Dammi la mano – tra adolescenza e speranza
Una storia di ordinaria tristezza, ma anche di speranza e di nuove scoperte per due adolescenti “problematici” e un professore che proverà a cambiare il loro destino con una giusta punizione, per i Tipitondi della Tunué!
Ci sono due ragazzini, Gianluca detto Jonathan e Maya; hanno tredici anni eppure sembrano molto più vecchi e allo stesso tempo infantili. Si scontrano a scuola, si accusano di furto, vengono alle mani. Il loro “caso” viene affidato al giovane professor Dante, perché si sa che quando si è ancora all’inizio del lavoro nelle scuole si è pieni di entusiasmo e volontà di aiutare i ragazzi… o forse la Preside ha visto in lui qualcosa di diverso. Fatto sta che il giovane prof si impegna a parlare con i genitori dei ragazzi: li dovrà punire e vorrebbe discuterne con loro. Si ritrova così di fronte alla realtà dura e angosciosa che i ragazzini devono vivere in casa: Maya ha una madre single che lavora giorno e notte per pagare le bollette, ma non c’è mai per parlare con lei; Jonathan ha un padre disperato per la morte della moglie, senza più speranza, che passa il giorno sul divano a lamentarsi del destino crudele, lo stesso contro cui mette in guardia il figlio. Maya e Jonathan hanno appreso da loro che non bisogna mai sognare, perché la realtà distrugge le illusioni, che l’amore è esattamente questo, una illusione che naufraga prima o poi, in qualche modo, ma è una lezione troppo dura, troppo univoca, troppo figlia della rabbia per loro e il professore lo capisce bene. Decide che i due hanno bisogno di conoscere una nuova realtà, che devono costruirla con le loro mani, insieme: ed escogita una punizione adeguata a loro, che li porterà pian piano a conoscersi, riconoscersi e affrontare le loro debolezze, a crescere.
Già da questa trama si intuisce che Dammi la mano di Simona Binni è una storia realistica, evidentemente frutto delle esperienze dell’autrice come educatrice, ma è anche una storia delicata ed edificante che può interessare diverse fasce di lettori, esattamente come specifica la collana della Tunué in cui è pubblicata: Tipitondi, dagli 8 ai 99 anni. Ed è un romanzo in immagini (detesto il termine Graphic novel, quasi peggio di Romanzo grafico) che forse non porta nessun elemento di originalità o di eternità al panorama del fumetto, ma è onesto, descrive delle condizioni fin troppo usuali della contemporaneità, non solo italiana, ma molto più in generale dei nostri tempi e si intuisce che è qualcosa che l’autrice ha sentito profondamente. Le tematiche affrontate sono la solitudine, l’incomprensione tra adulti e ragazzi, la paura del mondo e di crescere: i due ragazzi costretti a lavorare a stretto contatto riusciranno ad aprire i gusci dentro cui hanno rinchiuso e soffocato sé stessi e si apriranno alla sfida del mondo, saranno capaci di rischiare e di perdonare chi non ha saputo capirli e aiutarli. Jonathan inseguirà il suo sogno, e Maya ritroverà una sua parte mancante. La scuola e gli insegnanti, una volta tanto, si ritagliano un ruolo positivo in questo sviluppo umano, ritornano a svolgere un’azione educativa e di incoraggiamento che purtroppo, troppe volte, nella quotidianità, sembrano aver perduto.
Nota meno positiva per me sono i disegni: la Binni ha uno stile personale, che può o non può piacere, a gusto individuale, e ha sicuramente una buona mano, ma sembra quasi che la realizzazione sia forzata, come se il character, soprattutto nelle pagine iniziali, sia autoimposto, come una volontaria ricerca di originalità nei tratti dei visi. Stiamo parlando di una affermata illustratrice che non ha bisogno di nessuna lezione, (è alla seconda pubblicazione di opere a fumetti per la Tunué, la prima è Amina e il vulcano) le mie sono solo impressioni, ma guardando la differenza di linee tra l’incipit e le ultime pagine si nota come il tratto sia molto più fluido e aggraziato alla fine, in confronto a una sorta di rigidezza iniziale. I colori vivaci e allo stesso tempo liquidi di Marcello Iozzoli fanno da collante al tutto, che risulta comunque molto gradevole e di qualità.
Alla fine delle 116 pagine sono stata contenta di averlo letto, mi ha ricordato cosa significhi avere tredici anni e l’ansia di trovarsi così tanta vita davanti.