Battaglia: Ragazzi di morte – Una recensione che sa
Io so perché sono un intellettuale, che legge fumetti e libri e giornali da 34 anni senza sosta, in ogni momento della giornata. Io conosco il fumetto italiano degli ultimi tre decenni, conosco la storia italiana perché la insegno e perché la amo.
Conosco l’opera e la vita di Pier Paolo Pasolini perché ho letto di lui e su di lui, ho visto i suoi film e i film su di lui.
Io so perché ho scoperto la serie di Pietro Battaglia da quando l’Editoriale Cosmo ci ha messo le mani sopra, ne ha ristampato il già edito e ne ha prodotto e continua a produrne albi nuovi, che trasudano energia, coraggio, amore. L’energia di chi affonda le mani nel corpo della storia, smonta e rimonta i miti trasformando la Storia in fiction, così da ricavarne un senso compiuto. Il coraggio di chi affronta i propri temi con la purezza dell’animo privo di pregiudizi, senza sovrastrutture: un tipo di animo che a Pasolini sarebbe piaciuto.
Io so.
Io so che trattare di Pasolini è come maneggiare una bomba innescata (così come era avvenuto per Padre Pio), come un’operazione chirurgica sulla spina dorsale dell’Italia, quando un millimetro più in là rischia di uccidere il paziente. Io so che ci vuole la sfrontatezza di un ragazzo di vita per rendere quella figura, tragica ed eroica, un personaggio della vicenda di un vampiro italiano, senza sminuirne la vicenda, senza renderlo una macchietta.
Io so che mostrarlo così, come ha fatto il team di Battaglia, soggetto Roberto Recchioni, ideazione grafica di Leomacs, sceneggiatura Luca Vanzella e disegni di Valerio Befani e Pierluigi Minotti; mostrarlo con il crudo realismo di cui costoro sono stati capaci, la sua attività artistica, il rapporto con la madre, con gli amici, la sua sessualità, la sua terribile, terribile morte senza colpevoli; io che fare tutto questo e farlo così, sembrava un’impresa impossibile.
Io so chi ha ucciso Pasolini e lo sanno anche gli autori di questo fumetto. Lo so perché ho letto i suoi scritti e ho capito che non serve dare un nome ai mandanti, anzi, che farlo sminuirebbe la portata universale della sua morte. Lo so perché Pasolini è stato schiacciato e triturato da quel meccanismo sociale di depravazione di tutto ciò che è bello che ha odiato e combattuto per tutta la vita, tramite le uniche armi che possedeva, la parola e l’immagine. Io so che quelle figure mascherate che ne decretano l’omicidio non hanno bisogno di nomi e cognomi perché non sono persone, ma ingranaggi di un mondo che noi permettiamo, e che quindi in qualche modo vogliamo.
Io so che lo scioglimento finale è un triste omaggio alla storia di quest’uomo; un modo di rendergli giustizia almeno sulle pagine di un fumetto. Io so che se oggi questo albo e questa storia possono uscire nelle edicole di tutta Italia e raccontare l’enormità di quello che racconta, è anche perché a qualcosa, Pasolini, è servito.
Io so, perché scrivo su un bel sito di critica fumettistica, che se soltanto un lettore distratto leggerà questo noioso articolo, e si incuriosirà di questo bellissimo albo, e poi cercherà di conoscere l’opera e la vicenda di Pier Paolo Pasolini, e ne comprenderà anche solo un decimo di quanto dice; io so che se tutto questo accadesse, l’Italia sarebbe, per un sessantamilionesimo, un luogo migliore.