Wednesday Warriors #25 – Da Wonder Twins ai Transformers

In questo numero di Wednesday Warriors:

Bam’s Version

THE MAGNIFICENT MS. MARVEL #1 di Saladin Ahmed e Minkyu Jung.

Il concetto di legacy, nel mondo del fumetto, ha ancora una forte valenza. Anzi, mai come in questi anni, il passaggio del testimone generazionale ha catturato l’immaginario collettivo dei Marvel-fan, ricoprendo un ruolo fondamentale nel 2018.
Non a caso, l’ultima fase editoriale della Casa delle Idee sotto Axel Alonso portava proprio questo nome, simbolo di un cambiamento necessario. Una generazione di supereroi più giovani ha reclamato il proprio posto nell’Universo Marvel e ora cammina al fianco delle “Meraviglie”, giusto per citare Kurt Busiek e Alex Ross. Ms. Marvel è il baluardo di questa Legacy. La giovanissima Kamala Khan è un ricettacolo di tutti gli elementi essenziali della Marvel “Alonsiana”. Una ragazza Pakistano-Americana, Musulmana, una Nuova Inumana che ha saputo balzare agli onori di cronaca proprio per essere la prima di una generazione di eroi giovane, multiculturale e figlia dello slancio verso l’equa rappresentazione di tutte le minoranze e diversità nel fumetto mainstream.
Cinque anni dopo il suo esordio firmato G. Willow Wilson, autrice alla quale è stata legata sin dalla sua creazione, per Ms. Marvel è finalmente giunto il momento di cambiare registro – con una nuova serie ed un nuovo team creativo. Saladin Ahmed e Minkyu Jung lanciano The Magnificent Ms. Marvel, una nuova serie rivolta ai nuovi e vecchi fan di Kamala. Ahmed, forte del successo avuto con Black Bolt e Miles Morales: Spider-Man, si trova così ad unire le sue precedenti esperienze, scrivendo di una giovane Inumana, dei suoi superpoteri e, ovviamente, delle sue super-responsabilità.
L’albo si apre lontano dal nostro pianeta, su un mondo alieno e con una scena famigliare che evoca dolcezza e sentimentalismi. Una bimba chiede al padre di raccontarle una storia, la storia della Predestinata, l’eroina più importante del pianeta Terra: Ms. Marvel. Sarà importante tenere a mente questa premessa per il futuro. Ritornando sulla Terra, si fa presto a notare l’impostazione di The Magnificent Ms. Marvel #1 sia piuttosto standard, dedicata ad un veloce riassunto delle origini e alla descrizione del mondo costruito intorno alla sua protagonista.
Si può dire che sia un numero scritto col freno a mano tirato, un #1 “safe”, ma Saladin Ahmed ha abituato il lettore ad un lavoro votato all’introspezione dei propri protagonisti – si è visto con il suo Freccia Nera. Kamala Khan vive il Complesso del Supereroe Adolescente e, sebbene possa essere definito un cliché, questo rende il personaggio immediatamente empatizzante e “vivo”, tridimensionale. Il colpo di scena e la svolta improvvisa di trama arriva alla precisa metà dell’albo e segna il netto distacco tra il lavoro della Wilson e questo nuovo corso editoriale. L’inserimento di questa nuova, drammatica variabile alla formula Ms. Marvel costituirà il perno delle trame da qui in avanti – ed è anche più intrigante della sottotrama aliena presentata nella prima pagina.
Minkyu Jung, Juan Vlasco alle chine e Ian Herring ai colori lavorano in perfetta simbiosi. I disegni sono morbidi e dettagliati, con particolare attenzione all’espressività e alle emozioni dei protagonisti, senza trascurare le poche – ma efficaci – sequenze action che spingono in avanti la trama. La palette di colori di Ian Herring è morbida e delicata, in grado di balzare fuori dalla pagina e catturare il lettore una volta che la “minaccia del giorno” verrà completamente rivelata.
The Magnificent Ms. Marvel #1 manca l’aggancio immediato, quel colpo di genio che convincerebbe un nuovo fan ad aspettare, trepidante, il numero successivo. L’opening salvo di Ahmed & Jung è piuttosto un perfetto capitolo introduttivo per i novizi ed un ottimo ponte tra la gestione narrativa che ha posto le basi del personaggio ed il futuro di Kamala Khan, dal quale ci si aspetta maturità, estro creativo e colpi di scena che sappiano far discutere.

TRANSFORMERS #1 di Bryan Ruckley, Angel Hernandez e Cachét Whitman.

«Dar forma alla tua vita è tuo compito e di nessun altro. In questo percorso, nulla di ciò che sei è merito di chi ti ha preceduto. Tutto di ció che sei è dovuto a chi, dopo di te, cercherà la propria forma. Niente di ciò che sei dovrà limitare ciò che essi, a loro volta, potranno essere e diventare.»

Le parole dello scrittore – rivoluzionario Termagax aprono il #1 Transformers, il primo dopo quasi sette anni. Di questo misterioso autore non si sa quasi nulla e, per questo motivo, le parole dello scrittore Bryan Ruckley possono essere lette come una dedica a chi, prima di lui, ha modellato l’universo degli Autobot e dei Decepticon. Prendere in consegna una franchise imponente come Transformers equivale a caricarsi di una enorme responsabilità. Significa essere narratore di un universo narrativo con una fanbase agguerrita, appassionata e vibrante, in tutte le sue sfaccettature, negative o positive che siano. Ruckley lo sa bene e, pagato tributo a John Barber e James Roberts, autori prima di lui, decide quindi di dar forma alla sua vita con questo Transformers #1.

Il reboot è totale e comincia in maniera radicalmente opposta all’esordio degli stessi Barber e Roberts del 2012. Cybertron è qui restaurato alla forma originale, bellissimo, capace di stupire. A tenere la mano del giovanissimo Rumble – quasi una rappresentazione del nuovo lettore – c’è Bumblebee, un fan favorite scelto non a caso.  I colori vibranti, che spaziano dall’arancio del tramonto al blu della notte Cybertroniana, sono adatti all’atmosfera sci-fi ed aliena, merito del lavoro Joana Lafuente e di Angel Hernandez, che interpretano al meglio questa sezione dell’albo. I discorsi tra Bumblebee e l’entusiasta Rumble sono un utile maniera per snocciolare informazioni e creare legami tra due personaggi principali. Il disegno è semplice, fatto di linee precise e geometriche, blocchi che si incastrano (come parti di giocattoli) a formare protagonisti colorati, che saltano fuori dalla pagina a contrasto delle linee morbide dell’ambientazione.

Più rigida, austera e fredda la città, teatro di una seconda parte del fumetto. La comunità è più viva che mai e Ruckley ha a disposizione una tabula rasa che nessuno ha potuto sfruttare sin dal #1 di Transformers: Infiltration del 2008.

La continuity nasce sotto i nostri occhi, con il potenziale per nuove occasioni, slegate dalle formule che hanno dominato le trame negli ultimi anni. Senza la divisione tra Autobot e Decepticon, Bryan Ruckley può giocare con le zone d’ombra e proporci confronti inediti. Questa sezione dell’albo segna il punto d’inizio delle trame politiche della serie ed è meticolosamente illustrato da Cachét Whitman; uno stile più realistico, se così si può definirlo, rispetto alle ultime serie, ma comunque vicino alla tradizione cartoonesca dei personaggi.

Il tumulto degli Ascenticon, ispirati dalle parole di Termagax e fomentato dal sostegno  del problematico Megatron, sta causando parecchi grattacapi al Senatore Orion Pax (quello che in futuro diventerà Optimus Prime). Il confronto tra le due forze principali del conflitto è il punto più alto del numero, uno scontro tra personalità forti, in aperto dissenso, ma che vogliono dare ancora una possibilità alla diplomazia e al confronto.

C’è la sensazione che, dietro questo primo  dialogo tra i due, Ruckley nasconda più strati di interpretazione ed un intero sistema di governo, storia e politica venga tenuto volutamente nell’ombra dall’autore. Il cliffhanger scelto da Ruckley chiude un albo di debutto che – come The Magnificent Ms. Marvel – manca del “passo in più” per rendere la lettura imperdibile. Tuttavia, per i fan della serie e dei personaggi, l’occasione di un nuovo #1 si è fatta aspettare decisamente troppo per ignorarla.

Ruckley, Hernandez e Whitman costruiscono, da zero, un nuovo Cybertron da esplorare, con volti nuovi a dare il senso di familiarità al lettore ed una rivoluzione in seno al pianeta pronta a deflagrare.

Gufu’s Version

WONDER TWINS #2 di Mark Russell e Stephen Byrne

Jayna e Zan di Exxor, meglio noti come i Wonder Twins, sono due personaggi fortemente radicati nell’iconografia pop statunitense, legati perlopiù all’immaginario del pubblico 30-40enne cresciuto con i Superfriends nel periodo d’oro dei Saturday-morning Cartoons della ABC: un rito collettivo che ha accomunato centinaia di migliaia di ragazzini e adolescenti negli anni ‘70 e ‘80.
Russell e Byrne attingono a questo immaginario, facendo leva sul fattore nostalgia, utilizzando la popolarità dei personaggi a mo di grimaldello per “entrare in confidenza” con il lettore per poi colpirlo con la loro satira.
Dietro l’apparentemente innocuo aspetto del fumetto sbarazzino per teen-ager e dell’impostazione tipica da sit-com, con i due improbabili protagonisti dalle caratteristiche contrastanti e le dinamiche che hanno fatto le fortune di prodotti come “Two and a half men”, si cela infatti la ormai riconoscibile cifra stilistica di Mark Russell: una sottile e arguta critica sociale e politica raccontata con una gestione calibrata dei tempi comici e l’uso di dialoghi sferzanti e particolarmente divertenti.
Come già fatto su The Flintstones, Russell utilizza un registro leggero e iperbolico per parlare di temi difficili e particolarmente spinosi riuscendo a fornire al lettore degli spunti di riflessione senza risultare didascalico o pedante.
Questo registro viene promosso dallo stile in bilico tra il realistico e il cartoonesco di Stephen Byrne, particolarmente attento al linguaggio del corpo e all’espressività dei volti, capace di enfatizzare la narrazione di Russell senza sminuirne i contenuti.
In questo secondo numero la satira dei due autori prende di mira il sistema penitenziario: agli occhi di questi “immigrati da una civiltà più evoluta della nostra” lo stesso concetto di carcere risulta inconcepibile (mettendo metafumettisticamente in discussione anche il tormentone dell’eroe che sbatte il villain in carcere per poi inseguirlo di nuovo quando evade) ma soprattutto vengono evidenziate tutte le contraddizioni dell’attuale sistema penale USA.
Un sistema fatto di carceri private che puntano più al profitto che non alla riabilitazione o alla giustizia, dove i detenuti sono gestiti come risorse e la sicurezza degli stessi, e della pena che devono scontare, risulta assolutamente secondaria. Si tratta di un tema al centro di un acceso dibattito politico negli Stati Uniti attuali, soprattutto alla luce dei finanziamenti (si parla oltre 5 milioni di dollari sborsati da società come CoreCivic e Geo Group che profittano da questo sistema) alle campagne elettorali per le elezioni presidenziali del 2016.
Gli autori non si limitano alla semplice riflessione sociale ma riescono a rendere i lettori partecipi di un dramma tramite la figura comica e tragica di Baron Nightblood, meglio noto con il meno edificante soprannome di Drunkula, il vampiro alcolista: una vicenda che, nel giro di poche pagine riesce a divertire il lettore per poi colpirlo violentemente allo stomaco.
My two cents: Russell e Byrne potrebbero essere i degni successori del trio Giffen/DeMatteis/Maguire in un’eventuale ritorno della Justice League International.

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