Retromania80 / Quel gran pezzo dell’Ubalda – Daredevil di Frank Miller

In occasione del festival Retromania80 del prossimo 19 agosto 2017 a Grottammare (AP), Dimensione Fumetto allestirà una mostra dedicata alle tavole dei fumetti Marvel Comics anni ’80 corredate da una serie di approfondimenti speciali sul fumetto statunitense post-pop art, un periodo caratterizzato da una forte politica di rinnovamento del linguaggio grafico e narrativo.

In questo secondo articolo: torna Quel gran pezzo dell’Ubalda, la rubrica di critica fumettistica dedicata all’analisi di singole pagine di straordinario valore: stavolta è il turno di Daredevil di Frank Miller, ampiamente riconosciuto fra i massimi esiti del fumetto statunitense.

I precedenti articoli di questa rubrica sono consultabili a questo link.


Nei fumetti non puoi sprecare il tempo. I fumetti esistono nel tempo. Il lettore si sposta nel tempo. Non è un lavoro da galleria, quindi devi sapere produrlo splendidamente perché è lì che i fumetti traggono la propria energia. Questo li rende sexy. Questo li rende divertenti. Che non rallentano, nel senso artistico. Tutto è narrativa. Quello che è fatto a mano nei fumetti è una cosa che i film non toccano. Per tanto tempo abbiamo pensato di essere il nipote bastardo e minorato dei media, ci eravamo scordati che in alcune cose siamo meglio di loro. E poi, sì, certo, i film sono meglio per un sacco di cose. I film sono molto più potenti. I film controllano il ritmo. Un fumettista deve essere molto furbo per rallentarli. Un regista deve solo lasciare la cinepresa dov’è per molto tempo. Sono degli insiemi diversi di virtù e debolezze. Quindi, sì, prima volevo fare i fumetti più come il cinema, adesso vorrei farli meno come il cinema.
(Frank Miller)

Il tempo e la capacità del lettore di colmare lo spazio bianco tra vignetta e vignetta sono l’aspetto più importante del medium fumetto: il fumetto, non disponendo di un discorso che si dipana nel tempo, lo fa dipanare nello spazio, inquadratura dopo inquadratura, ma chiede al lettore di far passare il tempo mentre passa da un’inquadratura a un’altra. Frank Miller, in questo senso, negli anni ’80 è stato un innovatore, divertendosi ad accelerare e dilatare il tempo a piacimento attraverso la composizione della tavola o elementi cari allo scrittore, come la ripetizione martellante di uno stesso disegno in più tavole per rappresentare lo scorrere del tempo.

Il Pezzo dell’Ubalda di cui ho scelto di parlarvi è tratto da L’ultima mano, Daredevil #181, dell’Aprile del 1982, culmine del ciclo milleriano che farà la fortuna di autore e personaggio e in cui Miller prende un personaggio carino, che i più generosi avrebbero definito di serie B, che lui stesso chiama lo «Spiderman dei poveri», e lo innalza nell’Olimpo del fumetto mondiale.

Miller introduce Elektra nel primo numero della sua gestione di Daredevil. Il tutto partiva da un’analisi dell’autore statunitense il quale intendeva sdoganare il cliché del supereroe che si lega sentimentalmente a ragazze “normali”. Miller si chiede: come mai i supereroi non sono teatrali nell’amore, tanto quanto lo sono nelle loro lotte? Pertanto Daredevil aveva bisogno di un amore degno di lui, della sua passione e della sua fisicità. Miller rapisce Elektra dal mito greco e dalla psicanalisi di Freud e la inserisce tra le pieghe del fumetto. Si tratta di analizzare la sessualità tra supereroi.

Per creare la ninja amata da Matt Murdock, Miller mischia la modella Lisa Lyon, una bodybuilder professionista già musa del fotografo Robert Mapplethorpe, e Katherine Hepburne, i cui zigomi alti ispirarono l’inchiostratore Klaus Janson. Elektra incarnava un primo tentativo di slegarsi e sdoganarsi dai cliché delle donne di Stan Lee, biondine accondiscendenti e subordinate spesso alla figura maschile, proponendo prima con Elektra e successivamente con la Carrie Kelly o la Wonder Woman del mondo de Il ritorno del Cavaliere Oscuro, la Marta Washington di Give My Liberty o la Nancy Callahan di Sin City, una rappresentazione della figura femminile forte, molto importante in un periodo storico in cui le donne avevano ruoli minori nel fumetto.

Prima di cominciare l’analisi di questo Pezzo dell’Ubalda, è necessario sapere che nei numeri precedenti Kingpin ha deciso di affidarsi a un nuovo killer nel mentre Bullseye è in prigione a causa di Devil, ovvero la mortale ex ninja Elektra. Bullseye riuscirà a sfuggire di prigione sfruttando la mancata attenzione delle guardie durante un’intervista televisiva nel penitenziario di Rykers Island, quindi sfruttando l’interesse morboso dei media verso la spettacolarizzazione per assassini e criminali (elemento che Miller riuserà nell’evasione del Joker ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro), e disonorato per l’essere stato rimpiazzato da Kingpin, punterà a eliminare la rivale, la quale ha il compito di ammazzare Foggy Nelson. Durante il tentativo di omicidio da parte dell’ex ninja greca, Foggy riconosce nell’assassina il volto dell’amore giovanile al college dell’amico Matt e questo fa rinsavire la donna, rappresentando il momento di pentimento per Elektra e un punto di non ritorno per il personaggio.

Tavola di "Daredevil" di Frank Miller.

La composizione della tavola è costituita da una vignetta incastonata in uno sfondo bianco a sinistra, caratterizzata da un’enorme verticalità e un insieme di 8 vignette più piccole collocate sulla destra, di grandezza variabile. Grazie a questa successione in principio il lettore viene spinto a focalizzarsi sul colpo mortale di Bullseye a Elektra, in quanto la scena viene isolata e caricata di tensione.

L’ultimo atto della saga di Elektra doveva coinvolgere Bullseye, doveva essere uccisa crudelmente e freddamente dal peggior nemico di Daredevil, perché come ci insegnano capisaldi del fumetto come La notte in cui morì Gwen Stacy, questo è il massimo dell’umiliazione per l’eroe. Oltre l’iconica immagine del sai che trafigge il torace di Elektra, Miller inserisce un simbolismo ben preciso: è uno stupro e un omicidio in un giornalino dei supereroi.

L’occhio segue il tragico tentativo di una Elektra ferita di sfuggire alla morte, con Miller che gioca a dilatare e accelerare a piacimento il tempo. Elektra affronta una sorta di trasfigurazione cristologica (trasfigurazione che rivedremo, sempre con Miller, con il personaggio di Matt Murdock in Born Again), in cui la bella greca si trova a percorrere una personale salita al Calvario, derisa e sanguinante, che incespica, cade e si rialza nel totale disinteresse di tutti i cittadini di New York. Il mutismo dell’intera scena accresce il patos e isola Elektra dal mondo intero.

Elektra, come una preda ferita, prosegue verso il suo amore, cercando di completare il connubio tra Eros e Thanatos.

Tavola di "Daredevil" di Frank Miller.

Nella pagina successiva, la tavola è composta da un’alternanza di due vignette orizzontali, cinque vignette verticali e infine l’ultima ancora orizzontale. La composizione della tavola guida il lettore negli ultimi attimi di vita di Elektra, che, con le ultime forze, arriva alla porta del suo amore, l’avvocato cieco Matt Murdock. La gente assiste alla scena, indica, ma ancora rimane distante e disinteressata. Nella vignetta successiva Matt apre la porta e trova la donna che ama ai suoi piedi mentre Elektra ha la forza di sussurrare un ultimo «Matt…», unico baloon di dialogo in queste due pagine pregne di storytelling.

Miller allora sfrutta la verticalità delle 5 vignette centrali per imprimere una improvvisa dilatazione all’azione: Matt si rende ora conto, grazie ai sensi, del triste incubo che sta vivendo, il suo sguardo è fisso e una bocca sibillinamente aperta quasi lo tradisce. Egli è un semplice avvocato e deve mantenere le apparenze, ma il dolore travalica qualsiasi resistenza e lo spinge ad abbracciare il corpo immobile dell’amata. Il connubio tra Eros e Thanatos si è compiuto. I due amanti che non sono riusciti a essere uniti nella vita, si riuniscono in  un abbraccio quasi eterno e reso tale dalla ripetizione del gesto da punti di vista differenti.

Il dolore non traspare mai dal volto di pietra di Matt Murdock, ma diventa visibilmente esplicito su quello dei passanti, coloro che possono vedere realmente la scena, a differenza dell’eroe, tutti in penombra, tranne uno. Miller gli fa accendere una sigaretta, come nel primissimo esordio di Kingpin tra le pagine della sua gestione di Devil: la fiamma illumina il volto di quello che riconosciamo essere Bullseye.

L’ultima vignetta è estremamente carica di forza e patos. La tragedia si è compiuta e il triangolo tra Bullseye-Elektra-Daredevil, fatto di vita e morte si chiude, con Bullseye che ora è più che certo che l’avvocato cieco di Hell’s Kitchen sia proprio Daredevil. C’è un solo epilogo possibile ed è lo scontro tra le due forze di Bene e Male, in un eterno valzer che non avrà mai fine (come vedremo nella storia del ciclo chiamata Roulette).

In queste pagine c’è l’essenza della potenza del fumetto: vi invito a procurarvi l’intero ciclo di Frank Miller sul personaggio del ’79, perché qui si è fatta la storia del medium. E il personaggio di Elektra?

Frank Miller ha deciso di ritornare sull’argomento nell’incontro presso il Teatro del Giglio, in relazione all’ultimo Lucca Comics & Games.

Quando ho creato Elektra, io volevo solo cavarmela e riuscire a fare un personaggio che fosse interessante e pensate che è il primo incarico che ho avuto come sceneggiatore di una serie e sono stato colpito dal fatto che quel personaggio fosse diventato addirittura più famoso del protagonista della serie, di Devil. La storia stessa che stavo raccontando chiedeva che questo personaggio venisse ucciso a un certo punto perché non c’era altro modo sincero e onesto per portare avanti la storia senza ucciderla; nonostante le resistenze e le opposizioni dell’editor sono però riuscito a fare la cosa che pensavo fosse più giusta. Poi c’è stato naturalmente questo clamore da parte dei lettori dove tutti chiedevano che lei fosse riportata in vita e allora l’ho fatta tornare in vita. Quando però ho lavorato su Elektra Vive Ancora ho fatto apposta quella storia perché lei morisse di nuovo, perché fosse uccisa di nuovo e rimanesse morta. E COSA FA LA MARVEL? LEI È ANCORA QUI!
Ma in realtà quella non è Elektra è semplicemente qualcuno che le ha rubato il costume! Dovete sapere assolutamente che quella non è lei, è un altro personaggio ma non è lei.

Qui vi lasciamo fino al prossimo Pezzo dell’Ubalda, cari lettori e lettrici.


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