Black Panther: Wakanda Forever – Recensione
Black Panther: Wakanda Forever è il sequel di Black Panther: la scomparsa dell’attore Chadwick Boseman segna questo film basato sul tema dell’elaborazione del lutto.
Quattro anni (e una fase) dopo il primo capitolo, torna Black Panther con il secondo film monografico dedicato al supereroe Marvel originario del Wakanda. Pantera Nera, introdotto nel MCU nel 2016 durante gli eventi di Captain America: Civil War, era interpretato da Chadwick Boseman, ma l’attore è scomparso prematuramente nel 2020: Wakanda Forever ha il difficile compito di ricucire lo strappo doloroso creato dalla morte di T’Challa, e di portare avanti l’eredità di uno dei personaggi più significativi del mondo Marvel.
È proprio dal lutto del leader del Wakanda che inizia tutto: Shuri (Letitia Wright), la Regina Ramonda (Angela Bassett) e Okoye (Danai Gurira) dopo aver preso parte alla commovente e allegorica cerimonia di addio di T’Challa, devono subito far fronte a una nuova minaccia. Un essere fuoriuscito dalle acque di un fiume wakandiano (quindi eludendo tutti i sistemi di sicurezza), accusa la Regina e la figlia di aver spifferato al mondo i segreti del vibranio. Il vibranio, lo ricordiamo, è un metallo indistruttibile del mondo Marvel (è la sostanza usata per lo scudo di Captain America), arrivato sulla Terra da un meteorite schiantatosi proprio nella culla del Wakanda, che ne ha sfruttato le proprietà per evolversi ai livelli avveniristici che conosciamo. L’essere altri non è che Namor (Tenoch Huerta), storico antieroe Marvel e re della civiltà sottomarina di Talokan, che sostiene che anche il suo popolo, come i wakandiani, custodisce delle riserve di vibranio, e che il “mondo esterno” si stia pericolosamente avvicinando a loro per recuperarlo. Namor è la scintilla di una tensione tra i due regni, e fra i vari attori in gioco nel conflitto, sembra che l’unica in grado di evitare una guerra su scala mondiale sia la principessa Shuri.
Il primo Black Panther aveva incantato pubblico e critica per il suo essere genuinamente slegato dalle solite dinamiche del cinecomic, mettendo sul piatto temi più significativi come la discriminazione e la supremazia della razza. In Black Panther: Wakanda Forever fortunatamente l’approccio è replicato, e accanto ad attese sequenze di battaglia, c’è tempo anche per profonde riflessioni sul lutto, sulla schiavitù e la rivendicazione, sulle dinamiche politiche e la diplomazia. Lo stesso Namor, che nella versione originale a fumetti appartiene ad Atlantide, nel film cambia le sue origini per dar benzina a questi temi: discendente stavolta dalle civiltà Maya, nel corso della sua lunga vita ha raccolto un profondo risentimento per tutta l’umanità al di fuori del suo popolo, a partire da quando i conquistadores spagnoli depredarono le sue terre. Tutto concorre a raccontare storie di conflitto ed equilibrio, dove i superpoteri sono ridimensionati al ribasso e conta molto di più il confronto ideologico e personale.

Il film di Ryan Coogler non è ovvio e non lascia indifferenti, non è forzato nel rappresentare la diversità, dà allo spettatore carne su cui rimuginare e interrogarsi, e contemporaneamente accontenta anche chi desidera una storia più eroica. Sublime è l’approccio scelto per omaggiare Chadwick Boseman: dai titoli di testa fino alla scelta (piccolo spoiler) di non farlo comparire con nessuna tecnica visiva speciale, se non con il materiale già girato. Anche se assente, T’Challa è con noi per tutto il film, che da un altro punto di vista potrebbe essere letto come la lunga elaborazione del lutto di Shuri, in tutte le sue fasi: dalla negazione della perdita, alla rabbia di non essere stata in grado di salvarlo, dal tentativo di dialogare con Namor, passando a uno dei momenti più bui della sua vita, fino ad arrivare all’accettazione finale in cui abbraccia la sua eredità ed è in grado di elaborare la scomparsa del fratello.
Wakanda Forever, così come il suo predecessore, vive di vita propria anche al di fuori del MCU – pur avendo al suo interno diversi rimandi, comunque non essenziali – e ha come obiettivo principale quello di celebrare la ricchezza della nostra umanità: unica, contraddittoria, sfaccettata e bellissima. È un film che si lascerà rivedere (e ascoltare, vista la splendida colonna sonora) volentieri, che pur nelle sue abbondanti due ore e mezza non riesce ad annoiare, ma anzi ci vuole emozionare fino all’ultimissima scena. Wakanda per sempre!