Dopo quattro anni la mostra itinerante Evangelion Exhibition è arrivata a Okayama: DF eccezionalmente c’era e può testimoniare l’enorme lavoro che c’è dietro.
Se c’è una cosa che i giapponesi sanno fare veramente, ma veramente bene è celebrare il lavoro. In un Paese che non festeggia affatto il primo maggio (e d’altronde avrebbe ben poco da festeggiare), il lavoro è visto come la massima realizzazione dell’uomo: «il lavoro rende liberi», vivere per lavorare. L’esaltazione del lavoro avviene tramite una continua propaganda che non si svolge per vie politiche o militari, ma bensì artistiche e sociali: non c’è giorno che la TV giapponese non mandi in onda servizi sul dietro-le-quinte del lavoro di artigiani, carpentieri, pescatori, manager, operai; nei programmi culturali non si analizzano tanto opere d’arte o eventi storici, ma piuttosto il lavoro degli artisti e degli storici; persino nei programmi d’intrattenimento il lavoro la fa da padrone, raccontando la giornata di cuochi di ristoranti o le riprese sul set con gli attori. In libri, fumetti e cartoni animati il tema principe è l’impegno del protagonista nel suo lavoro (o sport, che è uguale); nei videogiochi RPG, poi, le sotto-quest si basano spesso su lavori che il giocatore deve svolgere per qualcuno. Insomma, in Giappone dal lavoro non si sfugge.
Uno dei modi più peculiari con cui in Giappone il lavoro viene esaltato e fatto conoscere è la sua comunicazione diretta attraverso la museologia. Mostre ed esposizioni sono spesso concepite non con scopo culturale o divulgativo, ma per far conoscere il lavoro necessario a produrre le opere: esibire come si arriva all’opera finita più ancora che esibire l’opera in sé. Non fa eccezione la mostra itinerante intitolata Evangelion ten (“Mostra su Evangelion”, titolo internazionale: Evangelion Exhibition), che dal 2013 gira le principali città del Giappone. Partita da Tokyo il 7 agosto 2013 nello spazio per eventi dei grandi magazzini Matsuya di Ginza, la mostra ha finora toccato 14 tappe: la quattordicesima, e per ora ultima, è stata quella nella Mirai Hall, un teatro all’interno del centro commerciale Æon Mall a Okayama dove si è svolta a cavallo fra aprile e maggio scorsi, per poi proseguire verso nuove mete.
L’evento è stato realizzato dallo Studio Khara in collaborazione con il quotidiano Asahi Shibun dopo l’uscita cinematografica del film Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo, quando il regista Hideaki Anno entrò in una sorta di stato catatonico pericolosamente simile a quello affrontato da un suo personaggio in una sua opera, ovvero quella Asuka fisicamente e psicologicamente distrutta dallo scontro fra se stessa e il resto del mondo: Evangelion Exhibition è quindi anche un momento per fermarsi a osservare il lavoro svolto finora prima di ripartire verso il gran finale.
In effetti il tema stesso della mostra non è il grande franchise Evangelion, non è l’opera in sé, ma bensì la celebrazione del lavoro che c’è dietro: un lavoro enorme e straordinario. In un allestimento che comprende oltre 1’300 opere esposte, gli unici prodotti finiti sono due brevi video animati, di cui uno è solo uno spezzone incompleto: tutto il resto non è altro che il lavoro necessario per arrivarci. Per i fan di Evangelion è un viaggio emozionante, per tutti gli altri è quantomeno istruttivo su cosa vuol dire veramente realizzare un cartone animato.
DF ha avuto il privilegio più unico che raro di poter esplorare Evangelion Exhibition e riprenderne fotograficamente gli interni. L’autore desidera ringraziare lo staff della mostra, l’emittente televisiva locale OHK che ne ha curato l’allestimento a Okayama, e Hiroaki Iwano responsabile dell’Ufficio sviluppo progetti della OHK.
Ovviamente all’uscita della mostra è presente anche uno shop per acquistare i sempre numerosissimi gadget della saga (compresi quelli esclusivi acquistabili solo in quel posto, come è stato in tutte le tappe), ma quello che resterà al visitatore alla fine della visita alla Evangelion Exhibition non sarà tanto il (bellissimo) portachiavi di peluche di Leliel, ma piuttosto la netta sensazione che tutti gli anni di lamentele su lamentele su Internet, in cui i fan si chiedono quando uscirà il quarto e conclusivo film del progetto Rebuild of Evangelion o ironizzano sui tempi di Anno, sono solo inutili e quasi offensivi discorsi a vuoto.
L’animazione è la più archetipa, nobile e purtroppo anche negletta forma d’arte cinematografica: necessita di un lavoro semplicemente incredibile per poi ottenere un risultato che nel migliore dei casi è amato e apprezzato solo dal fandom e nel peggiore ridotto dal grande pubblico a film per bambini: il destino di ogni film Disney, ad esempio. Eppure probabilmente nessuno al mondo ha mai realizzato animazione di qualità senza avere una ardente passione dietro: è un lavoro troppo enorme per essere “solo un lavoro”. La visione dal vivo dei disegni preparatori dei film di Evangelion chiarifica quanto tempo, quanto impegno e quanto lavoro ci sia dietro: vale la pena di aspettare, pure servissero altri venti anni per vedere la prossima opera. D’altronde anche i film animati Disney hanno solitamente bisogno di tre, quattro, cinque anni o più di lavoro nonostante si avvalgano di uno staff di centinaia di persone: lo Studio Khara, di dimensioni ben più contenute, ha già fatto i miracoli riuscendo a proiettare nei cinema i primi tre film del Rebuild of Evangelion con soli rispettivamente uno, due e tre anni di lavorazione a fronte di un prodotto finale di qualità sensazionale. Forse vale la pena mettersi il cuore in pace e attendere senza fretta che Hideaki Anno e il suo staff ragionino con calma su questo fatidico quarto film: solo così potrà essere un grande lavoro, un lavoro degno di essere celebrato.
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