David Messina e Sara Pichelli, dalla Marvel a Dimensione Fumetto
Approfittando della loro presenza alla premiazione del terzo concorso artistico di Dimensione Fumetto, abbiamo chiesto a due pennelli in fuga cosa vuol dire lavorare per le major del fumetto made in USA
David Messina e Sara Pichelli sono i presidenti della giuria del concorso artistico indetto da Dimensione Fumetto giunto alla terza edizione e quest’anno ispirato al tema E se Dylan Dog fosse …
Ne abbiamo approfittato per organizzare una conferenza pubblica con loro per attingere un po’ dalla loro cultura fumettistica e dalla loro esperienza lavorativa. Ma anche per saperne di più dei loro progetti passati e futuri. Questa è la trascrizione della chiacchierata avvenuta il 3 Dicembre scorso.
DF: David Messina e Sara Pichelli sono disegnatori noti a livello internazionale, lavorano infatti per le 4 majors di comics americane. David (DC, Marvel, IDW, Image), Sara con Marvel. Prima di entrare nello specifico e di saperne un po’ di più su come funziona la carriera da disegnatore, vorremmo sapere qualcosa del Kaiju Club, da cui sono arrivati i volumi di Yamazaki. Cos’è?
DM: prima di Yamazaki introduco il Kaiju Club, che è uno studio di artisti, non nel senso di luogo fisico ma un collettivo piuttosto, che riunisce me, Valerio Schiti (Guardiani della Galassia, Vendicatori), Emanuel Simeoni (ora uscito dal gruppo) , Paolo Villanelli (G.I. Joe, Guardiani della Galassia). Lavoriamo su progetti legati a linee di giocattoli, serie televisive o film, come designer, inoltre realizziamo una volta l’anno dei volumi in libertà, uscendo un po’ dai meccanismi delle case editrici, che hanno una serie di necessità e regole abbastanza rigide da seguire. Una volta l’anno, in occasione di Lucca, ci concediamo questa libertà di giocare con il nostro lavoro: di decidere noi cosa vogliamo realizzare, come vogliamo realizzarlo, divertendoci a creare un albo dalla realizzazione dei testi, con la collaborazione di Diego Cajelli, sceneggiatore di Diabolik e di Martin Mystere, le nuove avventure, fino alla realizzazione finale, con altri collaboratori come Luca Bertelé, colorista per la Bonelli e disegnatore di Star Wars, per Panini e Disney, che ci aiuta con il campo grafico e design, e con l’aiuto di altri amici, prima ancora che grandi artisti, come Marco Checchetto e Carmine di Giandomenico. Per cui Yamazaki è quello che fanno i disegnatori quando si riposano dal loro lavoro di disegnatori di fumetti, cioè continuano a fare fumetti.
DF: aprendo il volume, nel primo episodio che ha il layout di David Messina e i disegni di più autori ho trovato Marty Mc Fly, sul Generale Lee inseguito da Dick Dastardly su un pianeta popolato da zombi. Quando accade questo capisci: “questi pensano solo a divertirsi, hanno messo la patata bollente in mano a Diego, gli hanno detto: senti, io voglio disegnare Marty Mc Fly, Dick Dastardly, Hazzard, gli zombi, fai tu…”
DM: diciamo che grossomodo la creazione delle storie funziona così, va detto però che Diego è uno sceneggiatore molto solido e forte, vuole rendere tutto questo una cosa coerente e fruibile dal lettore, non qualcosa che si riveli solo uno sterile esercizio di disegno da parte nostra, così su questo numero ha fatto degli studi di fisica, legati sia alla fisica quantistica che a teorie probabilistiche, riuscendo a creare un vero e proprio multiverso coerente. Infatti, se si ha modo di leggere tutto, a partire dal primo volume, ci si rende conto come questa enorme stanza dei giochi sia fondamentalmente coerente, le storie siano coerenti, in qualche modo ci sia un discorso di sceneggiatura da una parte giocosa, ma da un’altra con un manifesto di intenzione che dice che il fumetto è pensato come divertimento, realizzato in libertà, via dalle posizioni rigide richieste quando ti confronti con delle icone. Noi con quelle icone cerchiamo di giocare, da Lovecraft a Ritorno al Futuro a tutta la cultura pop anni ‘80 facendolo con grande libertà.
DF: Al concorso di cui siete stati presidenti di giuria si sono presentati tanti aspiranti artisti: andiamo su questo versante. Qual è la differenza principale nel confrontarsi con il mondo del lavoro in Italia, all’estero, e cosa è richiesto oltre al saper disegnare? Come ci si propone nel mondo del lavoro? Voi avete lavorato in Italia e all’estero, quindi le dinamiche immagino siano diverse…
SP: In Italia ho lavorato poco (escludendo il mio lavoro svolto nel campo delle autoproduzioni), ho fatto due copertine per Bonelli, una variant per Juric e un Dylan Dog Color Fest di qualche anno fa. Conosco molto meglio l’America, ma credo sia più o meno lo stesso: si parte sempre preparando un portfolio, meglio se mirato. Realizzare tavole ad hoc per quella data testata/casa editrice da più chances di attrarre l’attenzione dell’editor, che nono sempre ha un’efficace capacità di proiezione. Una volta messo insieme il portfolio lo si presenta durante le fiere ai vari stand delle case editrici che presenziano nelle maggiori fiere americane (NYCC, SDCC).
Un altro modo è quello di inviare la versione digitale del proprio lavoro alle e-mail predisposte per il talent scouting. Parlando di portfolio review in Italia, la fiera più efficace sotto questo punto di vista è Lucca Comics and Games, seconda mi azzardo a dire l’ARF che sta andando in quella direzione benché sia ancora una realtà molto giovane. Una volta Mantova Comics era orientata a avere editor come ospiti (ma ormai è tanto che non vado non vi saprei dire). Le altre non le conosco benissimo ma che io sappia non sono molto concentrare sullo scouting.
Tornando oltreoceano, io consiglio a tutti i ragazzi a cui insegno alla Scuola Internazionale di Comics, quando mi chiedono: “come facciamo quando usciamo di qui a proporci?” se potete andate… Non tanto a San Diego, che pur essendo la più nota, è molto concentrata sull’entertainment: serie tv, cinema… i fumetti sono meno importanti, una piccola parte. Ti diverti da matti, ci mancherebbe, ma per lavoro io consiglio New York Comic Con. Qui ci sono tutte le case editrici, e in più l’artist alley è in uno spazio ampissimo e separato dagli ambienti principali (quelli con i padiglioni degli editori, videogames e merchandising).
Nell’artist alley molti editor delle diverse case girano buttando un occhio, ai nuovi talenti e prendono contatti.
Quindi come per Lucca ma amplificato, al NYCC potrete lasciare il vostro portfolio allo stand della casa editrice che vi interessa, e incrociare le dita che veniate selezionati per l’incontro.
DM: dal punto di vista professionale posso aggiungere (praticamente Sara ha detto tutto) che il mio consiglio è quello di sviluppare una propria visione di ciò che è lo storytelling, il fumetto di narrazione, perché questo mondo si sta allargando dal punto di vista della competitività. Se una volta i disegnatori italiani facevano la lotta fra loro per disegnare per Bonelli, oppure con gli inglesi per lavorare con Marvel eDC, oggi il mercato è globale. Quando cerchi di lavorare con gli americani o anche con i francesi, ti trovi in competizione con disegnatori dalle Filippine, o anche dalla Norvegia, Francia, Spagna. Per ora, grazie al cielo, non dalla Cina, perché il regime gli impedisce di lavorare per gli americani. A parte loro, tutto il resto del mondo è in competizione, sulla piazza, per poter lavorare per editori così potenti che sono in grado di spaziare dal fumetto ai videogiochi, al cinema. Questo richiede da parte dell’aspirante disegnatore di avere qualcosa che vada oltre il semplice bel disegno. Certo, è importante conoscere anatomia e prospettiva, ma è importante avere una visione della narrazione. Questa visione si sviluppa con la lettura di altri fumetti, con la lettura di romanzi, per esercitare l’immaginazione. Occorre essere sempre al passo con i tempi per quanto riguarda l’evoluzione della grafica, del design, della moda, del cinema. In qualche modo ci si chiede di essere competitivi e andare oltre il disegno ben fatto. Il nostro lavoro si apre in altre direzioni, mi è capitato, e capita a molti di noi sempre più spesso, di pensare serie a fumetti pensando già alla versione televisiva del personaggio,oppure viceversa di pensare alla trasposizione animata del fumetto. Quindi non si può limitare la propria conoscenza al mondo del fumetto, bisogna guardarsi intorno e sapere cosa c’è. Dal punto di vista professionale il mio consiglio è quello di essere il più curiosi possibile, prendere dall’arte, dalla letteratura, dal cinema qualsiasi stimolo per crescere.
DF: Parlando di Cebulski, mi viene in mente un aneddoto piuttosto famoso. È a New York, vede dei ragazzi che si confrontano fra loro le tavole, si avvicina e dei tre o quattro che erano lì, uno poteva essere interessante. Ha chiesto di vedere le tavole, e i ragazzi lo hanno cacciato in malo modo. Probabilmente il ragazzo “interessante” ha perso il treno della vita, per essere stato poco gentile, diciamo. Evitare quindi di sentirsi degli artisti già arrivati…
DM: soprattutto cercare di capire chi sono le persone che lavorano nel settore. Questo aneddoto serve a capire che, oltre a essere in generale gentili con le persone, sia una cosa fondamentale essere scaltri, conoscere le facce delle persone che lavorano nel settore, farsi un’idea. Magari sei a una convention a parlare con gli amici e hai dietro il vice direttore della Marvel o comunque un talent scout che passa e magari vorrebbe vedere i tuoi lavori, e tu non hai assolutamente idea di chi è quello con cui stai parlando.
SP: mi fa ridere questo aneddoto, perché spesso si passa da un estremo all’altro, da quello che non ha idea di chi sia il vice direttore della Marvel a quello che su Facebook ti scrive come se fosse tuo cugino… Non esistono vie di mezzo, è un mondo vario.
DF: per andare a proporsi è consigliabile portare un prodotto finito, una autoproduzione per mostrare la propria professionalità in quel senso?
DM: Sicuramente avere un prodotto fisico, cartaceo, che sia esemplificativo del proprio talento, è un punto a proprio favore, per il semplice motivo che dimostra che si è affrontato il percorso produttivo nella sua interezza. Che tutte le problematiche della produzione sono state affrontate. Che non ci si è limitati a: scrivo la storia, la disegno, la inchiostro, ma si è affrontato temi come le dimensioni, la qualità della carta, l’uso dei colori, la stampa… Tutto questo fa di voi degli autori più consapevoli, per cui portare un prodotto finito è una esperienza formativa importantissima e non c’è altro modo di farla. Molte delle figure che adesso sono di spicco nel mondo del fumetto italiano, da Roberto Recchioni, a Michele Foschini passando per Manfredi Toraldo, vengono dalle autoproduzioni, le hanno fatte per anni, quindi sono consapevoli da tempo dei vari aspetti. Io mi rendo conto di muovermi in un altro campo, che è quello del fumetto americano, quindi magari ho meno contatto con quelli che producono il fumetto in Italia, però ne conosco. È una esperienza che dà una marcia in più. Non ci si deve aspettare che presentandosi con il proprio fumetto stampato in autonomia la casa editrice ti dica “si, te lo pubblico così”. Ponendosi nei confronti di una casa editrice così grande, sono loro che hanno i personaggi, che decidono quale disegni. Esistono delle realtà, magari più piccole, a cui è possibile presentare una propria creazione. Consiglio di fare autoproduzione come esperienza formativa, poi portarla per mostrare all’editore la propria crescita personale.
SP: aggiungo solo che è un modo intelligente di proporsi, ma attenzione che non sia un’arma a doppio taglio: se il prodotto non è qualitativamente valido, curato, può sortire l’effetto contrario. Perché l’autoproduzione non è solo una scelta pratica, è anche una filosofia, è il volersi occupare di tutti gli aspetti, dall’idea fino alla vendita. Quindi attenzione: al prodotto finito fatto male è preferibile un portfolio fatto bene. Magari lavorando su sceneggiature professionali già uscite e pubblicate.
DM: nel momento in cui si realizza un volume si affrontano dei problemi a cui inizialmente non si pensa: la qualità della carta, la superficie della carta stessa. Dopo la copertina che cattura l’occhio, il secondo contatto che avete con un fumetto è quello tattile. Ci sono degli studi su questo, sulla scelta della carta, a partire dai biglietti da visita. Questa è una cosa che nel momento in cui ci si occupa di una autoproduzione bisogna studiare, ed è solo una delle tante sfaccettature che va curata nel dettaglio.
DF: Torniamo a Yamazaki per avere un punto di contatto tra il discorso autoproduzione e produzione seriale. Manfont, Kajiu Club, la Scuola Internazionale di Comics hanno dato il via a questo progetto chiamato Apocrypha, che vi chiedo di spiegarci…
SP: Da qualche anno a scuola portiamo avanti un Master che vuole essere un ponte tra la scuola e il mondo del lavoro. Mi spiego meglio, chi si iscrive a questo corso non si sta “comprando” il lavoro semplicemente pagando la retta , ma si ritrova immerso nel mondo del fumetto a 360°, nel professionismo. Grazie alla collaborazione con l’agenzia editoriale Manfont facciamo lavorare i ragazzi su progetti che vedranno la luce, titoli che saranno distribuiti in circuiti seri quali: le principali fiere del fumetto italiano e fumetterie/librerie. I corsisti lavoreranno su sceneggiature realizzate da professionisti e alunni del master di scrittura (sempre della scuola) e infine si ritroveranno a dover gestire scadenze vere, le famose deadline. Ragazzi che fino all’anno prima si dovevano solo preoccupare di fare i compiti (che ogni tanto il cane si mangiava), ora devo assumersi responsabilità, se non lavorando il prodotto non esce e la macchina produttiva si blocca con tutte le conseguenze che ne derivano.
Questa è una lezione di vita e professionalità, ed è allora che scoprono di che pasta sono fatti. Apocrypha nasce con questo intento, in collaborazione con gli sceneggiatori del corso di scrittura creativa di Torino, divisi in tre spotline: Apocrypha Yamazaki, Apocrypha Arcana Mater e Apocrypha 2700
DM: Abbiamo pensato di far lavorare i ragazzi su personaggi già esistenti, con un pubblico più piccolo rispetto a icone del fumetto come Dylan Dog o Spider-man però sono conosciuti ai lettori che frequentano le fiere come Lucca o i comic shop. Questo li mette di fronte a una ulteriore sfida. Prendendo questi brand, (ArcanaMater è nato ai tempi dello Scarabeo, ora ristampata da Manfont, 2700 è una serie degli anni ‘90, con un successo in edicola senza precedenti, arrivando a vendere 12-13000 albi, prima che altri Bonellidi si affacciassero sul mercato) inserendo Yamazaki, per il discorso di divertimento e gioco in questo universo che abbiamo creato. Loro si sono trovati in qualcosa di esistente su cui potevano mettere la loro visione e la personalità, che è una delle cose più importanti per me come disegnatore, ma anche come insegnante. È fondamentale che i ragazzi sviluppino una loro personalità.
DF: Stavate parlando di fare cose per divertimento: vi è capitato di fare le cose faticosamente, perché vi sono state imposte, magari per una serie famosa? Vi siete dovuti adattare troppo?
DM: più di qualche volta. Esempio: dover disegnare Wolverine, personaggio che amo, noto a tutti, e ti dicono “Ok, la regola è che non si deve vedere sangue”, e tu pensi “Ma Wolverine non è quello con gli artigli di adamantio che taglia le persone?”, la risposta è “Si, ma fa in modo che non si veda sangue, non si devono vedere ferite, tagli, la violenza va messa tutta fuori campo”. Cioè dovevo disegnare sempre le braccia di Wolverine fuori dalla vignetta, così non si vedeva nulla… è stato un problema, la storia era stata scritta prima che arrivasse questo ordine della Disney, era una storia violentissima, con diversi morti ammazzati per albo, quindi la cosa è stata davvero complicata. Un altro esempio: quando ho disegnato Star Trek in particolare per la serie The Next Generation volevano che i personaggi, per quanto fossero circondati da violenza, in pericolo, persi nello spazio, attaccati da mutanti, fossero sempre serafici, avere sempre il sorriso sereno, al massimo la faccia seria, mai disperati. È una richiesta assurda, ma il pubblico di Star Trek TNG ama i personaggi per la loro serenità, e magari affrontavano situazioni in cui una persona normale avrebbe avuto una crisi di panico, ma loro niente…
SP: ovviamente capita spesso. Di molte cose ovviamente non posso parlare. Ve ne racconto una: non so chi di voi conosce lo sceneggiatore Brian Michael Bendis, scrittore con cui collaboro da sempre e particolarmente amato per i suoi dialoghi freschi e serrati. Il lato scomodo di collaborare con chi scrive dialoghi tipo sit-com è che sulla pagina ci si ritrova tante vignette da gestire (arriviamo anche a 8/9 per pagina). Infatti lavorando sui Guardiani della Galassia, dovevo disegnare una storia in cui entravano in gioco 3 supergruppi, in tutto c’erano 20 personaggi, e tutti parlavano in ogni vignetta. Non sapev
o come fare. 4 numeri da incubo!
DM: ti ritrovi spesso ad avere direttive che vengono date dopo che la storia è stata scritta. Un altro esempio che mi è venuto in mente è successo con Catwoman. Quando mi hanno chiamato ero felicissimo: personaggio della Batman family, icona del sesso… La direttiva: “si, ma non farla troppo erotica, chiudile il costume, diminuisci il seno, non farla ammiccante” e io “siete sicuri che volete che io la disegni? Sapete che tendo a disegnare le donne sexy, mi date Catwoman e poi volete che disegni madre Teresa?” Quindi per me è stata una grande frustrazione, ho festeggiato per 3 giorni quando mi hanno dato il lavoro, fino a che non mi è arrivato lo script, che era un continuo di “chiudi il costume”, “riduci il seno”, “non far vedere scollature”, sembrava di fare qualcosa che non c’entrasse nulla con il personaggio. Al di là di tutto, il mondo del fumetto è pieno di costrizioni e la differenza tra l’aspettativa di lavorare su un personaggio e farlo davvero è notevole. Soprattutto per personaggi molto famosi. Il problema in questo caso era che era appena uscita la serie TV di Gotham con i personaggi di Batman adolescenti, quindi il pubblico doveva avere quella davanti, e collegare una adolescente di 14 anni con la Catwoman dei fumetti che tutti conosciamo era un problema. Qualcuno alla DC ha detto: non possiamo fare sexy un personaggio che in tv la gente vede come una ragazzina di 14 anni. Oltre a questo c’era anche il tentativo di reindirizzare il personaggio verso un nuovo target.
SP: Io come sapete disegno un Uomo Ragno che sotto la maschera è un ragazzo di colore, e non so se vi è noto, la questione delle minoranze etniche è un argomento delicato, specialmente in America, e tale va trattato, per cui non
so se parlare di paletti è giusto, ma c’è una storia che vi voglio raccontare cosi avete la misura di quello che un disegnatore si può trovare ad affrontare. Miles l’ho visivamente creato io, quindi le caratteristiche mi sono chiarissime, ma Brian una volta mi fa “Sara, in questa pagina Miles è troppo di colore…” Intendeva dire che avevo usato un’espressione facciale che aveva esaltato i suoi tratti afro-americani. Lo so che fa ridere. Ma il concetto era: sta’ attenta, non deve diventare grottesco, altrimenti si finisce per farne una macchietta/caricatura, si rischia di essere offensivi. Sembra un dettaglio (inizialmente mi è addirittura suonato assurdo), ma questo è un paletto culturale non trascurabile. Si conosce una cultura anche attraverso queste cose, e si impara a capire e rispettare anche così!
DF: Confermate che con l’arrivo della Disney in Marvel, sono cambiati i limiti di quello che si può fare? Lo chiedo a David per non mettere in imbarazzo Sara…
DM: Fondamentalmente Sara è in una relazione a due con la Marvel, sono fidanzati da 6 anni, io sono più libero… Io passo da una casa editrice all’altra… Il problema non è stato tanto l’acquisto della Marvel da parte della Disney, che in realtà lo ha fatto per pagare meno tasse, perché in America se reinvesti gli utili, ti detassano mostruosamente; quanto la scoperta successiva della Disney che con la Marvel si fanno un sacco di soldi. Quando hanno visto l’incasso del film degli Avengers la reazione è stata: “ma con voi si fanno i soldi” da lì hanno preso le redini dicendo: “noi sappiamo come si fanno i soldi con i pupazzi, facciamo topi e paperi da una vita”. Hanno preso tutto quello che c’era e hanno imposto delle regole per tutto ciò che era diventato film. In effetti, le testate lontane dalla trasposizione cinematografica non hanno avuto grandi cambiamenti, ma quando diventi un film, un brand, come SpiderMan o Avengers, ti chiedono di abbassare i toni di violenza e di tenere un tono più leggero. E quindi il mio problema con Wolverine era proprio questo…
DF: Quali sono le principali differenze tra sceneggiatori italiani e americani
DM: ho lavorato con qualsiasi tipo di sceneggiatore, da quello che ti da qualche indicazione e per il resto ti lascia completamente libero sulla gestione della pagina e delle vignette (tipo: pagina 8, stanno discutendo, non sono d’accordo, poi tu ti fai la sceneggiatura) a Joe Casey che ti dice: questa tavola ha 9 vignette, 3 strisce, ogni vignetta è un terzo più piccola della precedente, in questa vignetta si vede questo e questo, queste sono le referenze delle foto delle città e di quello che devi mettere in ciascuna vignetta, con i punti di vista. E tu devi eseguire, ed è tosto metterci del tuo, perché poi è un maniaco del controllo, anche mentre lavori. Io li ho provati tutti, ho lavorato con 15-16 sceneggiatori. In Italia ho lavorato meno, mah molti colleghi che lavorano con gli sceneggiatori italiani, questo mi ha dato una visione della situazione per quanto indiretta. Tranne qualcuno che come Diego, che ha molto rispetto del disegnatore, e dà molta libertà di fare il proprio lavoro, (pur mettendo nella sceneggiatura tutto ciò che serve) so che in Italia c’è una maggiore descrittività all’interno della sceneggiatura. Spesso i disegnatori si ritrovano a interpretare ed eseguire. La sensazione che ho (generalizzando) è che gli sceneggiatori italiani tendano a guidare in maniera eccessiva i disegnatori, limitandone (a mio parere) la libertà creativa. In questo modo la sceneggiatura diventa così rigida e vincolante e si crea un meccanismo non del tutto sano. In America esistono tipi diversi di sceneggiatori, ma che comunque lasciano al disegnatore la sua libertà.
DF: Domanda tecnica: nello studio di un disegnatore che magari piace particolarmente, può essere utile tornare indietro e cercare quali sono le influenze e le origini da cui è partito?
DM: è una cosa importantissima, io lo faccio spesso. Seguo la parabola di un disegnatore, da dove ha iniziato fino a dove si trova adesso. Scavare indietro significa conoscere e comprendere a fondo il disegnatore che ti piace. Più lo comprendi a fondo più sei in grado di imparare da lui, senza diventare una copia. Penso sia una cosa molto intelligente. Ad esempio per i disegnatori della mia generazione, studiare Katsuhiro Otomo: credo che tutti abbiamo almeno 2 edizioni di Akira. Un altro che amo molto è Adam Hughes, e tutti quegli autori che vengono da un certo gusto estetico anni ‘50. E hanno riportato anche nell’illustrazione l’art deco francese dei primi del ‘900. Questi sono i due autori principali. E poi Mike Mignola, perché in fondo ho un animo oscuro, e perché secondo me ogni disegnatore ha preso qualcosa da Mignola. Chi un elemento, chi un altro. Fondamentalmente faccio riferimento a questi disegnatori, ma cerco di rimanere sempre aperto alle diverse influenze e a nuovi stimoli. Ultimamente ho scoperto James Harren, disegnatore straordinario e dinamico che ha lavorato per Image e Dark Horse, ed ho riscoperto (devo dire che lo riscopro ciclicamente) Brian Stelfreeze. Autore elegantissimo, sul quale faccio appunto il discorso di tornare a ritroso sulle influenze che ha subito, fino Leyendecker l’autore delle copertine del Saturday Evening Post prima del più famoso Norman Rockwell.
SP: io come fumettista sono un po’ anomala, perché ho una formazione da animatrice. Ho lavorato in animazione per un paio d’anni, come character design, storyboard artist, Insomma ho fatto un giro largo per arrivare al fumetto. Il primo contatto con il fumetto
è arrivato tardissimo, il primo albo di cui mi sono innamorata è stato Sky Doll di Barbucci, prima mi limitavo a Topolino… Copiavo Barbucci come se non ci fosse un domani, e poi da lì ho cominciato a conoscere altri autori, quella che veramente mi ha “sconvolta” è stata Claire Wendling anche se ha fatto un solo fumetto, poi ha lavorato come character designer per la Disney e non solo. Quasi in concomitanza con l’inizio della mia carriera fumettistica ho iniziato a leggere fumetti in maniera regolare. Ho amato autori come Toppi, Breccia, tra gli americani, ce ne sono tanti, Immonen,Pearson,Hughes,Sook,Mignola,etc.
DM: raccontiamo il tuo incontro con Straczynski e John Romita Jr? Una cosa un po’ imbarazzante. Sara stava cominciando a lavorare nell’ambiente ma ancora non aveva espresso le potenzialità nel fumetto. Un giorno mi fa: “devo andare in bagno, dammi qualcosa da leggere”, le passo Tornando a Casa di Straczynski e JRJr. Lei va. Dopo due ore, preoccupato, busso per chiedere se va tutto bene, apre la porta con due lacrimoni e dice “mio Dio, è bellissimo”. Infatti c’è una scena bellissima con Peter Parker e zia May. Lì si è resa conto di tutta la potenza narrativa ed evocativa del fumetto. Ha capito che le piaceva questa possibilità di raccontare al di là della bellezza estetica, torniamo al discorso del raccontare storie, la dimensione del racconto e della potenza narrativa.
DF: il vostro mondo si identifica con il lato più di intrattenimento, c’è nella vostra idea un progetto, una autoproduzione, che vi coinvolga in modo più completo, diverso da quello fatto finora?
SP: leggo tantissime graphic novel che devo dire mi invogliano a raccontare delle mie storie. Sicuramente avrei cose che vorrei fare, ma sto studiando per arrivare a fare qualcosa di mio con cognizione di causa. Sapete, per non fare quelle cose che poi riguardi dopo anni e ti dici: ma cosa ho fatto? Questa è roba mia?
DM: personalmente sono uno step più avanti. Sono già al lavoro su una miniserie scritta e disegnata da me per la IDW, si tratta di un lavoro nell’ambito dell’entertainment, a sfondo horror, però ci sono temi un po’ più difficili come l’omosessualità e la religione all’interno della storia. Recentemente, per fare questa cosa, mi sono messo a studiare sceneggiatura, in quanto partendo dal disegno, la preoccupazione era di assecondare semplicemente le cose che so fare come disegnatore. Invece ho provato a farmi le domande che si fa lo sceneggiatore ogni giorno, questo mi ha portato a scrivere una storia più personale, più legata al mio spazio creativo, partendo dal pavimento creativo da cui parti quando decidi di buttarti in mezzo al pubblico. Mi sono reso conto che quando lavori in squadra con sceneggiatore e inchiostratore, c’è sempre quella cosa per cui se non funziona la colpa non è mia. Se fai tutto tu, se va bene ok, ma se va male la responsabilità è tutta tua, quindi da qui stavo cominciando recentemente a buttare giù una storia più personale, fuori dall’entertainment tradizionale e più legato alla mia storia personale.
DF: avete parlato sempre di fumetti legati sempre a una ambientazione fantastica. Cosa pensate del fumetto come veicolo di cultura, storica, scientifica? Spesso in Italia il contenuto culturale elevato non viene veicolato da una grafica altrettanto curata o viceversa. Voi cosa ne pensate? Ne avete esperienza? Com’è nel mondo del fumetto americano, che frequentate da italiani?
SP: conosco anche io qualcosa di francese, in America non credo ci sia qualcosa di simile. In Italia purtroppo ancora c’è la percezione che il fumetto sia per bambini. Il fumetto è un mezzo potente, anche per divulgare conoscenze, lo stesso entertainment se fatto bene può essere multilivello di contenuti.
DM: in realtà in America nell’ambito delle graphic novel si tratta l’aspetto storico, ma molto legato alla loro storia, o al loro contesto sociale, cito ad esempio The March, pubblicato dalla Top Shelf, una divisione della IDW, che è un fumetto di importanza storica sul movimento di indipendenza degli afroamericani. Sta andando fortissimo. Quello che ho sempre deplorato nell’approccio al fumetto di divulgazione scientifica o storica è l’aspetto didattico nello stile de la storia d’Italia a fumetti, troppo didascalico. Se dovessi farlo mi sveglierei con gli incubi: pensa se qualcuno mi dicesse fai una splash page del Papa che parla con Margareth Tatcher… Vedevo le tavole di Toppi e pensavo alla frustrazione di non avere nessuna libertà. C’è sempre la sensazione chel’entertainment debba essere separato dalla divulgazione, scientifica o storica. Penso che in questo i francesi siano un passo avanti. Ho un amico che sta lavorando sulla storia di una donna cinese durante la rivolta dei boxer, ed è interessante, perché è gestito come il racconto di un personaggio in quel contesto, mantenendo gli elementi storici, ma senza essere didascalici. L’essere didascalici rischia di allontanare sia chi legge già i fumetti, che il nuovo lettore. In questo, come stanno facendo i francesi, e anche gli americani, ci sta la possibilità di un punto di incontro tra l’entertainment e la divulgazione. La difficoltà ora è quella di trovare la stessa chiave per fare anche divulgazione scientifica, raccontandola in maniera piacevole.
DF: I giapponesi in realtà lo hanno fatto, hanno caratterizzato fortemente delle opere ambientandole correttamente in periodi storici, ma costruendo storie assolutamente originali
DM: sicuramente, il problema dei giapponesi è che usciti dal Giappone sono completamente inconsapevoli di cosa ci sia al di là. Sono bravissimi a raccontare la loro storia e la loro cultura, anche in modo divertente, purtroppo non applicano la stessa capacità nel cercare di capire il resto del mondo. Il problema è proprio l’approccio ed è un peccato, perché il Giappone lo raccontano davvero bene.
DF: Arrivati al Giappone chiudiamo e ringraziamo David e Sara!
PS: incidentalmente, questi sono i vincitori del concorso!
1° Classificato • Claudia Plescia di Porto Sant’Elpidio
2° Classificato • Leonardo Lotti di Forlì-Cesena
3° Classificato • Stefano Zorzenon di Mossa (GO)
Premio speciale DF • Jessica Antonini di Foligno (PG)
Attualmente le opere sono in mostra fino al 18 dicembre nell’area archeologica del Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno, e presto troverete la gallery sul nostro sito!