Wednesday Warriors #62 – Decorum, Hickman e la Fantascienza

Questa settimana su Wednesday Warriors:

Bam’s Version:

DECORUM #1 di Jonathan Hickman e Mike Huddleston

Decorum debutta in Image Comics sulla scia di un anno da assoluto protagonista per il proprio scrittore, reduce dal trionfo di pubblico e critica per il suo lavoro di recupero e rinascita dell’universo mutante Marvel. Con i suoi X-Men, Hickman ha ridefinito le aspettative e l’approccio dei lettori ad un microcosmo narrativo con quasi sessant’anni di storie alle spalle. Per riuscirci l’autore ha fatto ricorso all’esperienza maturata all’interno della Casa delle Idee ma anche (e soprattutto) alle storie create al di fuori di essa: la politica e i suoi occulti, arcani angoli di Black Monday Murders, la spietata corsa alle armi e al prossimo passo tecnologico di The Manhattan Projects, la scala degli eventi, la incredibilmente vasta portata della trama e l’atmosfera surreale, distopica, ucronica ma concreta e affascinante di East Of West. In questo senso, dunque, gli X-Men di Hickman sono l’applicazione della sua selvaggia ma strutturata, metodica e attenta inventiva ad un universo narrativo più rigido e ristretto, all’interno del quale migliaia di creatori hanno lasciato il proprio segno e centinaia di autori ed artisti lavorano allo stesso momento. La libertà concessa dalla Marvel permette però all’autore di continuare la sua carriera sui lidi indipendenti del fumetto statunitense – la libertà, appunto, di poter creare senza alcun vincolo o restrizione.

Contenere la quantità di informazioni e di puro e semplice worldbuilding contenuto all’interno del #1 di Decorum renderebbe questa recensione semplicemente illeggibile. In un primo strato di macro-trama, Jonathan Hickman illustra al lettore un Sistema Solare radicalmente diverso da quello che conosciamo: al suo interno, mondi contenuti in pianeti ipercontrollati, bolle terraformate e autoriparanti che hanno dato vita a nuove civilizzazioni nel migliore dei casi, evolute al punto tale da essere accettate e riconosciute all’interno del Sistema stesso. A contrastare lo sviluppo e preservamento della biodiversità, della vita in ogni sua forma, Hickman pone lo spettro di un freddo, inarrestabile organo tecnologico resta all’orizzonte, una massa oscura, meccanica e pulsante: la Singolarità, figure umanoidi scomposte, rigide, astratte eppure rese solide, antropomorfizzate freddamente in figure cristalline spietate e nere come la notte. Superato questo primo blocco di trama, Hickman si addentra nello specifico, raccontando di uno dei tanti mondi del Sistema Solare – un mondo di fuorilegge, corrieri e assassini, Gilde e complotti che non sembrano essere contenuti ad un semplice corpo celeste; sullo sfondo di gangster e killer prezzolati, una giovane ragazza cerca di sopravvivere e cambiare il corso della sua vita una consegna alla volta.

C’è tanto da digerire nelle sole prime 50 pagine di Decorum: è innegabile come una premessa del genere potrebbe incorrere nel rischio di risultare estremamente pesante ed eccessivamente densa, complicata da presentare in maniera omogenea e coerente, comprensibile anche per il lettore più distratto. Hickman centellina le sue informazioni, che restano dense ma seguono un ritmo preciso che non ostacola o appesantisce la lettura. Tra una tavola e l’altra, una pagina di informazioni presentate attraverso paragrafi di testo e presentazioni di gerarchie spaziali, background e contesto si trasformano in mappe e pagine di analisi e dati, con tanto di legende, simboli e numeri creati appositamente per il mondo di Decorum.

Ma soprattutto, le parole diventano immagini e le parole complesse vengono tradotte nei disegni di Mike Huddleston, che interpreta magistralmente l’originalità e il potenziale di Decorum con un tratto multiforme, cangiante ed imprevedibile. Huddleston è una figura particolarissima del comicdom statunitense, che proprio con questo #1 torna sulla scena in maniera prepotente. L’artista tiene fede al proprio credo artistico: il tratto originale, la matita e la china protagoniste ed i colori a fare da contorno, a sottolineare ed evidenziare la potenza dell’idea originale della tavola e dei layout. Huddleston fa rincorrere tra le pagine figure vive, espressive ma vuote, completamente prive di qualsiasi tonalità al di fuori del bianco e del nero e ambienti pittorici, magistralmente illustrati e brillanti in una tavolozza infinita di colori e sfumature; in questo destabilizzante ma affascinante contrasto si crea una sorta di armonia, di coerenza in cui risiede la potenza visiva di Decorum: Huddleston fluttua tra le proprie influenze estetiche e artistiche – Kent Williams, Ashley Wood, Bill Sienkiewicz, aggiungendo tocchi e sprazzi di Sergio Toppi – per illustrare mondi variopinti e unici che vedono conquistadores robotici tentare disperati assalti agli indigeni a bordo di vascelli e velieri spaziali. Ancora, spostandosi nel dettaglio e ad un’atmosfera più “terrena”, il pianeta-fuorilegge che fa da ambientazione alla seconda parte di Decorum si umanizza e avvicina molto di più allo standard artistico statunitense. I tratti si ammorbidiscono, si arricchiscono di dettagli nel design e nei particolari degli ambienti ma resta costante l’addizione e sottrazione del colore – che Hickman compensa con testi decisamente più presenti rispetto alla prima parte, dialoghi che profilano i toni dell’avventura principale, i volti e le voci di protagonisti, antagonisti e un accenno di cast secondario.

Alcuni autori diventano sinonimo con il loro genere prediletto: lo plasmano e lo trasformano, adottando e mutando formule, idee e strutture in canoni per l’attuale e le future generazioni. Con ogni sua storia, Jonathan Hickman ha saputo ritagliarsi una posizione particolare all’interno dell’industria del fumetto – quella di intoccabile pietra di paragone nel genere fantascientifico a fumetti. Decorum #1 è l’ennesima dimostrazione della smania di creare, evolversi e rompere la tradizione in nome dell’innovazione fantascientifica di Jonathan Hickman. Con un Mike Huddleston miracolosamente ripescato dagli angoli nascosti del mondo-fumetto, Hickman si conferma maestro nell’applicare contesto e giustificare le proprie scelte, costruendo e fornendo solide fondamenta ai concetti più audaci e improponibili. Non esistono strutture complesse né tantomeno contesti impossibili od inspiegabili per l’autore – una macchina irrefrenabile, fucina d’idee che prende in prestito e reinventa trope e cliché hard e soft sci-fi al servizio di storie mai banali, mai noiose.

Gufu’s Version

STEALTH #1 di Mike Costa e Nate Bellegarde

I supereroi sono una parte integrante e fondante dell’immaginario statunitense, per quanto in Europa possiamo ritenerci in qualche misura colonizzati da questo immaginario non comprenderemo mai pienamente quanto pesi la figura del supereroe nella società USA e di quanto profondamente penetri ogni ambito narrativo. Questa pervasività è una diretta conseguenza della ben più radicata onnipresenza della figura eroica all’interno della cultura yankee: dai cowboy agli astronauti, dai pionieri ai soldati in guerra, dai vigili del fuoco agli sportivi. In America tutto è eroico, e di conseguenza supereroico.
È chiaro quindi che nel momento in cui uno scrittore di comics voglia affrontare un qualunque tema il suo pensiero ricorrerebbe subito all’uso della metafora supereroistica.
E tanto succede in Stealth

Creato da Robert Kirkman e Mark Silvestri, Stealth è un supereroe di colore, un incrocio tra Falcon e Batman, che opera nella città di Detroit: quella che potrebbe sembrare l’ennesima lettura del fenomeno del vigilantismo incarnato da una lunga serie di eroi e anti-eroi, apre nuove prospettive con la rivelazione che sotto i panni di Stealth si cela un uomo in età avanzata affetto da Alzheimer e non più in grado di riconoscere i criminali dai poliziotti.
Mike Costa decide di affrontare una serie di tematiche normalmente estranee, o comunque tangenti, al fumetto supereroistico cercando di mantenerne i tropi e l’obiettivo più puramente ludico. L’albo si apre con un monologo dal taglio decisamente politico imperniato sulla situazione dei sobborghi di Detroit abitati dalla comunità di colore: una descrizione cruda e rabbiosa, sebbene non approfondita, che fornisce un contesto credibile e apre un primo sguardo su Tony Barber, un giovane giornalista impegnato a occuparsi del padre malato di Alzheimer. La narrazione procede per cambi di direzione repentini, ogni volta che sembra incanalarsi su binari conosciuti e consolidati scopriamo un elemento di novità: quello che all’inizio sembra essere un supereroe è in realtà un violento vigilante, quello che viene descritto come uno scontro a fuoco con dei criminali è in realtà altro e così via, fino ad arrivare al plot twist finale che è l’evento scatenante e portante della serie.

Annunciata lo scorso dicembre, contemporaneamente al relativo adattamento cinematografico per i tipi della Universal, la serie sembra costruita attorno a una sceneggiatura dal taglio decisamente cinematografico in cui l’esposizione cede il passo allo svolgimento degli eventi adottando una sintesi narrativa fatta di sole scene essenziali e sintetiche. Questa struttura, fatta di continui cambi di direzione, imprime un ritmo sostenuto alla storia sacrificando però il lavoro di caratterizzazione che, in questo primo capitolo, appare affrettato ed eccessivamente appoggiato su soluzioni stereotipate.
Nate Bellegarde adotta un tratto pulito simile a quello di autori come Chris Samnee e Ryan Ottley – non un caso visto che stiamo parlando di una serie creata dal papà di Invincible – e un’impostazione molto ordinata della tavola che concede pochissimo alle canoniche iperboli del fumetto supereroistico mantenendo invece un taglio più descrittivo e crudo nella sua oggettività. L’effetto finale risulta convincente ma forse eccessivamente rigido e piatto nel ritmo, andando così in attrito con l’impostazione generale, più sincopata, della sceneggiatura.

Il duo di autori cerca quindi di affrontare tematiche importanti – degrado urbano e sociale, vigilantismo, malattie mentali – cercando al contempo di offrire un prodotto di intrattenimento: un obiettivo ambizioso che al momento incuriosisce e tradisce un forte potenziale nonostante i limiti sopra evidenziati.

First Issue

STRANGE ADVENTURES #1 di Tom King, Mitch Gerads e Evan Shaner

Con Vision e Mister Miracle, Strange Adventures condivide il tema della normalizzazione dello straordinario. Se nelle prime due opere abbiamo, rispettivamente, un androide e un dio che vogliono essere uomini, in questa nuova storia troviamo un eroe fantascientifico che vuol provare a vivere una vita normale con la sua famiglia. Però, anche se da un punto di vista grafico potrebbe sorgere il dubbio, Strange Adventures non parte da dove si era fermato Mister Miracle e indaga cose diverse. Se la maxi serie dedicata a Scott Free parlava degli sforzi di un essere umano per superare un trauma – che era da subito presentato al lettore in maniera drammatica – e provare a trovare il proprio ruolo nell’esistenza, l’impressione è che in questa nuova storia King andrà a indagare uno dei temi che – da ex agente della CIA e uomo sul campo in Iraq – gli stanno molto a cuore. Dopo aver affrontato lo stress da trauma post traumatico in Heroes in Crisis, adesso King si concentra su un tema per molti versi molto “americano”, ovvero la percezione pubblica della differenza tra atti eroici e crimini di guerra in un contesto bellico.

LEGGI LA RECENSIONE COMPLETA QUI

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