Claremontiana – Uncanny X-Men 114
Chris Claremont è un nome che qualsiasi amante di fumetti mainstream americani dovrebbe venerare. Dato però che tra di voi ci sono molti giovani parvenu che non lo conoscono, ecco un breve saggio sul suo caratteristico stile narrativo, con un esempio preso dai suoi X-Men.
Fresca fresca sulle nostre scrivanie polverose è arrivata la notizia che Chris Claremont sarà ospite per la Panini a Lucca Comics 2019, scuotendo le nostre certezze su un inizio di Novembre passato in panciolle sul divano (come il resto dell’anno, d’altronde). “Embè?” direbbe il bamboccio che pensa che Nighcrawler sia l’emo colorato degli ultimi film, “chi sarebbe ‘sto matusa Clare-coso?”
Siediti, giovane bamboccio, e ascolta la storia che stiamo per raccontarti. Essa parla di un supergruppo camp di metà anni ’70 concepito come un frullatone multietnico di stereotipi in salsa supereroistica, che grazie a un uomo si è trasformato nella saga a fumetti più complessa, moderna e variegata della storia dei comics. Ancora oggi ci sono odiosi manager in doppiopetto che nuotano in piscine di banconote grazie alle parole uscite dalla macchina da scrivere di quell’uomo. Un tizio fissato col bondage che dovrebbe apparire in tutti i film passati presenti e futuri ambientati nel mondo mutante, così come Stan Lee appariva in tutti i film Marvel.
Come dici, giovane bamboccio? Che hai provato a leggere una di quelle storie e ti è sembrata piena di gente che non fa altro che pensare e parlare e parlare e pensare anche mentre si picchia? Può essere, giovane ignorante, ma ora ti si spiega noi perché quando parli di Claremont devi sciacquarti quella boccaccia.
Per spiegartelo basta veramente poco: tre pagine, nemmeno tra le più memorabili, ma piene di Chris Claremont. Se vuoi capire il segreto del suo stile, il perché ha inventato un modo di scrivere i supereroi che è durato quarant’anni, allora mettiti seduto e leggi qui.
Prendiamo un numero dei meno famosi, ma appartenente a un periodo cruciale della serie Uncanny X Men, quelle in coppia con John Byrne, disegnatore e co-autore che permise a Claremont di spiccare letteralmente il volo.
La Marvel decise di festeggiare il primo anno di vita del sottoscritto, nell’Ottobre del 1978, con il numero 114 di Uncanny X-Men. Il giorno in cui gli X-Men morirono! recita il titolone, ma noi già sappiamo che non è vero niente.
La storia inizia in medias res, e ci spiega poco di quello che è accaduto prima. Claremont utilizza uno dei suoi strumenti preferiti, la didascalia, per sottolineare l’abnegazione di Hank McCoy. Lo scrittore ama parlarci dei suoi personaggi tramite didascalie dallo stile ricercato, ricche di artifici retorici.
Ma qualcosa di profondo dentro di lui lo ha costretto in piedi, costretto a sollevare la ragazza, costretto a iniziare a camminare lungo la desolazione antartica.
Altra caratteristica peculiare dello stile claremontiano è la chiosa, una frase breve e incisiva che ribadisce il concetto appena espresso.
Sarebbe stato così facile fermarsi. Ma non lo ha fatto.
La disposizione delle didascalie e della splendida Splash page di un Byrne in stato di grazia guidano lo sguardo in una drammatica spirale che parte dal testo, abbraccia l’immagine, e si conclude in un climax con il titolo della storia, che è assieme testo e immagine.
Hanno bisogno di una sola cosa per sopravvivere stanotte… un miracolo!
Nella pagina successiva, il miracolo avviene: passa un aereo, ma è impossibile attirare la sua attenzione. Così la Bestia tenta di svegliare Jean Grey.
Nelle tre vignette successive, vengono dette più cose di quante la vostra filosofia possa solo sognare.
Jean si sveglia, e la sua prima parola è Scott! Il suo volto però non esprime dolore, né qui né nelle vignette successive: il suo amato Ciclope è perduto sotto chilometri di terra, ma Fenice non reagisce se non con una furia che la acceca (sottolineate dagli occhi privi di pupille). Quello che segue è un concentrato di rabbia inarrestabile.
Saranno i tremendi colpi di potere di Jean ad attirare l’attenzione dell’aereo e a permettere ai due di salvarsi. Ed in questa piccola sequenza Claremont ha saputo nascondere e mostrare il processo di trasformazione del personaggio di Jean Grey, invasa dal traboccante potere della Fenice che esalta, amplifica e distorce i suoi sentimenti.
Da notare come Claremont utilizzi con abilità il dialogo per fornire al lettore un breve riassunto delle puntate precedenti (Gli X-Men sono intrappolati, Bestia! Sono seppelliti vivi nella base di Magneto. Dobbiamo tirarli fuori!) ed il pensiero per sottolineare un aspetto recondito della trama (Era fredda come il ghiaccio… e respirava a malapena. Da dove viene fuori tutto questo potere?)
In altre parole, emergono con pochissime pennellate quattro piani narrativi che si intersecano l’uno con l’altro:
1- Ad un livello base, la situazione in cui si trovano Bestia e Jean Grey, ed il modo in cui ne escono;
2- Ad un livello superiore, il contesto, con gli X-Men che sono stati separati in Antartide dopo uno scontro con Magneto;
3- Jean Grey, il suo vissuto (“Scott!”), le trasformazioni che sta affrontando per via del potere di Fenice;
4- Infine la Bestia, che era rimasta lontana dagli X-Men per un po’ e per questo si rende conto di quanto il cambiamento di Jean sia enorme.
Il livello 1 coinvolge il lettore neofita, a cui viene immediatamente mostrata la strada per il livello 2; il livello 3 fa capolino, spingendo il lettore attento ad approfondire; il livello 4 fa appello al lettore esperto, che sa già che la Bestia milita nei Vendicatori ed è solo ospite della serie.
Questo procedere con disinvoltura su tanti livelli di lettura è esattamente la cifra dello stile claremontiano. Possiamo vederne un esempio nella pagina successiva, quando ritroviamo l’altra parte del gruppo e scopriamo come se l’è cavata.
Claremont sa bene che queste tre vignette potrebbero essere la prima volta che un lettore incontra i suoi X-Men; in tutti gli scambi di battute quindi lavora su più piani, sia mettendo in scena un dialogo coerente sia, scegliendo tempi e parole, per suggerire peculiarità, personalità e passato di ogni singolo X-Man.
Abbiamo numerato i baloon per analizzarli singolarmente.
1- La presentazione si apre con le parole di Ciclope, che parla con un tono assertivo e diretto, indirizzando la squadra. «Bel pugno, Colosso. Qualcuno riesce a vedere qualcosa?» Subito Claremont ci fa capire che Ciclope è il capo del gruppo, senza il bisogno che qualcuno lo dica esplicitamente.
2- L’interazione tra Banshee e Tempesta. Sean Cassidy è un uomo di mezza età, il più maturo del gruppo (se si esclude Logan, di cui però ancora sappiamo molto poco). È inoltre un ex poliziotto: ha un atteggiamento protettivo verso gli altri, e tra tutti ha individuato Tempesta come la più bisognosa di aiuto. La sorregge, mentre vediamo la mutante sconvolta: «Tranquilla, Ororo, appoggiati a me: saremo presto fuori». Ma perché Tempesta è così sconvolta? «Oh Sean, ho pensato che il tunnel proseguisse per sempre, che saremmo rimasti sepolti…» Ororo qui sembra fragile e spaventata, ma il motivo è semplice: soffre di claustrofobia. È un tratto della sua personalità che è già emerso qua e là nelle storie passate, e deriva (scopriremo poi) dal fatto che rimase sepolta sotto il crollo di un palazzo da bambina.
3- Nightcrawler è l’anima del gruppo: flagellato da un aspetto mostruoso, per cui aveva rischiato il linciaggio, ha imparato a accettarsi e ha sviluppato un carattere positivo, ottimista, pronto al sorriso e a non scoraggiarsi mai. «Compagni, mi sembra che abbiamo raggiunto la superficie!» esclama, quasi a voler rincuorare Tempesta. «Ti serve una mano, Tempesta?»
4- Tempesta è all’aria aperta, e non ci mette molto a riprendersi. Claremont riprende il passaggio precedente ma lo porta dove voleva, al punto da mostrare la vera tempra di Ororo. Non è da lei fare la svenevole e mostrarsi fragile: se la claustrofobia è il suo tallone d’Achille, ciò non toglie che il suo spirito è indomito e non si spezza facilmente. Il suo è un moto d’orgoglio quando rifiuta l’aiuto di Kurt: è sempre stata abituata a contare su se stessa. «Grazie, Kurt, me la cavo da sola». Anche da ragazzina, quando emerse dalle macerie del palazzo dove erano morti i suoi genitori, se la cavò da sola, diventando un’abilissima ladra per le strade del Cairo.
5- Colosso è una sorta di statua d’acciaio, che con un pugno frantuma la roccia. Allo stesso tempo però è l’anima gentile e pura del gruppo, ed è lui a ricordare a Ororo che non c’è nulla da vergognarsi a lasciarsi aiutare dai tuoi cari. «Lascia che ti aiutiamo, Ororo. A cosa servono gli amici altrimenti?» La donna che in Africa era venerata come una dea inarrivabile, infine accetta la mano gentile di Peter. Gli X-Men stanno diventando una famiglia.
6- Il dialogo si chiude come si è aperto, su Ciclope, a voler rimarcare che è il membro più esperto. Infatti tutti gli altri si sorprendono della temperatura mite del luogo in cui si trovano, ed è proprio Scott a dare la spiegazione. Sono nella Terra Selvaggia, un luogo dove è già stato. Scott è il ponte con il passato degli X-Men.
Ecco qui, bamboccio: sei vignette che si possono leggere in mezzo minuto oppure in dieci minuti, se sei un lettore così abile da scalare tutti i livelli di lettura. Nei suoi X-Men Claremont ha sempre saputo inserire una grande densità sapendo però restare leggero, mainstream, e popolare. La sua gestione ventennale della serie ha costituisco un lungo e dettagliato affresco capace di costruire un mito coerente, in cui nulla, nemmeno una semplice sequenza d’apertura, è buttata lì a caso.
Caro bamboccio, se ti sembra poco, ricordati che quell’affresco di film che oggi ti manda tanto in solluchero è debitore di questa narrazione seriale e ramificata, il cui principale esponente è un tizio di nome Chris Claremont.