Una tranquilla Ubalda di terrore – Devilman
Manca un mese ad Halloween, e noi di Dimensione Fumetto facciamo un conto alla rovescia virtuale parlando di fumetti d’orrore, nel nostro inconfondibile modo. In questa Ubalda, vi mostriamo come si può prendere il cuore del lettore e rovesciarlo più e più volte, lasciandolo stramazzato a terra. Dirige Gō Nagai.
Torna Quel gran pezzo dell’Ubalda, la rubrica di critica fumettistica dedicata all’analisi di singole pagine di straordinario valore, che questo mese di ottobre è tutta dedicata all’horror: stavolta è il turno di Gō Nagai col suo Devilman, uno dei capisaldi dell’intero fumetto giapponese e mondiale.
I precedenti articoli di questa rubrica sono consultabili a questo link.
Halloween si avvicina e da questa settimana, per quattro venerdì, Dimensione Fumetto si tinge d’orrore. Questa settimana la nostra rubrica Quel gran pezzo dell’Ubalda, dedicata a eviscerare pezzi di fumetto particolarmente belli, guarda dentro l’Abisso di una delle opere più significative del fumetto mondiale.
Devilman di Gō Nagai è tante cose: una di queste, è il fumetto più puramente intriso d’orrore che sia mai stato prodotto. Così, oggi abbiamo umilmente interrogato le pagine del Maestro, cercando di apprendere, da lui, che cosa significa avere paura.
Nella sequenza da noi scelta scopriamo, con un certo sgomento, che far paura significa anche dare speranza al lettore.
È nel terzo volume dell’edizione italiana della Dynamic, datata 1996, che troviamo il piccolo Tare, fratello di Miki Makimura, che chiacchiera con il suo amico Susumu in un tetro parco giochi.
Questa scena arriva dopo un terribile crescendo in cui abbiamo scoperto che i demoni si sono mischiati agli esseri umani allo scopo di riprendersi il pianeta Terra e, in aggiunta, divorare le nostre deliziose carni. Le persone stanno già scomparendo, giorno per giorno, e questa terribile guerra che vede l’uomo spodestato dalla cima della catena alimentare non risparmia nessuno: nemmeno i bambini. La sensazione è quella di un baratro nel quale siamo inesorabilmente diretti.
Tare e Susumu, dicevamo. Sembrano tristi: non è così che dovrebbero apparire due bambini in un parco giochi. Fa freddo, e Tare vorrebbe andare a casa: ma Susumu non è della stessa idea.
Nagai stende una coltre nera attorno al bianco di cui brillano i bambini, accentuando il senso di ineluttabile minaccia che li circonda. Una minaccia di cui noi, i lettori, sappiamo molto più di loro.
Susumu non vuole tornare a casa, e presto ci spiega il perché.
Ovviamente, non è un semplice caso di violenza domestica. Nagai non ci risparmia niente.
Ovviamente, il papà non crede al piccolo Susumu. Se vostro figlio vi dicesse una cosa del genere, voi credereste a lui o a vostra moglie? I bambini dicono tante sciocchezze.
Ma Nagai non è sciocco. Lui sa che noi sappiamo. Sa che sappiamo che la mamma di Susumu è diventata un demone sadico. A questo punto è una cosa di cui abbiamo la certezza: dove non c’è dubbio non c’è paura. Susumu sembra una vittima sacrificale, una scusa per assistere alla prossima efferatezza.
Ed ecco che Nagai ci fornisce la prima delle speranze.
L’oscurità attorno ai bambini si dirada per un istante. Ancora una volta Nagai gioca con quello che noi sappiamo: che Tare vive a casa con Akira Fudo, l’unica speranza dell’umanità contro i demoni. Susumu, improvvisamente, non ci sembra più spacciato. Tutto quello che deve fare è raggiungere casa di Tare, e magari Akira sistemerà tutto.
Tutto quello che deve fare, è attraversare l’oscurità fino a casa dell’amico.
I due bambini attraversano le strade della città, trasfigurate dal buio nella Selva Oscura, con il lupo in agguato dietro ogni angolo. Ma sono insieme, sono amici, e la casa è un posto sicuro.
Basta solo arrivarci. Nagai ci fa misurare quei piccoli passi, battendo il tempo con le loro risate, e quando giriamo pagina il cuore ci sale in gola, nella speranza terribile di vedere il lume di casa Makimura.
E invece.
Il cane e la madre condividono gli stessi occhi tremendi. Quelli di Susumu sono gli occhi di chi è stato tradito dal destino; sono gli occhi di colui che aveva davvero sperato di farcela. Sono i nostri occhi.
Nella tavola seguente, la madre di Susumu sembra normale e convince Tare che il ragazzino è soltanto uno a cui piace inventare storie.
E Susumu conferma. Il buio torna a opprimere la vignetta, pesante come piombo, al punto che il bambino si ingobbisce, quasi si rattrappisce dentro il suo cappottino. Nagai lo disegna così, rassegnato al suo destino, e noi con lui, perché non siamo Tare: noi sappiamo che la madre è un demone. L’ineluttabilità del destino di Susumu è di nuovo una specie di sollievo, ci libera dal peso di dover sperare per lui.
Nagai lo sa, ed è per questo che non demorde, deciso com’è a farci tremare. E così ci fornisce un’altra speranza.
Guardate la faccia di Susumu nella seconda vignetta (sempre da destra). Nella pagina è immediatamente sotto a quella da noi riportata proprio sopra: la trasformazione è lampante, quasi avvertiamo, nella vicinanza del contrasto, l’illuminarsi del suo viso. Stasera c’è il papà!
Susumu è contento. È un bambino, e mentre lo accompagniamo a casa, sentiamo un tarlo che ci rode dentro. È la paura.
Guardate le linee cinetiche che spazzano le ultime tre vignette, e la nuova trasformazione dell’espressione di Susumu. Le prime ci parlano di una ricerca frenetica, lo sbattere di porte, armadi, piedi per terra; e la seconda ci mostra lo sparire progressivo della speranza, il rinascere della consapevolezza, il viaggio, in tre piccole vignette pressate una sull’altra, dalla speranza all’orrore. Lo sapevamo, lo sapevamo! Ma con Susumu, abbiamo sperato fino all’ultimo.
La pagina successiva merita di essere riportata per intero.
Nella terza vignetta Nagai tratteggia il volto della “madre” di Susumu con linee ondulate e sinistre, che riescono straordinariamente a conferire alle parole pronunciate un tono stridulo, lamentoso: il disegno che ci fa udire le parole.
«Mamma odia i bambini che parlano troppo»!
E noi giriamo la pagina per vedere Susumu morire.
E invece Nagai, per la terza volta, ci ficca nel cuore un barlume di speranza.
Alla prima speranza, quella di giungere da Akira Fudo ed essere protetti da lui, abbiamo creduto.
Alla seconda speranza, quella di trovare il papà a casa, abbiamo voluto credere, per disperazione.
Cosa fare con questa?
Di nuovo, una pagina intera, quella immediatamente successiva, che parla da sola. La vignetta finale è il culmine di una tortura psicologica cui Nagai ci ha sottoposto in una manciata di magistrali pagine.
Non c’è bisogno di mostrarvi anche cosa succede poi a Susumu. È una piccola chiosa su cui Nagai non indugia. L’orrore di questa sequenza non è venuto da scene truculente, né (solo) dagli occhi e dai denti e dalle orrende silhouette oscure dei demoni. Viene dall’orrenda tortura cui è stato sottoposto il povero Susumu, la sadica successione di montagne russe tra speranza di vivere, di essere contento, di poter giocare con gli amici, e la tremenda consapevolezza di essere totalmente in balìa dei mostri.
L’orrore, in poche parole.
Prima di chiudere, una postilla.
Se qualcuno di voi non ha mai letto Devilman di Gō Nagai, consigliamo di mettersi davanti a uno specchio e darsi uno schiaffo in faccia per ogni anno di vita passato senza averlo fatto.
Dopo di che corra in fumetteria. Non avete mai letto un fumetto se non avete letto Devilman.