Il re leone, Scar e il queer coding dei cattivi Disney

Dimensione Fumetto dedica una settimana di analisi critica a Il re leone, uno dei franchise più importanti, famosi e definenti dei Walt Disney Studios.

In questo quinto e ultimo articolo: lo strano caso dei cattivi dei film Disney, che sembrano tutti curiosamente portatori di caratteristiche sessualmente ambigue.


Al di là di tutti i suoi difetti possibili immaginabili, c’è una caratteristica del remake 2019 di Jon Favreau de Il re leone che non può non saltare all’occhio anche dello spettatore più distratto: il personaggio di Scar è diverso, molto diverso, e non solo nell’aspetto fisico, ma proprio nell’atteggiamento e nel modo di muoversi (al netto del fatto che tutti i personaggi sono animali impagliati al confronto con le loro controparti del film del 1994).

Confronto fra "Il re leone" di Roger Allers e Rob Minkoff e da "Il re leone" di Jon Favreau.
Il vecchio Scar e il nuovo Scar. Non sono proprio proprio proprio uguali.

Il motivo di questo suo cambio di stile potrebbe essere dovuto alla rimozione dal personaggio di Scar del suo queer coding. Il che non è detto che sia una cosa inequivocabilmente brutta.

Tutto il resto del film invece fa serenamente schifo, sì.

 

Le caratteristiche del queer coding

Ma che cos’è il queer coding? Si tratta di una tecnica narrativa che consiste nell’attribuire una serie di caratteristiche fisiche e comportamentali a un personaggio di finzione, allo scopo di renderlo interpretabile come un omosessuale, un travestito, o più genericamente queer. Non si parla di “identificazione” come omosessuale, bensì di più ambigua “interpretazione”, ovvero si lascia alla discrezione dello spettatore decidere se quel personaggio è o non è queer: l’opera dal canto suo ha solo seminato degli indizi, o meglio, non ha smentito delle potenziali caratteristiche che avrebbero negato la componente queer del personaggio.

Di che caratteristiche si parla? Innanzitutto di caratteristiche molto stereotipate. Fra le molte possibili ci sono, ad esempio:

  • gestualità teatrale e femminea
  • aspetto appariscente e sontuoso (costumi sgargianti, colori vividi, make-up pesante…)
  • atteggiamento vanesio, altezzoso, passivo-aggressivo
  • assenza di partner e figli

Lo Scar del film Il re leone del 1994 spunta tutte queste caselle. Certo, non può indossare vestiti, ma muove il suo corpo come una vera diva, e non può truccarsi, ma pare che si metta ombretto, eyeliner e rossetto nero tutte le mattine (molto rock’n’roll). Nonostante la sua sessualità non sia mai messa in discussione, anzi non se ne parli proprio, lo spettatore coglie comunque che c’è “qualcosa” di poco virile in lui.

Fotogramma de "Il re leone" di Roger Allers e Rob Minkoff.
Scar si dimostra una perfetta drama queen fin dalla sua prima scena.

Questo avviene perché il queer coding punta ambiguamente all’interpretabilità di un personaggio attraverso caratteristiche stereotipate, e non all’inquadramento dello stesso come non-eterosessuale all’interno della storia.

Per quanto ne sappiamo Scar non ha figli né compagna perché è sterile. O repellente. O zio di tutte le altre leonesse. O forse non ha interesse verso le leonesse, ma verso i leoni. Non lo sapremo mai, ed è proprio questo il punto: incertezza invece di certezza.

Questa aura di ambiguità è proprio uno degli aspetti che conferiscono al personaggio di Scar la sua iconicità, ma non è una sua caratteristica esclusiva, anzi: sono parecchi i cattivi Disney a essere codificati come queer, in particolare quasi tutti gli antagonisti nelle storie basate su un conflitto diretto.

La categoria è così riconoscibile anche in altri media che vengono definiti anche come sissy villain (“cattivi effemminati”), proprio per sottolineare l’aspetto più femmineo e provocante della loro persona.

 

Quei cattivi un po’ così

Il primo esempio di queer coding in un film Disney potrebbe essere rintracciabile nel Principe Giovanni in Robin Hood: è vanitoso, insicuro, avido ed è un leone senza criniera. Quali sono i leoni senza criniera? Quelli castrati.

A sinistra, un eterno bambino incapace di tenere sulla testa la corona del vero re. A destra, Mufasa 1.0.

Probabilmente durante gli anni ’60 c’erano parecchi di leoni castrati in quei parchi di tortura chiamati zoo da cui gli animatori Disney potevano trarre informazioni.

Però sono stati gli anni ’90 a darci il podio indiscusso: Ursula, Scar e Ade.

Pronte sorelle a conquistare il mondo?

Ursula è basata sulla famosa drag queen Divine. È aggressivamente sensuale (ha i tentacoli ed è tutto dire) melodrammatica, usa un trucco pesante e ottiene ciò che desidera con l’inganno.

Scar è effeminatissimo, decadente, disinteressato alle femmine, con la criniera nera corvina e gli occhi chiari come una star della Hollywood dei tempi d’oro.

Ade è passivo-aggressivo, arrogante, beve da bicchierini da cocktail, discute con Megara su come gli uomini siano tutti maiali, e ottiene ciò che vuole con l’inganno.

Questo podio sappresenta però solo la punta dell’iceberg: rientrano chiaramente nel queer coding anche molti altri personaggi come il visir Jafar da Aladdin e il governatore Ratcliffe da Pocahontas: tutti affettati, vanitosi, avidi, amanti del potere, altezzosi e circondati da animaletti. Eppure, costoro difettano di una caratteristica fondamentale: non sono contrapposti a un campione di mascolinità.

 

L’archetipo del Re

Tritone, Mufasa e Zeus sono tre re. Tutti e tre sono imponenti e muscolosi, ma gentili ed equi (Tritone perlomeno lo diventa alla fine del film).

Lo sguardo calmo di chi sa di avere la situazione sempre sotto controllo. E di poter sedare qualsiasi rivolta a suon di schiaffoni.

Questi tre personaggi rispecchiano appieno l’archetipo del re di cui si discute nel libro King Warrior Magician Lover di Robert L. Moore e Douglas Gillette.

Copertina di "King, Warrior, Magician, Lover" di Robert L. Moore e Douglas Gillette.Il libro parla di come questi quattro archetipi maschili si ripresentino in tutte le mitologie e di come gli uomini abbiano bisogno di nuovi riti iniziatici per poterli incanalare, coltivare e divenire così adulti funzionali. Nello specifico l’archetipo del Re, che è la forma culminante degli altri tre, viene descritto come agente di Ordine e Prosperità. Il vero Re, sia del proprio dominio interiore che esterno, preserva l’ordine, l’equilibrio e lavora perché ciò sia fecondo e perché le persone sotto la sua sfera d influenza siano felici.

Il libro è citato in maniera esplicita nel remake de Il re leone attraverso una battuta di Mufasa che è presente anche in uno dei trailer:

Mentre gli altri cercano ciò che possono prendere, un vero re cerca ciò che può dare.

Si tratta di una lettura molto interessante, che sottolinea caratteristiche oggettivamente positive tradizionalmente attribuite alla mascolinità: tenacia, calma, modestia, responsabilità, gentilezza e autocontrollo.

Malgrado al tempo della scrittura del libro nel 1990 non esistesse ancora il termine mascolinità tossica, gli autori parlano di comportamenti aggressivi e molesti dei maschi come segni di uno scorretto sviluppo degli archetipi, di crescita interrotta. Il libro evita con molto garbo la questione dei maschi omosessuali, ma lascia intendere che siano archetipi che chiunque farebbe bene a sviluppare per divenire un adulto funzionale a prescindere dall’orientamento… ma non qui, non nel scintillante mondo dei film di Hollywood.

 

I cattivi queer coded come agenti di distruzione

Se i re di La sirenetta, Il re leone ed Hercules sono agenti maschili potenti, virili e portatori di ordine e prosperità, allora gli usurpatori devono per contrasto essere privi di energia maschile, sessualmente ambigui e portare disordine e decadenza nel cosmo.

In maniera letterale: Ursula e Ade diventano autentici dei della distruzione per i pochi minuti che tengono il potere nelle proprie mani.

Oppure in maniera simbolica: Scar difetta dell’energia maschile necessaria a riprodursi, infatti non riesce a farsi figli e compagna nemmeno nel suo lungo periodo da re, periodo durante il quale non solo le mandrie fuggono, ma la terra è colpita dalla siccità, perché è il suo re il primo a non essere fecondo.

Anche se è divertente l’idea che anche qui la causa sia letterale e che Scar sia bravo a far eruttare le fonti idrotermali a tempo di musica, ma molto scarso con l’attirare le piogge. Spiegherebbe perché gli erbivori esultino al battesimo di Simba: la stirpe dei re leoni può anche predarli, ma almeno tengono la terra fertile.

 

I cattivi queer coded minori

Sono quelli menzionati all’inizio, quelli che rispettano tutte le caratteristiche già menzionate, a parte quella di essere contrapposti a un sovrano forte e giusto.

Il principe Giovanni in Robin Hood. Il suo regno porta la fame in Inghilterra, non per mezzi magici, ma attraverso le tasse e la giustizia sommaria. Il re a cui ha sottratto il trono è un leone robusto e dalla folta criniera, ma compare solo verso la fine per pochi secondi, come deus ex machina che risolve il conflitto maggiore della storia. Lo spettatore non ha tempo di apprezzare la differenza fra i due.

Invece il re a cui Jafar vuole togliere il trono è presente, ma non è un uomo forte e giusto, bensì un bambinone stupido, e il suo dominio non è né ordinato né prospero. È una società iniqua nel mezzo del deserto dove ti tagliano la mano per aver rubato una mela. Probabilmente agli abitanti di Agrabah non sarebbe mai importato niente di avere Jafar invece del sultano sul trono.

Quanto a Ratcliffe in Pocahontas… beh, il suo personaggio soffre tantissimo di essere nel film più imbarazzante e offensivo della Disney dai tempi di Dumbo.

È inoltre possibile trovare queer coding più o meno pronunciato in numerosi altri film Classici Disney: sembrano più o meno codificati la regina Grimilde e la strega Malefica, non a caso diventate icone per le drag queen, oppure Crudelia DeMon graficamente bipolare, o Clayton così attento al suo look, o ancora Pleakley che si trova a suo agio a vestirsi da donna e indossare la parrucca.

Sopra a tutti, però, il professor Rattigan di Basil l’investigatopo è sicuramente il personaggio più esplicitamente violento ed esplicitamente effeminato della storia della Disney, si muove e atteggia come una primadonna, abita in un covo arredato con tende di raso rosa, gioielli e fontane di champagne rosé, suona l’arpa, ha come animale domestico una gatta di nome Lucrezia, e arriva a incidere apposta una canzone d’addio in cui esprime il suo amore per il protagonista.

Fotogramma da "Basil l'investigatopo" di Ron Clements e John Musker.
Dandy decadente e raffinato, genio del crimine, sorcio di fogna.

 

Un cattivo queer coded recente

I cattivi queer coded non sono un’esclusiva dei vecchi film Disney, anzi: il film Ralph Spaccatutto del 2012 ad esempio presenta un esempio da manuale. Trattandosi però di un cattivo a sorpresa che viene rivelato dopo la metà del film, si consiglia di saltate il paragrafo per evitare spoiler a chi non ha visto il film.

Sempre gaio e rubicondo, conciato come un nobile francese con cipria e merletti e residente in un castello completamente glitterato e tinto di rosa, anzi salmone come ci tiene a specificare, Re Candito si rivela un cattivo molto efficace, perché ha già conquistato il proprio cosmo, cioè il gioco di Sugar Rush. È comunque penalizzato dal fatto di essere un cattivo a sorpresa, di aver avuto un’azione corruttiva minima, dall’aver rivaleggiato non con un sovrano grande ed austero bensì con una principessa preadolescente, e soprattutto dal fatto che la minaccia che rischia di distruggere il cosmo di Sugar Rush non è nemmeno lui, ma il mob di un altro gioco portato per errore da Ralph.

 

Perché esistono

I queer coded o sissy villain non si limitano certo ai film Disney e abbondano in tutte le storie d’azione basati su una lotta non equivoca fra bene e male. Sono un metodo efficacie per canalizzare le ansie maschili che si hanno nel non-confronto con la propria componente femminile, o omosessuale.

Ansie che non dovrebbero esserci perché a ogni persona dovrebbe essere consentito di esplorare tutti gli aspetti del proprio essere senza il rischio di subire vergogna e giudizio, ma che ci possiamo fare: società patriarcale, anche se in King Warrior Magician Lover gli scrittori suggeriscono il termine società pueriarcale, da “puer”, “ragazzo” in latino, cioè dominio di uomini che però si comportano nella maniera aggressiva, reattiva ed egoistica dei ragazzini.

Quando gli eroi sono agenti di conservazione che mantengono l’ordine lasciato dai propri padri, reali o simbolici, è molto calzante inserire un cattivo che invece contraddice l’ordine patriarcale e sottolinea le proprie intenzioni con un comportamento femmineo e sensuale.

 

Perché li amiamo

Malgrado tutto, i sissy villain sono i personaggi più carismatici, più degli eroi, e lo sono indipendentemente che in fase di sceneggiatura il queer coding sia stato deciso in maniera esplicita o meno. Il loro fascino deriva prima di tutto dal fatto che il loro atteggiamento sopra le righe li rende originali, affascinanti, divertenti. Hanno le battute più brillanti.

Lo spettatore e la spettatrice possono identificarsi con loro e trovarli più belli e sensuali rispetto al resto dei personaggi, che invece ricadono categorie di bellezza maschili e femminili più convenzionali, come ci ha dimostrato il fandom infinitamente superiore di Loki rispetto al fratello Thor nei film della Marvel.

Loki nella mitologia norrena è un dio sessualmente fluido. Ovviamente al tempo dei vichinghi era usato come paragone negativo. Oggi le cose sono cambiate.

In secondo luogo, è perché sono i personaggi che iniziano la storia in svantaggio rispetto agli altri, coloro che devono conseguire i loro scopi attraverso astuzia e ingegno, non attraverso la forza bruta. Sono gli underdog, e tutti amano gli underdog.

In terzo luogo, è il loro stesso essere agenti eversivi che li rende interessanti. Magari il cosmo dei film Disney è sempre una realtà prospera ed equilibrata che non va alterata, ma lo si può dire anche per il mondo reale? Non è forse frustrante che ogni storia morale debba concludersi con il ripristino dell’ordine preesistente? L’umanità è fatta per andare avanti o restare immobile? In altre parole, l’azione distruttiva del cattivo queer coded arriva ad avere una connotazione di conflitto generazionale il che gli dona una profondità e una identificabilità da parte del pubblico spesso ben superiori a quelle che si possono ritrovare nel protagonista buono.

 

Sono pur sempre immorali

Se questi elementi li possono rendere personaggi iconici e molto amati, rimane però il problema che sono personaggi negativi. Non solo negativi, ma caricati di tutti i vizi che vengono attribuiti agli omosessuali: codardia, perfidia, egocentrismo, manipolazione.

Quindi, la comunità queer deve sentirsi onorata di essere rappresentata da personaggi così brillanti e competenti (molto più rispetto ai protagonisti), oppure rifiutare questa associazione fra omosessualità e mancanza d’etica?

È davvero difficile dare una risposta.

 

Il dubbio finale

Scar nel remake de Il re leone non è più un sissy villain e perde tutto quel fascino che aveva nel film del 1994. Fra le possibili motivazioni di questo cambio caratteriale ci sono sicuramente anche le costrizioni anatomiche dei leoni reali, che non consentono le movenze fluide e articolate dell’originale.

Il primo dialogo fra Mufasa e Scar nei due film. Nel primo caso abbiamo le personificazioni delle forze dell’ordine e del caos a confronto. Nel secondo invece due leoni leggermente diversi che si guardano. Finisci quasi per tifare per quello più magro e debole.

Di certo non per una presa di posizione sulla rappresentazione corretta della comunità queer. Ora è un leone leggermente più magro di Mufasa, che non viene più annichilito dalla sua imponenza. In uno scontro diretto fra i due avrebbe la peggio, ma Mufasa non ne uscirebbe incolume. Non pare più un gattone debole e lagnoso, ma una bestia feroce e poderosa al pari di tutti gli altri.

Non l’aspetto visivo in sé, quindi, ma la perdita di queer coding in seguito al restyling ha avuto come effetto positivo il fatto che ora è davvero possibile prendere sul serio la lotta fra Scar e Simba. Due leoni zannuti che cercano di strapparsi la giugulare a vicenda, non un maschio beta e un mangiatore di insetti che si prendono a schiaffi in slow motion.

Anche se fa perdere fascino al singolo personaggo, ai fini della drammaticità e credibilità del film la cancellazione del queer coding si rivela una mossa positiva. Lo Scar originale rimarrà iconico come tutto il film a cui appartiene, ma la sua versione non più queer-codificata nel remake è forse uno dei pochi aspetti positivi di quel film?

Il re leone (1994) • L’arco di trasformazione • Il re leone (2019) • Il musical • Il queer coding ]

Riccardo Leone

Artista e blogger appassionato di animazione. Puntiglioso sulle questioni di genere, ma è la strada per mandare avanti la narrativa mondiale.

2 pensieri riguardo “Il re leone, Scar e il queer coding dei cattivi Disney

  • 15 Dicembre 2019 in 12:30
    Permalink

    Non sono d’accordo sul fatto che la triade Giovanni/Jafar/Ratcliffe non sia contrapposta a un archetipo bello e virile. Le loro controparti non sono il sultano o re Riccardo, ma Robin Hood, Aladdin e John Smith, che anziché il sovrano possente e inflessibile rappresentano delle giovani canaglie buone e affascinanti, che non rispettano l’ingiusta autorità e cercano di far fuggire la loro amata dalle loro catene (il promesso sposo di Pocahontas, le avanche di Jafar per Jasmine ecc.) per portarle verso nuove avventure.
    Aggiungerei nel discorso anche Frollo, la cui controparte non è il gobbo di Notredame, ma il bellissimo Febo, che sebbene capitano delle guardie si rende conto della malvagità del suo datore di lavoro e parteggia per Esmeralda che si innamora di lui.

    Rispondi
    • 19 Dicembre 2019 in 9:40
      Permalink

      Hai detto una cosa giusta. Questi villain sono antagonisti di eroi che rappresentano la mascolinità giovanile ed eterosessuale, energica, intraprendente, e guidata da una solida morale.
      Però appunto, trattandosi di giovani, non offrono un confronto diretto con il villain, che invece è un adulto della stessa generazione del re. Il re in questo caso rappresenta l’incarnazione di tutto ciò che il villain non ha potuto essere.

      Rispondi

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