Dylan Dog #355: L’uomo dei tuoi sogni – Come un duetto
Un misterioso figuro tormenta i sogni di Sandy, la nuova fiamma/cliente di Dylan Dog, mettendo a repentaglio la sua sanità mentale ogni notte che passa. In breve il nostro eroe scopre che quest’incubo è condiviso da più di una persona e la follia comincia a dilagare.
Tanto per sgombrare i dubbi diciamolo subito: L’uomo dei tuoi sogni è uno dei migliori Dylan Dog usciti nell’ultimo anno (e se avessi una memoria migliore probabilmente azzarderei di più). Sebbene il soggetto non sia dei più originali, quello che più convince è il connubio scrittore-disegnatore instaurato tra Paola Barbato e Paolo Martinello che duettano come due affiatatissimi pattinatori. O ballerini. O cantanti. Scegliete la metafora che volete, basta che si capisca che i due sono affiatatissimi e bravi a sfruttare l’uno i punti di forza dell’altro.
Si comincia, come sempre, con la prima vignetta: il conflitto drammatico tra il titolo dell’albo e l’immagine di una bella donna, in abito elegante, ingobbita e con lo sguardo rivolto verso il basso; il tutto sottolineato da un tratteggio cupo e lo sfondo spoglio. Tutta la tavola introduce una sensazione di oppressione e fa subito capire al lettore che “l’uomo dei tuoi sogni” è tutt’altro che il principe azzurro. Con questa e la tavola successiva il duo Barbato/Martinello riesce a connotare il tenore di tutto l’albo.
Sebbene la brava scrittrice milanese decida intelligentemente di saltare a piè pari il cliché “arrivo della cliente + scena di sesso”, mostrandoci i due già nel mezzo della loro relazione, il preambolo con la relativa spiegazione del caso è tanto necessario quanto artificioso. A soccorso della Barbato arriva l’incredibile capacità espressiva di Martinello che disegna i personaggi credibili e realistici inquadrandoli in gesti quotidiani perfettamente calibrati. Per dirla in parole povere, la recitazione dei personaggi rende credibile il “momento spiegone” dell’albo.
Superato così l’impasse iniziale, tutto l’albo procede su due registri narrativi differenti donando alla storia quelle dinamiche che rendono il ritmo vario e mai noioso. Il primo registro è quello più standard, nel quale l’utilizzo rigoroso della gabbia bonelliana fa procedere la lettura senza difficoltà: qui la Barbato è brava a porre gli accenti giusti sulle vignette di entrata e di uscita delle tavole (quelle in alto a sinistra e in basso a destra) mentre Martinello gestisce sapientemente la messa in scena. Il secondo registro potremmo invece definirlo “quello degli acuti”: qui i due si svincolano dalle necessità di scorrevolezza e preferiscono giocare con l’impaginazione in modo da far soffermare il lettore sui punti salienti della storia.
Un primo assaggio lo abbiamo a pagina 13: nella mezza splash page, priva del bordo inferiore e con Sandy in basso a sinistra, il tempo percepito dal lettore si dilata indefinitamente sottolineando così le parole della protagonista “ho ancora tempo”.
Un altro esempio lo troviamo a pagina 37 nel quale un momento cardine della storia viene raccontato tramite sei vignette lunghe, disposte su due strisce: la tazza che si infrange a terra nella prima vignetta e la donna che cade in ginocchio nell’ultima, unite alla verticalità dell’impaginazione, sembrano voler evidenziare in maniera sia metaforica che fisica il concetto di “gravità” legato alla rivelazione della pagina precedente.
Questi sono solo due esempi di come Paola e Paolo (!) siano stati in grado di collaborare alla realizzazione di un albo che, dal punto di vista della narrazione, ha pochissimo da invidiare ai tanto, giustamente, mitizzati primi albi di Tiziano Sclavi (“che quando c’era lui i Dylan uscivano puntuali in edicola”). A voler essere pignoli si potrebbe parlare di come alcuni personaggi, come Rania e Carpenter, siano usati qui più come degli espedienti narrativi che come personaggi a tutto tondo, ma io non sono né pignolo né cattivo. Mi fa piacere invece sottolineare la copertina fosforescente fluorescente che brilla al buio, uno di quegli espedienti che fanno “tanto anni ’90”: anni in cui Dylan Dog vendeva 200.000 copie ed eravamo tutti più giovani.