Retromania80 / Il fumetto USA anni ’80: dall’arte pop alla pop art e ritorno

DF collabora con Retromania80 per raccontare un preciso aspetto degli anni ’80: il ritorno del fumetto al suo status di arte pop dopo essere passato per la pop art.

In occasione del festival Retromania80 del prossimo 19 agosto 2017 a Grottammare (AP), Dimensione Fumetto allestirà una mostra dedicata alle tavole dei fumetti Marvel Comics anni ’80 corredate da una serie di approfondimenti speciali sul fumetto statunitense post-pop art, un periodo caratterizzato da una forte politica di rinnovamento del linguaggio grafico e narrativo.

In questo primo articolo: una breve introduzione all’ibridazione tra fumetto e belle arti avvenuta negli USA del secondo dopoguerra. Il fumetto è sempre stato arte pop, poi è diventato pop art, e infine è tornato a essere arte pop: in fondo, come dicono negli USA, what goes around comes around.


Chiunque sia mai entrato in un museo o abbia aperto un libro d’arte si sarà accorto che la storia dell’arte, dopo secoli di evoluzione più o meno omogenea, ha subito all’inizio del Novecento una radicale trasformazione. Questo fenomeno è stato massimamente causato dall’allargamento delle prospettive culturali degli artisti occidentali, che a fine Ottocento hanno conosciuto le espressioni creative extra-europee grazie alle esposizioni universali, e favorito da artisti spesso riuniti in gruppi detti “avanguardie” che, con spirito rivoluzionario anche in campo sociale, hanno effettivamente introdotto nel dibattito artistico elementi di fortissima rottura rispetto al passato. Ora, la differenza principale fra tutta l’arte di tutti i tempi e di tutti i luoghi e quella del XX secolo è che quest’ultima interrompe volontariamente un discorso unitario che veniva portato avanti da millenni. Nel caso dell’arte europea, ad esempio, dalle veneri neolitiche in poi nessuno si è mai azzardato a uscire dal recinto; anche Courbet e gli impressionisti avevano sì uno sguardo molto diverso, ma alla fin fine dipingevano pur sempre persone e fiori.

Poi è arrivato il XX secolo: Picasso ha rotto con l’Occidente e nelle sue opere ha rappresentato l’iconografia africana, Kandinskij la musica, i futuristi la tecnologia, i surrealisti il sogno, i suprematisti il nulla. L’arte è ricominciata da zero. Gli artisti statunitensi arriveranno a questo processo di reset decenni dopo gli europei, ma con forza dirompente: la forza della pop art.

Confronto fra Partenone, Konzerthaus e Casa del Fascio.
Sopra: V secolo a.C., il Partenone di Atene di Ictino & Callicrate. In mezzo: oltre 2300 anni dopo, XIX secolo, la Konzerthaus di Berlino di Schinkel evidenzia la conservazione del gusto. Sotto: appena 100 anni dopo, la Casa del Fascio di Como di Terragni testimonia il radicale cambio di linguaggio architettonico e artistico in generale avvenuto nel XX secolo.

Gli artisti che diedero corpo alla pop art intuirono, in maniera solo apparentemente banale, che per il pubblico del XX secolo un manifesto in strada era molto più comprensibile di un affresco in chiesa, e quindi hanno fatto quel che si è sempre fatto però attingendo da fonti diverse: non più rielaborare le immagini della millenaria tradizione greco-romana, ma bensì rielaborare le icone della contemporaneità. Warhol con persone & cose celebri, Oldenburg con gli oggetti quotidiani, Jones con le bandiere, Rosenquist con le immagini pubblicitarie: gli artisti della pop art hanno ognuno i propri feticci iconografici platealmente rubati dalla realtà e rielaborati in maniera sorprendente, che perdono il loro valore iniziale per prenderne un altro nuovo e antitetico.

Confronto fra James Rosenquist e Mimmo Rotella.
A sinistra Joan Crawford says di James Rosenquist, a destra uno “strappo” di Mimmo Rotella con Marilyn Monroe. La decontestualizzazione semantica della fama è uno dei temi della pop art.

Fra tutti gli artisti pop art, Roy Lichtenstein si è distinto per aver scelto come feticcio i fumetti. La sua opera è estremamente riconoscibile ed efficace perché recupera l’estetica dei comics statunitensi, soprattutto quelli di serie B come romanzetti rosa e fumetti pulp, per dargli un significato totalmente alieno. Nelle sue opere la sequenzialità narrativa dei fumetti viene annullata estrapolando una singola vignetta fuori contesto, ingrandendola a dismisura e dipingendo con certosina precisione da amanuense quei retini grafici che nella stampa sono l’effetto della quadricromia serigrafica. Non sono più quei fumetti, ma sono altro.

Confronto fra Tony Abruzzo e Roy Lichtenstein.
A sinistra: una tavola di Run for Love! di Tony Abruzzo del 1962. A destra: il dipinto Ragazza che annega di Roy Lichtenstein del 1963. Lichtenstein rubò sfacciatamente da molti autori, fra cui John Romita senior e soprattutto Tony Abruzzo, un fumettista specializzato in melodrammi per casalinghe.

L’esperienza della pop art negli USA intorno agli anni ’60 ebbe un tale impatto da generare un’onda di ritorno verso quei fenomeni che l’avevano provocata. Così, anche l’arte popolare dei fumetti, legittimata dal venire esposta nelle gallerie newyorkesi, si scoprì portatrice di valori artistici alti: se già questo era visibile negli anni ’70 con il lavoro di esagerazione grafica ultrapop di Jim Steranko su Nick Fury, lo sarà ancora di più negli anni ’80 dove la crisi di vendite delle case editrici le costrinse a sperimentare nuovi generi, linguaggi e target. È in questo periodo che il fumetto si riappropria della sua dimensione originaria: quella di essere arte pop.


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