Wednesday Warriors #42 – Nel segno di Spider-Man

Torna Wednesday Warriors dopo una lungherrima pausa estiva. E si parte subito col botto: lo Spider-Man di Abrams padre e figlio con Sara Pichelli alle matite

Gufu’s Version

SPIDER-MAN #1 di J.J. Abrams, Henry Abrams e Sara Pichelli

Negli ultimi anni l’ossessione per lo spoiler, per il contenuto rivelato prima della fruizione di un’opera, ha raggiunto vette altissime tanto da essere utilizzata come arma dagli esperti di marketing per spingere alla visione compulsiva delle opere, ne sono un fulgido esempio i successi di Avengers: Endgame e l’ultima stagione di Game of Thrones.
Va da sé che non tutte le storie sono uguali e che nel 90% dei casi il cosiddetto spoiler non rovina davvero la fruizione di un’opera.
O meglio: sebbene il fattore sorpresa sia una componente importante nella narrazione di una storia raramente ne è un elemento chiave.

Questo preambolo per dire che, a differenza della stragrande maggioranza delle opere di intrattenimento, lo Spider-Man della ditta Abrams/Abrams/Pichelli trova uno dei suoi punti di forza proprio nella sorpresa che il trio piazza nelle primissime pagine dell’albo e che andrà poi a condizionare tutto il resto della storia (motivo per cui questa recensione sarà quanto più vaga possibile sugli elementi dell’intreccio).
Va dato merito quindi ai responsabili della comunicazione e del marketing della Marvel capaci di “intorbidire le acque” senza dire nulla arrivando anche a pilotare una serie di rumor fuorvianti.
Ma questo punto di forza è allo stesso tempo la maggior debolezza dell’albo: una volta metabolizzato lo shock iniziale dell’intreccio resta ben poco.
Il villain di turno, oltre a sfoggiare il poco convincente nome di Cadaverous, ha uno spessore impalpabile e ha un che di “già visto” nelle pagine di Spider-Man, e gran parte della trama è incentrata sulla (ri?)narrazione di una “origin story” che non offre spunti degni di nota.

A dispetto di quanto detto fino a qui Spider-Man #1 è comunque un buon fumetto in grado di avvincere il lettore. Quello che manca in termini di conflitto extra-personale viene recuperato dalle situazioni di conflitto personale e interno (delucidazioni sulle leggi del conflitto QUI).

Gli Abrams – e qui sospetto che ci sia più la mano di Abrams figlio viste le tematiche adolescenziali – mettono al centro del loro soggetto tre personaggi principali, quasi disinteressandosi di tutto il resto, illustrandone i rapporti, gli attriti, i momenti di affetto e le singole fragilità esplorando così il lato più umano del fumetto supereroico.
È in questo che il trio di autori riesce a restituire una vera storia dell’Uomo Ragno che giustifichi la nascita di una terza testata, che si affianca alle già esistenti “Amazing” e “Friendly Neighborhood”, perché quella di Peter Parker è sì una storia di costumi sgargianti, nemici pittoreschi e superpoteri inquietanti ma è soprattutto una storia di fragilità: Spider-Man, sin dalle sue origini, si distingue dagli altri supereroi proprio in virtù delle proprie debolezze, per l’estremizzazione del concetto “supereroe con superproblemi”.

L’identità di Spider-Man, il suo punto distintivo, risiede nella sua fragilità.

Ed è questa fragilità che traspare dai disegni di Sara Pichelli, un supereroe dal fisico tutt’altro che ipertiroideo che si batte contro forze più grandi di lui e che si rompe, sia fisicamente – impressionante la vignetta con il braccio rotto di Peter – che psicologicamente. Se i due Abrams volevano raccontare l’umanità dell’Uomo Ragno non potevano sperare in un disegnatore migliore: dalle tavole della Pichelli Peter, May, MJ e gli altri risultano umanamente veri e credibili; c’è una cura del dettaglio, nelle posture, nei volti, negli abiti e negli ambienti, che non scade mai nella sterile descrittività del fotorealismo ma riesce sempre a essere espressiva. Il segno sviluppato dall’artista marchigiana negli ultimi anni, fatto di più linee frammentate e sottili, meno nette, riesce a restituirci delle persone più che dei personaggi, è come se ci trovassimo di fronte a figure a noi familiari.
Questo primo numero di Spider-Man è quindi una umanissima storia di persone, che avvince in quanto tale così come ci avvincevano le vicende amorose di Peter, MJ e Gwen descritte da Stan Lee e John Romita, o i drammi personali che da sempre sono la cifra identificativa dell’Uomo Ragno.

Per i supercattivi e le superscazzottate con plot twist a ogni pagina c’è tempo, arriveranno.
E se non arriveranno andrà bene lo stesso.

Bam’s Version

Si contano sulla dita di una mano gli autori di fumetti che non desiderano, almeno una volta nella vita, scrivere l’Uomo Ragno. Il fascino delle luci della ribalta, la possibilità di giocare con uno dei personaggi più famosi al mondo, l’incredibile ampiezza di cast, tra comprimari, nemici. Peter Parker e il suo alter-ego aracnide sono un chiodo fisso per molti scrittori ed artisti, affascinati dal supereroe con superproblemi per antonomasia.
L’Uomo Ragno riesce ad includere nelle sua forma genuina una vasta scelta di schemi e stilemi narrativi – e le possibilità sono praticamente infinite: dalla storia intimista e privata, toccante, all’action sfrenato. Volendo mettere da parte le serie principali, la storica Amazing Spider-Man ad esempio, con il suo continuo affidamento alla continuity e alla sua serialità, in altri lidi alcuni autori hanno tentato di battere nuove strade: vengono in mente l’action thriller psicologici, graficamente sperimentale come Spider-Man: 99 Problems di Matt Kindt e Marco Rudy, lo psichedelico Spider-Man: Fever di Brendan McCarthy, lo straziante Spider-Man: Reign di Kaare Andrews e il più recentemente concluso Spider-Man: Life Story di Chip Zdarsky e Mark Bagley.

Seppur tediosa e apparentemente senza senso, questa lista di titoli è necessaria per poter comprendere quanto potenziale narrativo rinchiude in sé l’Uomo Ragno ancora oggi, nel 2019, e quanti autori si siano avvicendati sulle sue pagine, crescendo, migliorando i propri mezzi e aggiungendo un nuovo capitolo all’infinita saga di Peter Parker. In quest’ottica, Spider-Man #1 di J.J. Abrams, del figlio Henry Abrams e Sara Pichelli sarebbe una storia come tante, l’ennesima possibilità di raccontare qualcosa di inedito legato al personaggio. Eppure, Spider-Man #1 fa rumore più di tanti altri debutti Ragneschi.
Il misterioso countdown che ha accompagnato l’annuncio della mini-serie si può dire che abbia danneggiato la ricezione del pubblico a priori. I lettori sono stati traviati dagli articoli dei vari siti specializzati, che lasciavano viaggiare la fantasia – al punto tale da associare la serie di teaser pubblicati dalla Casa delle Idee all’annuncio di una serie a fumetti legata al quarto (e mai realizzato) film della saga di Sam Raimi con Tobey Maguire. Fantasie, certo, ma piuttosto convincenti, al punto tale che al momento della rivelazione, il tradimento di quella ingenua aspettativa ha immediatamente colpito la readership.

L’albo di 30 pagine segna il debutto a fumetti di J. J. Abrams, celebre autore di cult come Alias, Lost, Fringe e invischiato nella creazione e produzione di serie di successo come Westworld e, cinematograficamente, la mente dietro la rinascita di Star Trek e della Nuova Trilogia di Star Wars, regista dell’Episodio VII e imminente Episodio IX. Un curriculum di tutto rispetto, che piaccia o meno. Ma insieme ad Abrams troviamo il figlio Henry, un vero e proprio debuttante, scrittore in erba, senza alcuna vera esperienza – al quale viene affidato il compito di dare vita alla propria storia dell’Uomo Ragno, sotto guida e consiglio del padre.
All’apertura dell’albo, Spider-Man #1 è un albo ricco di mistero ed intrinseca curiosità


N.b. da questo momento in poi, la recensione conterrà SPOILER. Siete avvisati.

L’apertura su una New York innevata e devastata da una minaccia sconosciuta sembra voler introdurre il lettore alla “nuova” Sara Pichelli, purtroppo orfana del suo colorista storico sui Ragni, Justin Ponsor. Dave Stewart sceglie tinte smorte, spezzate spesso e volentieri dai colori accesi delle fiamme di auto rovesciate, del sangue e dal costume dell’Uomo Ragno, dei capelli di MJ. I due si cercano nelle strade tra neve e macerie. Livido e stremato, il Peter Parker di Sara Pichelli, qui nella piena maturazione del suo tratto morbido e straordinariamente delicato per un fumetto statunitense mainstream, si appoggia stancamente ad MJ. Sarà l’ultimo momento di tenerezza tra i due: di fronte al terribile Cadaverous, Spider-Man si trova inerme e impotente. Soverchiato da orde di creature simil-cyborg-xenomorfe, l’Uomo Ragno assiste ad una scena tremenda – la morte di Mary Jane Watson, brutalmente uccisa dal misterioso, crudele avversario.
Il cadavere dell’amore della vita di Peter è lanciato da un ponte senza cerimonie. Successivamente, ci troviamo ad un funerale. Peter ha gli occhi spenti, ma non ha più un braccio. Nell’altra, la mano di un bambino dai capelli e lo sguardo a cercare gli occhi del lettore. Seguono due pagine nere ed una sola scritta: “Dodici anni dopo”.

L’inizio di Spider-Man #1 è uno dei più accattivanti ed intriganti degli ultimi anni. Estremamente semplice ma efficace, per niente complesso nella sua esecuzione – un prologo che va dritto al punto, che distrugge e costruisce materiale a sufficienza per catturare l’attenzione del lettore, lasciando quella sensazione pruriginosa che stimola a girare immediatamente la pagina.

Gli Abrams, ma soprattutto la Pichelli, introducono la seconda fase fase del fumetto dopo lo shock introduttivo. Ben Parker, figlio di Mary Jane Watson e Peter Parker, vive la sua vita come un adolescente qualunque. Testa bassa per non dare nell’occhio, timidezza ma poca pazienza per i bulli – cosa che gli costa più di una visita con ramanzina nell’ufficio del preside. Il tratto dell’artista Italiana, accompagnate alle chine da Elisabetta D’Amico, fa del character design essenziale e della semplicità la formula vincente. In assenza di scene d’azione votate ai volteggi e all’estrema dinamicità del suo Uomo Ragno, Sara Pichelli si concentra sulle espressioni del volto, sulla recitazione dei personaggi coinvolti. Ben, spesso chiuso, affossato nelle sue spalle curve, alza la testa per affrontare il prepotente di turno. Affronta suo padre in maniera distaccata, visibilmente punto nel vivo dalle parole di un Peter Parker freddo, che prova ad ignorare il rancore covato dal figlio. Il conflitto di vedute è tutt’altro che semplicemente generazionale: da un lato, Ben è stato punito per aver preso le difese di un suo compagno di scuola; dall’altro lato, Peter si rende conto dello stesso spirito che vive nel figlio – e non può fare a meno di notare il proprio fallimento, non può ignorare il senso di colpa nel non essere riuscito a proteggere MJ.

Tolte le dieci pagine iniziali, Spider-Man #1 è perlopiù raccontato dai personaggi che analizzano i propri sentimenti e si confrontano tramite buoni, spesso stereotipati dialoghi. Conversazioni ed espressioni di personalità lontane dalla perfezione, ma funzionali e utili allo sviluppo del mondo. Tuttavia, il prologo costruito dagli Abrams è sì shockante ma anche pesante: il bagaglio emozionale rallenta il ritmo della narrazione, costringe ad una controindicata rottura della regola show, don’t tell che esplicita pensieri ed emozioni dei protagonisti, piuttosto che permettere al lettore di intuirli e, da lì, cominciare a scavare nella storia personalmente. L’introduzione di Itto Faye, probabile interesse amoroso del protagonista, e di zia May alleggerisce i toni – almeno fino alla rivelazione e al secondo colpo di scena, che non vi verrà rivelato dal sottoscritto in questa occasione.

Sebbene Ben Parker sia sicuramente un protagonista accattivante, dotato di una voce abbastanza spontanea e genuina, il resto della presentazione non riesce a seguire a braccio la forte idea introduttiva. Il debutto di J. J. Abrams, ma soprattutto di Henry Abrams, è macchiato da una sintomatica e naturale sensazione di amatorialità. La creazione di un concetto originale e, ancor più complicato, il suo inserimento in un contesto narrativo così ampio come quello dell’Uomo Ragno rappresentano una sfida forse troppo grande per un esordiente.

Dietro la patina del prologo shockante e ammirati i disegni di una Sara Pichelli forse mai così europea nel suo stile, Spider-Man #1 di J.J. e Henry Abrams non si riesce a staccare dalle meccaniche della fanfiction. Volente o nolente, l’albo appare e si presenta come il lavoro di un ventunenne e, per quanto talento si possa avere, risulta piuttosto difficile scoprire la differenza tra scrivere ciò che si vuole e scrivere ciò che la propria storia necessita.
L’introduzione spezza violentemente il filo dalla tradizione, si stacca ciò che il lettore conosce – ma in fin dei conti presenta l’ennesima realtà alternativa che consente all’autore di liberarsi dai vincoli della continuity, scaricando un grosso peso dalle spalle degli autori.
Una volta assimilate le prime dieci pagine, Spider-Man #1 diventa prevedibile, incappando in alcuni vizi di forma impossibili da evitare per un giovane scrittore, smanioso di poter mettere le mani con il giocattolo nuovo (chi non lo sarebbe, del resto). L’eccesso di entusiasmo mostrato nella prima parte non viene bilanciato nella seconda, dove i dialoghi cadono troppo spesso nello stereotipo e gli ulteriori sviluppi di trama si rivelano allo spettatore senza alcuna vera novità o forma di particolare ragionamento.  La trama, i dialoghi, persino alcune vignette e sequenze – il fumetto avviene prima nella mente del lettore e poi su carta. Ben Parker, “unico” nel suo genere, non ha origini poi così diverse da suo padre, da Miles Morales, dall’Ultimate Spider-Man di Bendis e Bagley.

Spider-Man #1 resta, per ora, una storia embrionale. La spinta del concept può catapultare J.J. Abrams ed Henry Abrams in territori completamente inesplorati, supportati da un’artista di primo livello come Sara Pichelli. La coppia padre/figlio ha un necessario bisogno di equilibrare la propria storia, tanto inattesa e sconvolgente all’inizio quanto prevedibile e by the numbers, giocata sul sicuro nelle successive venti pagine. Lo Spider-Man più importante dell’anno in casa Marvel rischia di passare inosservato e diventare “uno tra i tanti” di questo Universo, editoriale e non. 

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