Dimensione Arcobaleno: Julia #261

Giancarlo Berardi firma con Piangi, Pierrot un numero di Julia in cui l’antagonista è un personaggio queer represso e dunque violento: un buono spunto per parlare dei danni della sessualità non libera.

Be proud of who you are! Per tutta l’estate Dimensione Fumetto arricchirà le sue proposte e si tingerà dei colori dell’arcobaleno… come? Nell’unico modo in cui sappiamo farlo, leggendo e proponendovi fumetti e fumettisti che affrontano tematiche LGBTQIA+: inclusione, rispetto, identità e amore. Buona lettura!


In occasione del mese del Pride (che qua su DF diventa l’estate del Pride) tentiamo un excursus generale e poi l’analisi di un caso particolare su come le tematiche queer vengono rappresentate nei fumetti “classici” di Sergio Bonelli Editore; sono escluse quindi le miniserie e le serie degli anni più recenti come Simulacri o Orfani che invece hanno intrapreso un percorso meno tradizionale con i personaggi queer.

Per decenni i fumetti Bonelli hanno rappresentato le sessualità secondo criteri inaccettabili per gli standard odierni, ma in seguito sono stati trattati con più chiarezza e con qualche prurito in meno. Il problema principale nei fumetti della casa editrice milanese stava nel fatto che anche quando gli autori tentavano ammirevolmente di essere LGBTQIA+ friendly non sempre gli riusciva bene, perché nei loro personaggi l’essere queer diventava una delle caratteristiche costitutive del personaggio, peraltro spesso associata a disturbi comportamentali. Ovverosia, se un personaggio era cishet allora poteva avere qualsiasi personalità e ricoprire qualsiasi ruolo, ma in ogni caso la sua sessualità non influiva sulla trama, mentre invece se rientrava in un qualunque ambito dello spettro queer allora il suo stesso essere queer era la caratteristica predominante del suo carattere e influiva in maniera decisiva sulla trama.

Naturalmente il suddetto problema è da intendersi in senso molto generale ed esistevano già in passato molti casi virtuosi, in particolare dagli anni 1980: in Dylan Dog il protagonista è sempre stato un personaggio di larghe vedute, e anche nel mondo di Nathan Never abbiamo Legs con le sue relazioni burrascose; nel più recente Dragonero, Luca Enoch e Stefano Vietti inseriscono nel mondo medieval-fantasy personaggi femminili forti: le Madri Guardiane dei Luresindi sono figure guerriere, e le Tecnocrati, fra cui la stessa Myrva, sorella di Ian, sono guerriere a loro volta e intessono talvolta relazioni omosessuali.

Discorso a parte merita la specifica serie Julia, pubblicata dal 1998. Il suo autore Giancarlo Berardi è sempre stato attento alla costruzione dei personaggi e ai loro sentimenti, fin dai tempi di Ken Parker, e non si smentisce nella serie della criminologa, anche se a volte sembra ricadere nel suddetto atteggiamento vetero-bonelliano.

Ad esempio, nelle storie di Julia per lungo tempo il cattivo numero uno è stata Myrna Harrods: molto libera in fatto di esperienze sessuali, il suo orientamento è stato però collegato alla repressione subita in tenera età.

Giovanni Dall’Orto maltratta un bel po’ il modo in cui Berardi e la casa editrice Bonelli affrontano il tema, accusandoli di molte imprecisioni e di poco realismo nella gestione sia dei rapporti fra i personaggi che delle storie criminali. Mi pare di poter dire, però, che sia molto apprezzabile la grande delicatezza con cui il tema viene trattato in albi come Dietro le quinte (152) o Piangi, Pierrot (261). In entrambi i numeri compaiono due coppie omosessuali maschili: relazioni vissute in modo discreto che restano però sullo sfondo dei casi trattati dalla criminologa. Diverse volte compaiono personaggi riconducibili alla comunità LGBTQIA+, a volte in modo un po’ macchiettistico, almeno inizialmente, altre volte in modo più sobrio.

Berardi si conferma però un autore che mette al centro della storia la persona senza pregiudizi. In particolare in Piangi, Pierrot del giugno 2020, co-scritto da Berardi con Lorenzo Calza, Julia viene coinvolta dal tenente Webb in efferati delitti compiuti con paletti nel cuore: la storia si alterna fra l’omofobia più o meno latente di Webb e il racconto di cosa sta succedendo fra due attempati amici della criminologa che «avevano vissuto un’importante relazione e ora, dopo essersi reincontrati, stavano riallacciando i fili di una affettuosa amicizia». Uno dei due è un sassofonista che ricorda molto Moni Ovadia, l’altro un artista.

Sullo sfondo delle poesie di Umberto Saba, la cui omosessualità vissuta difficilmente è tema dibattuto, un serial killer dall’omosessualità latente che si è confessato in un momento di debolezza e adesso deve in qualche modo rimediare.

Piangi, Pierrot è un caso da manuale che mostra i pro e i contro dell’approccio bonelliano “classico” alle tematiche queer.

La storia mostra l’omosessualità sotto tante sfaccettature: da quelle tragiche legate ai drammi interiori di chi non si accetta per via dei condizionamenti sociali, a quelle più delicate di chi vuole solo avere relazioni umane profonde. Eppure, il fatto che Berardi & Calza si sentano in dovere di inserire personaggi queer “negativi” e personaggi queer “positivi” potrebbe sembrare un tentativo di bilanciamento della questione LGBTQIA+, ma in questa maniera si dichiara implicitamente che esiste appunto una “questione LGBTQIA+”, che nel 2020 invece non dovrebbe più esistere affatto (d’altronde viene spiegata in una nota a pié di pagina la stessa sigla “LGBT”, instillando il dubbio che il lettore medio di Julia non la conosca e dunque consideri la comunità queer come “estranea”).

Opinabili anche alcune espressioni decisamente retrograde, come «Tra noi ci riconosciamo!» (“noi” chi, considerando le numerose varianti dello spettro SOGI?), oppure «Nessuno potrà dire che siamo chiusi in noi stessi!» non pensato da nessuno mai, o ancora «Non siamo sempre sui carri dei raduni pride, in piume di struzzo!»… perché, anche fosse?

Infine, nei pensieri di Julia, riportati come sempre in corsivo, compaiono le fatidiche parole «teoria gender», un’espressione ideata in ambienti omofobi per indicare una cosa che non esiste e con cui si cerca di sminuire l’importanza dell’educazione sessuale, il cui obiettivo è l’esplorazione e accettazione della propria sessualità qualunque essa sia e non di instradare forzatamente verso le sessualità queer.

Detto questo, però, il caso del killer è quello di una persona omosessuale che si scopre tale dopo una vita di machismo, che si rivela in un momento di disinibizione (a una cena sotto i fumi dell’alcol) e che da lì intraprende un percorso tragicamente catartico: ovverosia, il suo problema non era la sua sessualità queer in sé, ma la negazione forzata della sua sessualità queer a causa di pressioni sociali o altro. In questo senso dunque il tema appare trattato con sufficiente attenzione e sensibilità: vivere liberamente il proprio stato di natura porta a una vita serena (come i due amici di Julia), viverlo non liberamente porta alla devianza.

In breve, anche se il ritratto della comunità queer appare un po’ stereotipato e semplicistico, appare chiaro che comunque le intenzioni di Berardi erano perfettamente nobili e fortemente costruttive. Va infatti necessariamente tenuto conto del target di riferimento di un fumetto Bonelli, che non è certamente lo stesso di un manga boys’ love o di un’autoproduzione di Renape o di tante altre opere di cui abbiamo parlato su queste pagine: il tono e il linguaggio di un fumetto vanno necessariamente modellati sul target, e in questo senso Berardi & Calza fanno un ottimo lavoro e Piangi, Pierrot funziona perfettamente.

Al solito, Berardi mescola la cultura (in questo caso le opere di Saba) con l’umanità delle relazioni orizzontali fra adulti e verticali fra le generazioni maschili di una famiglia. Forse non il miglior numero di Julia, ma comunque interessante e molto buono per ragionare sul tema delle sessualità.


Giancarlo Berardi, Lorenzo Calza (sceneggiatura), Claudio Piccoli (disegni), Cristiano Spadoni (copertina)
Julia numero 261 Piangi, Pierrot
Sergio Bonelli Editore, 3 giugno 2020
128 pagg., b/n, brossura, 16×21 cm, €5.00

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