40 anni di carriera di Cristina D’Avena – Cara Cristina ti scrivo…

Il 12 aprile 1982 sulla rete televisiva Canale 5 andava in onda la prima puntata della serie animata nippo-tedesca Pinocchio. La sigla Bambino Pinocchio, scritta dal paroliere Luciano Beretta e dal musicista Augusto Martelli, era cantata da una ragazza diciassettenne bolognese che veniva dal Piccolo Coro dell’Antoniano e aveva anche partecipato due volte allo Zecchino d’Oro: Cristina D’Avena. Quell’anno segnò l’inizio di una carriera come cantante di sigle TV senza precedenti e senza confronti non solo in Italia, ma in tutto il mondo.

Oggi 12 aprile 2022, Dimensione Fumetto celebra i 40 anni di carriera di Cristina D’Avena, una delle massime icone nella storia della cultura pop italiana.

In questo terzo e ultimo articolo: una raccolta di lettere d’amore alla nostra cantante del cuore.


Immagine da "Cortili del cuore" di Ai Yazawa.

Cara Cristina,

tu non ti ricordi di me, probabilmente. Sono passati almeno tre decenni dal nostro primo incontro: vivevo in un’altra casa, mio padre era ancora vivo, non dovevo pagare le bollette. Ma ne saranno successe tante anche a te, immagino, in questi anni.

Io comunque se chiudo gli occhi penso a te ancora tantissimo, eh! A volte mentre vado a lavoro, nelle cuffiette mi sussurri che la vita intensa di ogni giorno ci trascina qua e là, così alla fine trascuriamo i cortili del nostro cuore, e non posso che darti ragione! Oppure in auto mi metto a urlare che l’avventura non finisce mai, se ci segui ti divertirai, dai partiamo tutti insieme mentre raggiungo le spiagge di Sperlonga. Credimi, avrei tanto voluto seguirvi, a te e Giorgio tra le lande di Johto e del Kanto. Avrei preso parte a tutti i tuoi viaggi stupendi, tra i petali del tempo, o ai confini del Sole, a una fiera universale, ti avrei seguita dappertutto! Anche quando nella nostra classe avevamo un gruppo di ragazzi che mi prendevano in giro perché ascoltavo solo le tue canzoni, c’eri tu che mi strapazzavi di coccole, ti ricordi? No, come potresti. Non puoi ricordare, perché mi eri vicina, eri vicina a tutti noi ragazzini, senza esserlo fisicamente. Ma noi ti sentivamo. Eccome se ti sentivamo, tra Bim Bum Bam e Ciao Ciao.

Ma come dicevo, ancora oggi guardo fuori e penso a te, perché dei giorni tu sei la mia ancora di spensieratezza: mi ricordi che si può essere adulti abbracciando l’amore per le cose piccole e divertenti, uno spicchio di cielo tra baffi di fumo. Per me le tue canzoni non sono un ricordo del passato, saranno sempre un presente. Non le dimenticherò mai e, anche se sono uno tra tanti, so che questo lo ricorderai per sempre anche tu.

Ciao cara Cri Cri,

Matteo Cinti


Immagine da "C'era una volta… Pollon" di Takao Yotsuji.

Cara Cristina,

devo dire che il mio approccio con te non è stato molto positivo. Le tue sigle di Georgie e dei Puffi volevano dire liti infinite con mia sorella che voleva vedere quei cartoni, mentre io ne preferivo altri, e forse questo approccio ha un po’ condizionato anche il mio atteggiamento… certo, anche i telefilm di Licia in fondo erano meglio del telegiornale, ma vuoi mettere con i robottoni?

Ammetto che piano piano però la situazione è cambiata, soprattutto quando abbiamo cominciato ad approcciare le sigle cantate da te con i Fujiko Mon Amour (lacrimuccia), il gruppo di cartoon cover band che per qualche anno ha calcato i palchi del Piceno e in cui suonavo la chitarra. La versione vagamente ska di Georgie, il collegamento fra I ragazzi della Senna e gli Eelst, il tiro rock di Jem, L’incantevole Creamy con l’intro di The Final Countdown… ma anche Nanà Supergirl e gli ABBA, o quel gioiello pop di Lucy… fino a Pollon, Pollon combinaguai con la quale abbiamo contribuito a un progetto per dare una mano ai bambini dell’Ospedale pediatrico Meyer, e che ci ha permesso di avere, da quegli stessi bambini, una lettera davvero commovente di ringraziamento. E le nostre Silvia e Terry, le cantanti, che per te avevano una vera passione, e alla fine ne hanno passata un po’ anche a noi rockettari e robottoniani: adolescenti degli anni ’80, quando lo scontro era appunto fra i cartoni di Fininvest, con le tue sigle, e quelli delle altre reti private o della Rai, con i vari Superobots, Mal e i Cavalieri del Re.

Ma senza di te non sarebbe stata la stessa cosa.

Grazie di tutto, e ad maiora!

Andrea Cittadini Bellini


Immagine promozionale per "Jem and The Holograms" prodotta da Hasbro.

Cara Cristina,

ti scrivo per raccontarti due cose di me e di te.

Credo, come tutti i nati all’inizio degli anni ’80, che la mia vita sia indissolubilmente legata alla TV commerciale che ai tempi, te lo ricorderai bene, si chiamava Fininvest, ma a volte per me era anche Italia 7 oppure Odeon. Il palinsesto dei tempi era disseminato furbescamente di prodotti per intrattenere i più piccoli (e vendere loro giocattoli), li chiamavamo “cartoni animati” prima che qualcuno ci dicesse che era più corretto definirli “anime”. Ne facevo grandi scorpacciate, solitamente accompagnandoli a vere e proprie abbuffate perché erano messi in onda principalmente in tre momenti fondamentali della giornata: a colazione, a merenda e all’ora di cena (sì, in famiglia si cenava presto e ti confesso che non ho perso l’abitudine).

Ora, questi cartoni animati, almeno quelli che passavano sulle reti Fininvest, avevano tutti delle belle sigle che ne annunciavano l’inizio, e queste sigle erano cantate per la quasi totalità da te.

All’inizio non sapevo chi fossi: “Cristina D’Avena”, per me era solo un nome un po’ buffo, una voce sufficientemente melodiosa e argentina da catturarmi e sostanzialmente amichevole per rassicurarmi. A cinque anni ho scoperto che quella voce apparteneva a una ragazza con la frangetta e un carré castano perfettamente ordinato, insomma a una ragazza con la parrucca, quella di Licia, della serie Love Me Licia di cui eri protagonista.

Sei diventata dunque per me un faro: non ricordo che al tempo avessi sviluppato una qualsiasi passione per una qualsivoglia altra cantante, l’adolescenza e i suoi fanatismi erano ancora lontani, e come Cristina/Licia sei quindi assurta a mio primo idolo.

Come tutti gli idoli eri ossequiosamente venerata in tutte le tue forme. In formato video, non perdendomi neanche un episodio dei telefilm di Licia, poi Arriva Cristina, poi L’Europa siamo noi. In formato audio, ascoltando le tue sigle e costringendo i miei a pescare dal cestone dell’autogrill le tue compilation in musicassetta, si chiamavano per lo più Fivelandia, ho anche un vinile di Fivelandia 9 che custodisco gelosamente. Infine, in forma fisica: fui uno dei fortunati ad assistere a un tuo concerto durante un carnevale dei bambini in una balera di provincia di cui non ricordo il nome.

Ricordo però perfettamente che con i miei amici del tempo (un tempo durato svariati anni) si organizzava una sorta di SarabanD’Avena, cioè si gareggiava a cantare le tue sigle, chi ne conosceva di più, chi si ricordava tutte le parole, anche quelle della parte della canzone che non andava in onda.

Le mie preferite? Il mistero della pietra azzurra, Nanà Supergirl, Una spada per Lady Oscar, Mila e Shiro due cuori nella pallavolo, Occhi di gatto, È quasi magia, Johnny!, Pollon, Pollon combinaguai, Lovely Sara, Magica, magica Emi, Memole dolce Memole, Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo, Jem, David Gnomo amico mio, L’incantevole Creamy, Kiss Me Licia, I ragazzi della Senna, Hilary, Siamo quelli di Beverly Hills… Sì, sono tante, ma sono le sigle dei miei cartoni preferiti e quindi per estensione sono le mie sigle preferite, gusti forse un tempo liquidabili come “da femmina” e che oggi più correttamente definiremmo fluidi.

Mi rendo conto che scegliere una mia sigla preferita fra le tue è impresa impossibile, per cui mi soffermerò su tre di loro che nel tempo si sono sedimentate così bene dentro di me da aver influenzato, forse, i miei futuri gusti.

La prima è Jem, che per me vuol dire anni ’80, il glam rock o meglio il glam pop, che mi perseguita fino a oggi. Chiedimi di metterti una canzone per farti ballare e io ti risponderò Visage, Ultravox, Duran Duran. Sintetizzatori e ritornello cheesy con annesso coretto ooooooohohoh fanno di Jem una delle canzoni più orecchiabili che tu abbia mai cantato. Infinite le volte che ho disegnato Jem su di un foglio divertendomi a cambiarle outfit e consumando la mia intera collezione di pastelli fluo.

La seconda è Kiss Me Licia, sarà perché il nome del ragazzino era Andrea, e ascoltare una canzone che citava il mio nome mi faceva sentire importante, o sarà per la sdolcinata melodia, fatto sta che quando la ascolto non posso non pensare a folate di cuoricini che volano nell’aria. Poi Marrabbio e le sue ricette cucinate alla piastra ingolosivano il mio me paffuto che si apprestava a fare merenda con latte e Kinder Brioss.

La terza è Il mistero della pietra azzurra, uno dei cartoni animati che al tempo più riassumevano i miei gusti di ragazzino sensibile e amante di Jules Verne. Le percussioni semi-tribali iniziali mixate ai fiati (flauti?) quasi peruviani donano alla sigla un incipit fra i più riusciti della tua carriera. Il tuo spoken word iniziale fatto di note basse che esplode nel ritornello dove la voce si alza e si riempie… tutto questo mi dà ancora oggi i brividi. Quante volte ho sognato il Nautilus e le sue avventure in giro per il mondo, gli inseguimenti, le cospirazioni, i poteri occulti, la magia di un solo oggetto che può cambiare le sorti di un intero universo.

Insomma Cri, spero di poterti chiamare così, grazie. Credo tu mi abbia insegnato a sognare, a librarmi nell’aria e a perdermi tra le nuvole con la testa e con il cuore, cosa che non ho mai smesso di fare, con buona pace della terra e dei piedi che insistono a volercisi piantare.

Tuo,

Andrea Cozzoni


Immagine da "Cantiamo insieme" di Kōzō Kusuba.

Cara Cristina,

come stai? È un po’ imbarazzante scrivere una lettera a un proprio mito, non so bene come iniziare… Beh, intanto con le buone maniere: congratulazioni per i tuoi 40 anni di carriera! È un anniversario eccezionale, quanti cantanti possono dire di aver attraversato quattro decenni con la stessa intensità, senza mai un periodo di stanca, di insuccesso o di sfavore del pubblico? Sempre sulla cresta dell’onda, sempre protagonista, sempre amata. Immagino che per te tenere questo ritmo sia un piacere, ma anche una fatica.

Una mia amica diceva sempre che se tu non avessi intrapreso la carriera di cantante di sigle TV, ma quella di cantante “normale”, di musica pop, saresti diventata una delle più grandi star della musica italiana e mondiale, di quelle che riempiono gli stadi e le arene anche negli altri continenti. Credo sia vero, e certamente le potenzialità ce le avevi tutte, ma se devo essere sincero preferisco di gran lunga come è andata: magari abbiamo perso una superstar internazionale, ma abbiamo guadagnato una voce gentile che ha accompagnato dall’infanzia all’adolescenza e infine all’età adulta almeno tre generazioni, che non ha mai tradito il suo pubblico, che è amata da milioni di persone come un’amica, come una sorella, come una madre.

Mi chedo cosa ti renda così speciale. Certamente il talento, ovvio, eppure non può essere solo quello perché di cantanti brave ce ne sono a bizzeffe, eppure molte non riescono ad andare oltre a una hit estiva, figuriamoci resistere per quattro decenni. La voce riconoscibilissima, anche, ogni tanto imperlata da quei mini-singhiozzi che sprizzano gioia e sono la tua cifra stilistica inimitabile. Poi ci sono le bellissime canzoni che ti hanno scritto musicisti eccezionali come il geniale Ninni Carucci, o i Martelli padre e figlio o Piero Cassano dei Matia Bazar (e cito loro perché sono i miei preferiti, ma ce ne sarebbero tanti altri) con le parole di Alessandra Valeri Manera, che aveva quel suo stile edificante così familiare e riconoscibile che si poteva finire di cantare un verso già al primo ascolto della canzone perché si intuiva come sarebbe proseguito.

Eppure anche tutto questo non basta per fare di te una star: c’è qualcosa di più, e credo sia il sorriso con cui hai attraversato questi 40 anni. Ci sei stata sempre. I miei genitori non mi facevano vedere i cartoni animati da bambino, ma dai primi anni ’90 ho potuto scegliere da solo cosa guardare e tu c’eri. C’eri quando ho visto Gemelli nel segno del destino, la mia prima serie su Bim Bum Bam. C’eri lunedì 9 settembre 1996 quando guardavo il programma Game Boat con Pietro Ubaldi e lanciaste il primo episodio di Sailor Moon e il mistero dei sogni, e c’eri anche il giorno dopo quando lo rimetteste di nuovo in onda a grande richiesta perché in tanti se l’erano perso. C’eri quando mia sorella piccola iniziò a vedere Magica Doremì e andavamo insieme ai tuoi concerti.

Certo, magari non saranno i grandi eventi che definiscono la vita di una persona, ma sono quei piccoli avvenimenti quotidiani che alla fine ci restano nel cuore e almeno un pochino definiscono il nostro carattere e i nostri gusti. Sarà pure un discorso girellaro, ma beh, è la verità. Come delle vecchie foto, come un incontro inaspettato, come la sonata di Vinteuil, le tue canzoni risvegliano la nostra memoria involontaria molto più rispetto a tanti altri fatti del nostro passato, e sai perché? Perche ti volevamo bene, e ti vogliamo ancora bene.

Grazie di tutto,

Mario Pasqualini


 

Immagine da "Piccole donne" di Kazuya Miyazaki.

Cara Cristina,

scusa se ti chiamo per nome, ma sei una presenza costante nei miei 43 anni di vita, e mi rimane difficile rimanere distaccato se parlo di te.

Ti scrivo per ringraziarti. Mi accompagni fin dai primi ricordi di cui ho memoria e continui a sostenermi tuttora (senza mai averlo saputo).

Avevo forse tre anni quando, ancora troppo piccolo per andare all’asilo, i miei genitori mi lasciavano a casa dei miei nonni, loro abitavano in campagna e i miei ricordi sono di un giorno di sole, io seduto a un tavolo rotondo di legno scuro intento a consumare la mia merenda (rigorosamente pane, olio e zucchero) e in TV passava una serie che solo in seguito avrei scoperto essere Piccole donne con la sigla Tutti abbiamo un cuore, una canzone pervasa di dolcezza e umanità e tanta sana ingenuità.

Passano gli anni, non tanti, forse due o tre, e il ricordo credo sia dell’asilo, di una cena in famiglia a casa dei miei, io, mia madre e mio padre; mobili modesti, un grande televisore a tubo catodico in bianco e nero, babbo vuole cambiare canale, io non voglio, insisto, la sigla è quella di John e Solfamì: ero troppo piccolo per comprendere il concetto di spin-off, ma a me bastava vederli all’opera con i Puffi per essere felice.

Gli anni passano, sono i magici ’90 e io sono dai miei zii con mio cugino (da piccoli eravamo molto uniti e stavamo sempre assieme, bei tempi, e pensare che ora siamo come sconosciuti), non avevamo grandi pretese ci bastava giocare con i “pupazzi” di He-Man e guardare la TV, e ricordo questo nuovo cartone, un inizio tragico, un incidente stradale, un’auto investe una famiglia di paperi antropomorfi che trasportano un grande zoccolo di legno, un piccolo paperotto è l’unico sopravvissuto e lui è il protagonista di Niente paura, c’è Alfred!, che mi insegnerà la tenacia e la forza d’animo per andare avanti nonostante le avversità della vita.

Potrei andare avanti per ore con gli aneddoti legati alle tue sigle, Cristina, ma non siamo qui per me: siamo qui a celebrare la grandezza di una donna che con la sua voce ha segnato e segna la mia vita rappresentandone un punto fermo e costante.

Quasi ogni sigla ha un ricordo a essa collegato: Bum Bum, Arrivano gli Snorky, Il grande sogno di Maya, Il mago di Oz, Piccola bianca Sibert, Maple Town: un nido di simpatia, Fiocchi di cotone per Jeanie, Una classe di monelli per Jo, Sailor Moon e il cristallo del cuore, Un oceano di avventure, Pesca la tua carta Sakura… e la lista potrebbe solo essere molto più lunga, una lista che mi fa solo dirti grazie Cristina, per esserci stata, per esserci ancora e per aver accompagnato momenti speciali della mia vita, e grazie per continuare a svolgere con amore e dedizione il tuo mestiere.

Grazie Cristina, grazie! <3

Maurizio Vannicola


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