Wednesday Warriors #45 – le Potenze di Dieci (o Powers of X)

In questo episodio di Wednesday Warriors salta qualunque schema e ci buttiamo a capofitto sul rilancio degli X-Men operato da Jonathan Hickman, Pepe Larraz e R.B. Silva

Bam’s Version

Nel 1968 e successivamente nel 1977, marito e moglie Charles e Ray Eames, entrambi architetti, realizzarono due cortometraggi basati sul libro Cosmic View dell’olandese Kees Boeke. Powers Of Ten: Dealing with the relative size of things in the universe e Powers Of Ten: Dealing with the relative size of things in the universe and the effect of adding another zero sono oggi più comunemente conosciuti come Powers Of Ten, documentari volti all’illustrazione della scala universale seguendo una base logaritmica – un ordine di magnitudine legato alle potenze di 10. Le pellicole, ironicamente, non superano i dieci minuti di durata, con il primo a rappresentare una versione “embrionale” del progetto. Entrambe espongono una rappresentazione di tempo e spazio, variabili che lo spettatore osserva direttamente e indirettamente allo stesso tempo. La percezione di entrambe le dimensioni muta attraverso le inquadrature, sempre più lontane dal soggetto iniziale – una coppia stesa su un prato al sole, durante un rilassante picnic. Le proporzioni si fanno cosmica e, seguendo la voce del narratore, la telecamera si allontana, rivelando prima il Burnham Park di Chicago, poi l’intera città, l’Illinois, gli Stati Uniti, il Nord America e così via, arrivando alle stelle, la galassia, l’universo e infine percorrendo la strada a ritroso, addentrandosi tra la pelle dell’uomo steso sul prato, tra le sue cellule, chiudendo un cerchio macro e microscopico. Un cerchio, un oroboro, che abbraccia l’uomo, il mondo, l’universo e la vita intera.

La visione di questo cortometraggio è affascinante ed impressionante: costringe ad una riflessione sulla natura dell’essere umano e la sua infinitesimalità, ma anche sulla sua rilevanza nella scacchiera universale – unico (?) essere vivente in grado di prendere coscienza di questa scala di potenze di 10. Jonathan Hickman, autore mai banale, ha applicato le potenze di dieci all’universo Marvel mutante – e trasformato Powers Of X in una riflessione sulla natura, l’evoluzione, il conflitto da esso derivato e tutto ciò che corre attraverso questa infinita base logaritmica.

Similarmente al cortometraggio del ‘77 dei coniugi Eames, tutto inizia in una giornata soleggiata. Charles Xavier, non ancora il leader del mondo mutante che conosciamo, si sedeva ad una panchina: un attimo di relax, interrotto dall’incontro con Moira McTaggart. La base è X⁰, la linea temporale dove tutto ha avuto origine, dove ha luogo “la scena più importante della storia degli X-Men”. Il lettore viene successivamente strappato dal punto d’origine e trasportato in X¹, la linea temporale che coincide con House Of X e gli eventi che hanno portato alla fondazione della nazione di Krakoa: in Powers Of X, Hickman non arriverà mai a toccare direttamente il filone narrativo principale di HOX, lavorando invece intorno alla trama e ai concetti fondanti della “Casa di X”.
La scelta di dividere POX in multiple linee temporali è tenuta in piedi dalla vera costante della serie, Moira McTaggart: un personaggio completamente nuovo, che lo scrittore ha preferito definire come Moira X. Completamente reinventato, il personaggio di Moira, quanto Magneto e Xavier, è artefice della rivoluzione in corso su HOX. In Powers Of X è protagonista ed il suo percorso, contorto ed intrigante, terrificante sotto certi aspetti, giustifica pienamente le multiple linee narrative. Ancorata ad X¹, House Of X è costretta a vivere il presente: per forza di cose, POX non rivela mai snodi narrativi compromettenti all’integrità della trama sulla serie gemella. Hickman, come i coniugi Eames, parte dall’elemento X per aggiungere e sottrarre variabili 0, che cambiano radicalmente il punto di vista sull’intera narrativa, arricchendo le tematiche centrali e mostrando l’impatto di House Of X e delle vite di Moira X sul mondo mutante.
Lungo il corso della serie, la linea temporale X² ha il duplice compito di lasciare R.B. Silva flettere i muscoli, divertendosi con scene d’azione esagerate ed esplosive, e di illustrare l’evoluzione del conflitto umano/mutante/macchina. L’Anno Cento di Powers Of X è interamente dedicato all’esplorazione di una realtà devastante, all’evoluzione spezzata, contaminata degli X-Men e alle tre specie in costante battaglia tra loro, una guerra ideologica e naturale verso il picco della scala evolutiva, la dominanza della specie. L’aspetto più interessante di questa realtà (futuro?) mutante è notare quanto Hickman e Silva si trovino a giocare nel momento più funesto e spietato per l’homo superior – tecnicamente gli “eroi” della serie. Nimrod, per quanto inquietante, è fonte di humor e l’azione orchestrata dalla matita “Immoneniana” di Silva riempie gli occhi, grazie anche ai colori di Marte Gracia. I concetti di transumanesimo e transmutantesimo vengono sottolineati con toni acidi e preoccupanti, diventano nucleo di discussione e riflessione sulle infinite possibilità percorribili. A Nimrod, vengono contrapposti Apocalisse, baluardo dell’evoluzione mutante, e Sinistro, in disparte, genio scellerato, genetista folle e anch’egli custode di segreti fondamentali nel gioco di Powers Of X, un personaggio che lavora nell’ombra della serie ed assume connotati ancor più intriganti. 

Lungo i sei numeri della serie, X⁰ approfondisce il rapporto tra Charles Xavier, Moira X e Magneto e cosa sono disposti a sacrificare pur di garantire un futuro all’intero popolo mutante. X¹ funge da finestra, luce sulle zone d’ombra che svela i segreti politici e gli schemi dietro la fondazione di Krakoa; X² con “l’Era di Nimrod” e la concorrente X³ appaiono, come suggerisce la loro stessa potenza, come declinazioni lontanissime dalla realtà che Hickman propone in House Of X

X⁰ rappresentava la concezione del sogno evolutivo. X¹ l’affermazione e la genesi della realtà nata dal sogno. X² è l’esasperazione e la corruzione, tuttavia perfettamente naturale: la lotta per la sopravvivenza e per il dominio; X³, ad un primo, sguardo, appare come una trama completamente estranea a Powers Of X. Una società pronta ad essere giudicata da Dio, superando i concetti di transumanità e trasformandoli in post-umanità, con gli occhi rivolti al cielo, in cerca di comunione con chi siede al di sopra della scala evolutiva – spezzandola definitivamente. In X³, l’evoluzione è superata e il conflitto è assente. L’Anno Mille abbandona il conflitto tra macchine, uomini e mutanti, spostando l’attenzione su eventi incontrollabili e lontani dai protagonisti principali della serie: Xavier e Magneto non sono parte della narrazione, Nimrod è ridotto ad una cellula volante di informazioni e una razza di umani iper-evoluti domina il pianeta. L’ascensione ad un piano superiore diventa il tema dominante – che in questo #6 di Powers Of X viene rivelato e sviscerato con una scelta di tempi eccezionale. 

0 – 10 – 100 – 1000, l’inizio di una scala logaritmica virtualmente infinita. C’è ordine ed armonia, nella narrazione Hickmaniana e X³ ne è la lampante dimostrazione. Alle vignette e ai concetti estremamente densi, fantascientificamente provanti e a volte tosti da digerire, lo scrittore affianca compendium testuali che rivelano schemi e nuclei di informazione, esposizione, certo, ma dosata saggiamente, in grado di accompagnare il lettore senza sminuire la voglia di “riempire da solo” gli spazi vuoti, aprendo le porte alla giostra di teorie. Come l’inquadratura degli Eames osservava l’uomo sdraiato nel parco fino a raggiungere l’universo intero, così Hickman osserva il germoglio di una rivoluzione mutante, concepito da Moira X, raggiungere un futuro remoto. Le potenze di dieci si susseguono e le variabili consentono l’osservazione di realtà radicalmente diverse, accomunate dall’unica costante, il valore di X.  Silva, disegnatore che in questa occasione ha mostrato, proprio come i personaggi, ampie possibilità di evoluzione, mette in mostra le sue capacità nei momenti concitati come in quelli più calmi. La tensione palpabile in X³ vive di momenti silenziosi ed immensi, quasi incomprensibili alla mente del lettore – la densità dei dialoghi di Hickman è accompagnata dai costanti riferimenti e rappresentazioni di menti collettive, fortezze di conoscenza, divinità artificiali. L’Anno Mille è quanto di più lontano possa esserci dall’autore visto in Marvel, che si avvicina piuttosto alle proprie produzioni indipendenti. L’Anno Mille eleva Powers Of X dallo status di fumetto degli X-Men con fantascienza “classica” ad un tripudio di hard sci-fi. Se l’operazione di reboot mutante ha finora richiamato Morrison e Claremont, il cambio di tonalità ed atmosfera avvicina Hickman ad Arthur C. Clarke e Isaac Asimov, Alastair Reynolds, mantenendo l’audacia dei concept di Michael Crichton e del più moderno Liu Cixin.
La conclusione di Powers Of X potrebbe apparire secondaria, visto l’aggancio diretto ad House Of X. Il ritorno a Krakoa e la dichiarazione d’intenti di Xavier e Magneto, così come l’ultimo, teso confronto con Moira X, è però necessario e fondamentale all’intero blocco narrativo di HOXPOX. Quanto grandi possono diventare gli X-Men? Quanto in là ci si può spingere nella scala evolutiva? È possibile spezzare il sogno di un uomo per adattarlo ad un nuovo mondo? In sei numeri, Hickman ha affrontato l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo – dal primo impulso di un’idea all’universo da esso creata.
POX imbriglia il lettore in una rincorsa continua, costellata da segreti, sviluppi narrativi, feroci battaglie e, soprattutto, riflessioni sulla propria natura – sia essa mutante, umana, artificiale o ibrida. Tutto, ovviamente, senza mai allontanarsi dalla sua componente essenziale: gli X-Men ed il loro universo, le sue variabili e costanti, i suoi elementi riconoscibili e le idee più forti e controverse.

House Of X esplora l’evoluzione naturale dei mutanti e cosa essa implica a livello politico, militare, sociale, linguistico e culturale – affiancata, ovviamente, alla struttura tradizionale del “fumetto degli X-Men”; Powers Of X è la sua potenza, la declinazione della particella originale: avanti e indietro nel tempo, osservandone gli effetti macroscopici, le ritorsioni microscopiche e viceversa. House Of X è l’uomo steso sul prato, mentre Powers Of X è l’occhio dell’inquadratura e la voce del narratore, aggiungendo e sottraendo un semplice 0, osservandone gli effetti.

Gufu’s Version

L’eccessiva ambizione è spesso foriera di incredibili disastri: la narrativa fantasy trabocca di aspiranti creatori di mondi, architetti di mitologie e demiurghi di universi narrativi che implodono sotto il peso delle proprie megalomanie e di saghe cosmiche che crollano sotto il loro stesso peso minate da fondamenta deboli e strutture inconsistenti. Esistono però delle notevoli eccezioni a questa regola, autori che sono riusciti a dare corpo a queste ambizioni: pensiamo a J.R.R. Tolkien, a George Lucas, Isaac Asimov e a tanti altri world builders di successo. A questi nomi potremmo, con molta probabilità, aggiungere quello di Jonathan Hickman nel prossimo futuro.
Sebbene non sia definibile come un “creatore” in senso stretto – quantomeno non nel caso di cui ci stiamo occupando visto che i Mutanti Marvel conoscono diversi padri – Hickman si è fatto carico di un obiettivo altrettanto impegnativo e delicato: prendere un corpus letterario frammentato, fatto di cinquant’anni di storie a fumetti, composto da centinaia di personaggi, gestito nel tempo da dozzine di autori diversi con prospettive e visioni diverse, e organizzarlo in un unico discorso narrativo coerente.

Una Crisi “nascosta”
Un compito del genere farebbe tremare i polsi a chiunque, ogni scrittore mediamente dotato avrebbe optato per il più classico dei colpi di spugna, un reboot, in modo da ricominciare da zero senza troppi problemi: tipo Crisis on Infinite Earths ma limitato ai mutanti.
Ma no, Hickman non ha fatto un reboot.
Ne ha fatti dieci.
E tanti ne servivano per rimettere in piedi quella che per decenni è stata la miniera d’oro della Marvel Comics e che per altrettanti anni è stato il suo più grande tallone d’Achille.
Senza addentrarci nel discorso della qualità delle singole storie o della cura editoriale, e senza voler parlare di questioni di diritti cinematografici che vincolano le produzioni a fumetti, cerchiamo di valutare l’aspetto dell’obsolescenza degli X-Men nel panorama a fumetti USA.
Come sappiamo tutti a menadito gli X-Men sono stati per anni la metafora ideale per descrivere la diversità senza rappresentarla, in un periodo in cui la stragrande maggioranza dei team creativi del mondo dei comics erano composti da maschi WASP, gli X-Men permettevano alla Marvel di affrontare le tematiche delle minoranze utilizzando un linguaggio sufficientemente mediato che li mettesse al riparo da letture eccessivamente politicizzate.
Gli anni ‘90 però cambiarono le carte in tavola (non credete a chi vi racconta degli anni ‘90 come solo del periodo d’oro dell’ipertrofismo e della prima Image Comics di Liefeld, Lee e McFarlane): autori appartenenti a minoranze cominciarono a far sentire la propria voce anche nel fumetto mainstream trattando argomenti in maniera progressivamente più esplicita e non mediata rendendo così superfluo il ricorso alla moderata metafora mutante.
Gli X-Men perdevano così il loro scopo principale, la loro identità all’interno del mercato, cominciando così il proprio declino – seppur arginato parzialmente dalla gestione di Grant Morrison nei primi anni duemila – sia qualitativo che commerciale.

È un mondo difficile

Queste considerazioni ci fanno comprendere la portata dell’operazione House of X/Power of X: per restituire agli X-Men la loro naturale centralità nell’Universo Marvel c’è bisogno di dare una struttura e uno scopo ben preciso a tutto il parco testate mutanti. Non basta indovinare una storia o mettere in piedi una serie ben scritta e ben disegnata, c’è bisogno di un progetto più strutturato, complesso, che abbia individuato con precisione il proprio obiettivo.
HoXPoX, nella sua complessa articolazione di mondi, cronologie, schede, mappe e documenti vari, è la pietra angolare di quella che sarà la struttura dell’intero parco testate mutanti a venire: il punto di partenza di una nuova mitologia mutante.
È un’impresa degna di nota quella di realizzare un’architettura narrativa complessa, che articoli in maniera efficace un’intera linea editoriale, quella compiuta in questi dodici numeri, ma si tratta di una conquista che risulta relativamente semplice una volta paragonata al lavoro di “ricollocazione filosofica” (non trovo termini migliori) degli X-Men nell’editoria a fumetti statunitense.
Hickman, Larraz e Silva proiettano prepotentemente Xavier e soci nella contemporaneità, dando loro un nuovo scopo: una metafora delle sfide poste all’umanità attuale. Dall’emergenza ambientale al collasso dei modelli politici e sociali che sembravano consolidati, la riflessione si sposta sulla complessità del mondo, sulla radicalizzazione del conflitto sociale che vede lo scontro rimpiazzare il confronto rendendo così, apparentemente, obsoleto sia il sogno idealistico di convivenza proposto da Xavier che quello di Magneto, Apocalisse e tutti gli altri leader mutanti.
Ed è proprio per scardinare i suddetti sogni, sia dalla testa dei protagonisti che da quella dei lettori, che si rendono necessari i dieci reboot di cui sopra: la portata del cambiamento cercato da Hickman richiede un hard reset che non ha precedenti nell’editoria a fumetti mainstream perché non deve agire solo sugli elementi di continuity ma anche sull’identità costitutiva delle testate X e dei suoi personaggi.

Il Manifesto del Sovranismo Mutante

Crollano i sogni e con loro crollano gli ideali lasciando spazio solo ad un pragmatismo che porta i nostri eroi alla costruzione di una società che agisce con dinamiche sempre meno (super)eroiche e sempre più utilitaristiche sfruttando le proprie risorse per ottenere un’indipendenza politica e sociale nel mondo. Una svolta identitaria che richiama alla mente tutti i movimenti sovranisti che attualmente sono al centro della scena politica internazionale (Make Mutants Great Again?). Come già in altri casi, da Manhattan Projects ad Avengers, Hickman sembra affascinato dall’esplorazione del potere e dei personaggi che lo gestiscono: c’è poco spazio per l’empatia e l’Ideale, quello con la I maiuscola, viene sacrificato sull’altare delle necessità dei molti.
In questo contesto risulta decisamente efficace il lavoro alle matite di Pepe Larraz che stratifica nelle sue composizioni un discorso molto più dinamico e fantascientifico arricchendo le tavole di dettagli – troppo spesso nascosti dai colori di Gracia e Curiel – che amplificano e sottolineano la narrazione iperbolica dei nostri non-più-tanto-eroi presentando ai lettori delle figure più monumentali che umane. Anche nei momenti di maggiore intensità emotiva ci troviamo al cospetto di personaggi da Tall Tales, smaccatamente kitsch, piuttosto che a qualcuno con cui è possibile immedesimarsi. Di contro R.B. Silva, meno esplosivo del collega, riesce a lavorare in maniera più convincente sulle emozioni, facendo un ottimo lavoro sulle espressioni dei volti, bilanciando in qualche misura il tono generalmente distaccato e delle due serie.

Ma non è tutto qui: durante questi dodici numeri gli autori hanno fatto un’enorme opera di semina che daranno il via a una lunga stagione di x-storie ricche di colpi di scena: si avvicina Dawn of X.

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