Cento anni fa: Nelson Mandela
Il 18 luglio è stato il centesimo compleanno di Nelson Mandela, e la Gribaudo gli ha dedicato un’opera biografica scritta da Lewis Helfand e disegnata da Sankha Banerjee che ci ricorda perché è per noi un simbolo di libertà e cosa dovrebbe significare davvero questo termine.
Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all’altro
Ringrazio qualunque dio ci sia
Per la mia anima invincibile.
Nella stretta morsa delle circostanze
Non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi avversi della sorte
Il mio capo sanguina ma non si china.
Oltre questo luogo di rabbia e lacrime
Incombe solo l’orrore della fine.
Eppure la minaccia degli anni
Mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta,
Quanto impietosa la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.
La poesia Invictus dell’inglese William Ernest Henley (pubblicata nel 1888) è diventata una sorta di simbolo per indicare la lunga lotta di Nelson Mandela per la libertà del popolo sudafricano: è questa la poesia che il prigioniero 466/64 recita davanti agli altri detenuti per darsi forza nei momenti di sconforto nei ventisette anni di detenzione che trascorre a Robben Island; Invictus è il titolo che Clint Eastwood dà al suo film del 2009 che ripercorre i fatti realmente accaduti in occasione della finale di Campionato di Rugby in Sudafrica; ed è la poesia citata nel sottotitolo della biografia a fumetti Nelson Mandela, l’anima invincibile, delle edizioni Gribaudo.
L’opera ripercorre tutta la vita del leader sudafricano, dalla nascita, cento anni fa, alle prime prese di coscienza della condizione sottomessa della popolazione di colore rispetto alla supremazia degli afrikaner bianchi, alla scelta di schierarsi per il bene dei suoi connazionali contro l’Apartheid, e alla conseguente incarcerazione. Scritta dal giornalista/scrittore Lewis Helfand e illustrata da Sankha Banerjee tutto il racconto è una sorta di marcia che, partendo dal 1985, da una visita della moglie a un Mandela già detenuto da ventuno anni, torna indietro in un lungo flashback e, tappa per tappa, ci mostra come e perché quest’uomo sia arrivato a rappresentare per il mondo un simbolo di libertà.
La narrazione è per lo più oggettiva, separata per date ed eventi, con poche intromissioni dello scrittore che arriva a porsi delle domande a cui il lettore saprà rispondere proseguendo nella storia illustrata: in questo modo Helfand ci rende partecipi dei dubbi che lo stesso protagonista vive, ad esempio, nel momento in cui decide di abbandonare la non violenza per dedicarsi ad azioni fisiche, mirate, dell’ANC (African National Congress) per poter riunire i rappresentanti di governo formato da bianchi insieme a rappresentanti del popolo originario, che durante l’Apartheid non possedeva nessun diritto, neanche quello di camminare per strada senza un apposito permesso.
La storia di Mandela racconta una fetta di Storia di pochi decenni or sono, che chi ha qualche anno sulle spalle ricorderà perfettamente come la prima volta in cui gli eventi di un popolo e di una nazione lontanissimi hanno coinvolto gran parte del mondo civilizzato in una lotta dal fronte unito: Libertà per Mandela, Fine dell’Apartheid. La prima volta in cui anche esponenti del mondo dello spettacolo e dell’entertainment hanno preso una posizione chiara e definita in nome della Libertà. La prima volta che gli effetti della globalizzazione sono stati positivi: immagini di attacchi di forze armate contro civili inermi e manifestanti che hanno indignato l’opinione pubblica, soprattutto europea e bianca, foto di scritte discriminatorie che dichiaravano panchine e negozi Whites Only che stupivano e sollevavano gli animi di chi ancora considerava un possibile concittadino di colore una esotica rarità.
Sappiamo però che è stata una storia con un lieto fine, a cui i lettori giungono anelanti di poter riconoscere quel viso bonario, dagli occhi stretti (rovinati duranti i lavori forzati in una cava) e i capelli bianchi, quanto quei denti aperti in un insopprimibile sorriso.
Mandela è un simbolo di libertà in un modo molto più ampio di quanto possiamo pensare, e quest’opera ce lo mostra dalle prime pagine, quando rinuncia alla scarcerazione che gli stanno offrendo, quindi alla sua libertà, perché quello che non gli offrono è la fine della segregazione, la possibilità per il popolo di colore di vivere al pari dei bianchi, il diritto per il suo partito di sedere al governo in un dialogo paritetico: non gli offrono la libertà per l’intero popolo sudafricano, nero o bianco che sia, di autogovernarsi, di arrivare alla democrazia; stanno offrendo solo a lui di terminare la prigionia, non hanno ancora capito che è ben altro quello per cui ha lottato e sofferto.
E cioè per quello che egli stesso ha dichiarato nel celebre discorso davanti al giudice che lo condannerà alla prigione a vita, riportato nel frontespizio dell’opera:
Nel corso della mia vita mi sono dedicato interamente alla lotta per il popolo africano. Ho lottato contro la dominazione bianca e contro quella nera. Il mio ideale più caro è quello di una società libera e democratica in cui tutti vivano in armonia e con le stesse opportunità. Spero di vivere abbastanza da riuscirci. Ma se sarà necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire.
Quello che commuove è che ha vissuto abbastanza.
Il racconto di questa lotta eccezionale è illustrato dall’indiano Banerjee con uno stile pittorico e molto realistico, con lunghe pennellate di nero e campiture di grigio in cui il bianco illumina zigomi e dona fisicità a figure rese con un effetto quasi impressionistico. Le tavole hanno un fascino originale, ma possono risultare un po’ appesantite dalla persistenza dei toni cupi.
Il fatto che, comunque, i disegni sono a servizio di una narrazione dagli sfondi drammatici, rende quasi necessaria una controparte grafica altrettanto densa e incisiva e le figure rese con macchie di nero e sfumature non stonano, ma arricchiscono l’opera. L’unico neo è che la tecnica gestuale va a sacrificare la riconoscibilità dei visi e lo standard qualitativo della resa dei particolari. Invece, i ritratti di stampo più apertamente illustrativo sono tecnicamente e visivamente di qualità altissima.
Un’opera dunque che racconta una storia che fa parte della Storia di tutti noi e di una figura umana e politica che bisognerebbe ricordare più spesso, non solo ogni cento anni, nel giorno in cui si commemora la sua, fortunatissima per noi, nascita (18 luglio 1918).