“Pericolo g(i)ender” ante-litteram: il caso Sailor Moon

Guardare certi cartoni animati può avere influenza sull’orientamento sessuale di un bimbo? Oggi come allora molte persone ritengono di sì… ma avranno ragione? Uno psicologo analizza il celebre caso di Sailor Moon.

Abbiamo chiesto al nostro più recente collaboratore, che guarda caso è uno psicologo, un’analisi sulle famigerate esternazioni della sua collega Vera Slepoj del 1997 sul tema: Sailor Moon rende i bimbi omosessuali.


Erano gli anni ’90 e il mio giovane immaginario erotico di preadolescente si colorava con le minigonne delle combattenti di Sailor Moon. Quel cartone, la cui visione mi creava un imbarazzo che all’epoca attribuivo ingenuamente al suo essere “da femmina”, ha indubbiamente avuto il suo bel ruolo nel farmi apprezzare, oggi, donne dalla spiccata intelligenza (Sailor Mercury), dal carattere focoso (Sailor Mars), determinate e indipendenti (Sailor Jupiter).

Sailor Moon

Certo, prima mi crei un plot con molte potenzialità innovative e poi me lo banalizzi subito dopo ripetendo troppo spesso la stessa struttura narrativa: l’eroina viene attaccata, si difende, ma subito perde, poi interviene il Milord (maschio della situazione) che se non risolve direttamente tutto, crea almeno la chance all’eroina per sferrare l’attacco risolutivo (insomma la femmina pure quando protagonista, senza il maschio troppo lontano non va?). L’oggetto di questo articolo però non è una decostruzione femminista del cartone, quanto piuttosto una riflessione sulle critiche più o meno autorevoli dei tromboni di allora.

Mi metto in gioco, allora, in prima persona. La mia esperienza di quell’anime fu molto frammentaria e confusa, e solo oggi capisco che non è stata tutta colpa dell’ormone che si svegliava a ogni trasformazione.

Senza che io ne avessi la minima coscienza, tutto intorno a me c’era un mondo di pedagoghi, psicologi (la mia appartenenza alla stessa categoria professionale mi impedisce, per codice deontologico, di nominarli di persona ed esprimere la mia reazione, di pancia, a ciò che dissero all’epoca) e associazioni genitoriali che si scagliavano ora contro la televisione in sé, marchingegno diabolico, ora contro i suoi contenuti diseducativi.

Questi eroi della cultura occidentale riuscirono a compiere veri e propri miracoli di censura che avrebbero permesso loro (sconfitti dalla pratica malefica delle “4-5 ore davanti alla tivù” dei loro figli) una rivalsa almeno sui contenuti, finalmente depurati dalle deviazioni sociali. Così io e i miei ignari coetanei potevamo in tutta sicurezza restare lì a domandarci perché quel tale personaggio, così apparentemente maschio, avesse una voce da donna durante il cartone e una da maschio durante i riassunti delle puntate. Ecco che potevamo sanamente introiettare il nostrano e caro “tabù dell’omosessualità”, quel buco nero imperscrutabile presente nell’immaginario e nei discorsi della nostra cultura che, come i veri buchi neri, può essere osservato solo grazie alle distorsioni della luce intorno all’orizzonte degli eventi.

Sailor Stars Carddass Station

Se ci lasciassimo attirare in questo buco nero, potremmo finire in un ponte di Einstein-Rosen e viaggiare nel tempo, approdando istantaneamente nella fobia del “gender” di oggi. Vi trovo in effetti una continuità. Cambiano le forme, le parole, ma non i contenuti e le modalità. Leggo negli articoli di allora che la potenziale identificazione del giovane maschietto con le guerriere Sailor avrebbe potuto indurre un «rischio di omosessualità», e non posso che sorridere al constatare che in questo ragionamento non si contempla nemmeno l’esistenza di giovani femminucce desiderose di identificarsi in eroi donne: un atto mancato interessante che non possiamo tralasciare, visto che chi lo faceva chiamava in causa la psicoanalisi. Le suddette parole le ho virgolettate perché citano letteralmente la fonte, le ho riportate perché sono una forma verbale che è tutto un programma: l’omosessualità è un rischio, come il “rischio tossicodipendenza” o il “rischio tumore”. Ma d’altra parte è solo nel 1990 che l’OMS ha assorbito e istituzionalizzato le numerose ricerche che disconfermavano l’idea che i comportamenti omosessuali fossero una deviazione dalla normalità eterosessuale.

Purtroppo per Sailor Moon (o meglio: per Sailor Uranus e Sailor Neptune e per le Sailor Starlight, queste ultime addirittura cambiate di sesso), lei e i suoi fan sono finiti nel bel mezzo del braccio di ferro ideologico di quegli anni sicuramente “caldi” per quel tema. Posso provare a immaginare cosa accadrebbe se quel prodotto fosse edito oggi, ma forse non ho nemmeno bisogno di immaginarlo, basta guardarsi intorno. D’altronde non abbiamo visto proprio di recente che molti paesi hanno cominciato a riconoscere i diritti degli omosessuali? Per fortuna oggi posso dire che molti miei colleghi svolgono un monitoraggio giudizioso e si impegnano a una corretta informazione (anche attraverso comunicati ufficiali degli ordini regionali) per dare una risposta razionale alle psicosi da teoria del complotto.

Dal canto mio posso dire che, in barba ai miei colleghi psicologi di allora, le influenze delle eroine con la marinaretta, se ci sono state, non hanno messo “a rischio” la mia sessualità e semmai hanno contribuito ad arricchirne felicemente l’immaginario.

Sailor Stars Music Collection

Avviandomi alla conclusione, Sailor Moon non è certo esente da difetti, ma se si vuol fare una critica a un’opera artistica (specialmente se fatta usando le categorie della psicologia) si può entrare nel merito della sua struttura interna (archetipi, narrazioni, stilemi, linguaggio, etc…), ma non delle sue “influenze sul pubblico”.

Con buona pace delle peggiori paure di Orwell (che a sua volta fu giocato da una imprevedibile macchina di stampa difettosa che cambiò il finale di 1984), predicare che attraverso un qualunque medium si possa “lavare il cervello” di un essere umano, e indurlo a diventare questo o pensare quello, io ritengo significhi piuttosto desiderare che sia così. Perché non ci sono evidenze di nessun tipo per le quali l’essere umano (preso singolarmente o a gruppi) sia manipolabile a piacimento, mentre ce ne sono molte che pongono un limite a questa fantasia di onnipotenza.

Con questo non voglio negare che esistano delle “aree di manipolabilità”: lo vediamo tutti i giorni come si possa manipolare un media per trasmettere un messaggio anziché un altro. L’esempio l’ho fatto poco sopra quando ho riportato l’affermazione «rischio di omosessualità»: un insieme di parole che suggerisce al lettore in maniera implicita un sistema di valori, una interpretazione precisa del contesto. Un lettore superficiale potrebbe anche colludere con questa interpretazione e accettare l’idea che l’omosessualità sia un rischio, potrebbe pensare che sia giusto averne paura, magari anche odiarla. Ma dubito che tutto ciò basterebbe a farlo “diventare eterosessuale”. Semmai potrebbe temere e odiare i propri sentimenti di affetto verso altri uomini, i propri pensieri “non maschi”, i propri tratti di identificazione con la madre.

Ciò che hai manipolato (tentato di manipolare) è il media, il contenuto della comunicazione e non l’interlocutore. Ci sono troppe variabili in gioco.

Piacerebbe, forse, a qualcuno di questi individui spaventati che esistesse la possibilità di indurre (e in definitiva di controllare) l’omosessualità: se così fosse, sarebbe reversibile. Magari con qualche tecnica ortopedica. Magari erogata da qualche professionista. Magari pagando.

1 thought on ““Pericolo g(i)ender” ante-litteram: il caso Sailor Moon

  1. Che articolo gonfio di sterili parole inconcludenti.Esercizio di retorica fine a se stessa.
    Voglio solo ricordare il progetto MK-ultra e poi l’opera “idealismo pratico” di Kalergi in cui viene chiaramente esposto il concetto di manipolazione gender.

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