivo, il suo volto o un dettaglio di esso occupa buona parte di una vignetta quando ostacola con la sua presenza ingombrante la ricerca di un’identità da parte del protagonista, la sua silhouette diventa addirittura la cornice di una tavola, piegandosi ulteriormente in posizioni innaturali che traducono la devastante forza dell’epilessia, nei confronti della quale, secondo l’autore, lui non ha avuto né la capacità né la volontà di ribellarsi.

Anche l’uso del bianco e nero rientra perfettamente nella strategia compositiva dell’artista francese: escludere i colori per oggettivare la realtà ma allo stesso tempo esprimere la propria soggettività attraverso il dosaggio del nero, che diventa più carico e predominante laddove le scene sono più drammatiche e riempie più volte lo sfondo delle vignette ma anche i personaggi stessi, definiti da contorni e dettagli bianchi, in un’angosciante atmosfera buia nella quale probabilmente i Beauchard vivono le loro giornate.

Basta anche solo sfogliare le pagine in modo veloce, osservare in particolare l’oscurità crescente dei finali dei singoli tomi per rendersi conto a colpo d’occhio dei fiumi di inchiostro nero di cui sono intrise le vignette: quale modo più immediato e icastico per rappresentare il tormento?

Se ci si sofferma sul tratto impiegato per delineare i contorni o le espressioni si può notare come diventi più marcato, quasi ripassato con rabbia e disperazione man mano che la storia procede, in concomitanza con l’accentuarsi delle crisi e la presa di coscienza dell’impossibilità di placarle; così quelle linee spiraliformi che circondano il corpo del fratello in preda agli oscillamenti del mal caduco passano progressivamente a solcare fitte il suo volto, e anche la figura di David stesso si trasforma e, specialmente nell’ultimo volume, subisce delle metamorfosi deformanti ed espressionistiche, si riempie di facce replicanti il suo viso con i denti digrignati e gli occhi sconvolti, si flette in pose dinamiche dalle quali trabocca ormai incontenibile tutto il mondo interiore, come un fiume in piena.

Ira, frustrazione, impotenza, solitudine: sono sentimenti che pervadono sia chi è malato sia chi assiste alle pene di una persona cara. Di fronte al dolore le reazioni sono molte, dall’accettazione al suicidio, così come i modi di comunicare il male, dalla chiusura alla ricerca di aiuto; più rara è la capacità di metabolizzare la sofferenza trasformandola in un’opportunità da cui far nascere qualcosa di positivo e significativo, come le pagine di questo eccezionale fumetto.

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