Black Science – Sci-Fi dagli anni ’50
Fumetto tra fantascienza vintage e con azione moderna, realizzato da un veterano dell’animazione americana e un nostro connazionale ormai diventato un fuoriclasse.
Parliamo del primo volume di Black Science pubblicato dalla Bao Publishing, che raccoglie i primi sei numeri della serie realizzata da Rick Remender e Matteo Scalera per la Image.
Subito siamo catapultati nel pieno dell’azione, in questo nuovo fumetto che racconta i viaggi spazio-temporali di un gruppo di esploratori che, con la classica teoria dei mondi alternativi e della scienza quantistica, si trovano in mezzo a guai davvero grossi, e nessuno ne uscirà indenne. Questi viaggi saranno una vera prova di carattere per tutti e i rapporti tra loro arriveranno a un punto di non ritorno.
Il genere non è dei più nuovi (da “Lost in Space” al vecchio telefilm “Cronos”), ma è un evergreen che può essere sempre adatto per ogni periodo. L’atmosfera da fantascienza anni ‘50 si contrappone al carattere dei personaggi, non proprio semplici, se non addirittura senza scrupoli, ove proprio in questi viaggi emergeranno i conflitti tra di loro, molto più degli scontri con mostri e umani che non hanno una locazione storica logica nel nostro mondo. Anche dove sono accolti con benevolenza, la sensazione di disagio, di qualcosa di brutto che sta per accadere, è sempre in agguato.
Senza spoilerare altro, passiamo ai disegni di Scalera: sono dinamici, anzi cinetici, decisi e senza sbavature, quasi sempre nervosi. Matteo è ormai padrone del mestiere e anche le splashpage hanno il loro effetto. I colori forti e caldi, realizzati da Dean White, sanno affogare il lettore nell’atmosfera malsana, quasi da Apocalisse, dei mondi alternativi. Le sequenze d’azione sono ben studiate e ben sceneggiate.
Tutto perfetto? Non proprio. Remender rivela una pecca di non poco peso: qualche personaggio appare un po’ troppo stereotipato, specie il cattivo Kadir, ma al di là di questo lo sceneggiatore vuole caratterizzare i personaggi non tanto con delle gestualità, o con risposte brevi ma efficaci, o con azioni, ma con dei monologhi interiori che spesso appaiono prolissi. Sappiamo che è più difficile caratterizzare un personaggio con pochi ed essenziali elementi (che evocano invece di dichiarare) piuttosto che con l’utilizzo di flussi di pensiero. Ovviamente non sempre è così (la pagina che mostra l’indecisione di Grant a lasciare la moglie per Rebecca è esemplare e funziona benissimo), ma leggere quelle cosiddette “seghe mentali”, così spesso presenti, smorza la narrazione, e diciamo che sono davvero pochi gli sceneggiatori di fumetto che possono permettersi questo lusso. E non è detto che quei pochi ci azzecchino sempre…