Gualtiero Cannarsi, nel di lui caso – Reazioni
A seguito del clamoroso caso Evaflix, DF torna a parlare del lavoro di Gualtiero Cannarsi, documentando stavolta le reazioni ai suoi adattamenti da parte del pubblico, degli animefan e degli specialisti.
Attenzione: l’articolo si occupa del lavoro di adattamento svolto da Gualtiero Cannarsi per le varie società con cui collabora. Le opinioni riportate in questo articolo sono personali dell’autore e non coincidono necessariamente con quelle di Dimensione Fumetto.
Si specifica inoltre che le critiche sono intese solo con finalità costruttive e riferite solo all’attività professionale di adattamento: in nessun caso si vuole attaccare a livello personale Gualtiero Cannarsi, che l’autore dell’articolo non conosce.
Coloro che sono interessati a commentare l’articolo sono gentilmente invitati a farlo qui sulla pagina di Dimensione Fumetto e non su social o forum esterni, così da poter istituire un dialogo costruttivo: lo scopo dell’articolo non è e non vuole essere un’aggressione né all’operato né tantomeno alla persona di Cannarsi, ma un tentativo di ragionamento informato sul lavoro svolto.
L’autore è a completa disposizione per discutere eventuali correzioni e rettifiche al testo.
Tutte le citazioni sia scritte sia parlate sono state rigorosamente riportate senza alterazioni.
[ Introduzione • Metodo • Titoli • Dialoghi • Canzoni | Reazioni ]
13 dicembre 2018
Questo sito ha pubblicato il giorno 13 dicembre 2018 un articolo intitolato Gualtiero Cannarsi, nel di lui caso – Introduzione, primo di una serie di cinque, in cui si analizzavano gli adattamenti italiani dei film dello Studio Ghibli distribuiti in Italia da Lucky Red a cura di Gualtiero Cannarsi. Gli articoli hanno avuto una risonanza superiore a qualunque aspettativa, contribuendo alla riapertura del dibattito sugli adattamenti italiani dei prodotti di animazione giapponese.
Questo sito non è una comune pagina web su fumetti e animazione: è l’organo di stampa ufficiale dell’Associazione Culturale Dimensione Fumetto, che dal 1994 ha fra i suoi scopi statutari la diffusione della cultura del fumetto.
Questo sito, come la rivista cartacea che l’ha preceduto e di cui rappresenta la versione digitale, si occupa di critica, promozione e divulgazione culturale. Non è quindi una testata giornalistica, non è un magazine on-line, non è un blog privato e non è un sito di all news. Non ha nemmeno pubblicità, nessuno sponsor e non è aggiornato a ritmo regolare.
Questo sito si propone di diffondere la cultura del fumetto. Dimensione Fumetto opera attraverso collaboratori provenienti dagli ambiti più disparati, i quali pubblicano articoli che si occupano di argomenti scientifici, interviste ad altri divulgatori culturali, recensioni di opere pubblicate da piccole case editrici, letture di singole tavole attraverso gli strumenti della critica letteraria e della critica artistica, conversazioni su quello che c’è oltre il fumetto, analisi comparate con altre discipline e altro ancora, oltre a offrire sostegno a progetti sperimentali e indipendenti, a istituire nelle scuole dell’obbligo programmi didattici di analisi, produzione ed educazione al fumetto, a organizzare eventi e concorsi artistici, e in generale cercando di affrontare l’arte del fumetto con lo stesso rigore con cui si devono affrontare tutte le arti: con studio e approfondimento.
Questo sito ha pubblicato i cinque articoli succitati all’interno di questo contesto puramente divulgativo. Tre anni fa DF aveva già pubblicato un altro articolo che tracciava una cronistoria generale degli adattamenti di anime in Italia nel periodo anni Novanta – anni Duemila, e conteneva anche alcune blandissime critiche all’operato di Cannarsi, il quale ha poi definito l’articolista come
[una] person[a che vuole] avere qualcosa da dire, qualcosa con cui apparire espert[a] e darsi un tono. Nulla è meglio di una scemenza molto gridata, per attaccarcisi ancora a grappolo, e ciarlare, e ciarlare senza sapere. […] Facendo cose simili le persone dimostrano solo la loro stupidaggine, secondo me. ^^
senza avere nemmeno quel rispetto minimo indispensabile che consiste nel rispondere direttamente alle critiche sulla pagina in questione, preferendo invece andare a farlo altrove, per la precisione in un forum rivolto solo ai propri utenti e non al pubblico generalista come invece è questo sito, scrivendo a ruota libera alle spalle dell’articolista.
17 dicembre 2018
Lo stesso è successo con i cinque articoli. Dopo una iniziale, apparente apertura al dialogo con un commento al primo articolo, Cannarsi ha preferito andare a predicare altrove, su un terreno per lui più congeniale.
Approfittando di una news che lo riguardava sul portale AnimeClick, da fine dicembre 2018 a fine gennaio 2019 oltre dieci pagine di commenti sono state colonizzate dai suoi tipici, interminabili sermoni in cui spiega/difende il suo lavoro concentrandosi sempre sugli stessi esempi e usando sempre lo stesso modo di esprimersi (linguaggio da piazzista, come si è scritto), conscio che il 99% del suo pubblico non è tecnicamente in grado di verificare la veridicità delle sue affermazioni. Come variazione sul tema, Cannarsi ha infarcito i suoi scritti di filippiche contro i cinque articoli di DF, accusando l’autore di errore metodologico (non sono state queste le esatte parole di Cannarsi, ma su questo sito preferiamo utilizzare un linguaggio decoroso) non avendolo contattato prima di scrivere. In pratica, lui sente di essere l’argomento principale degli articoli (cosa non vera) e, non essendo stato interpellato, ne rifiuta la validità tout court, in blocco, senza leggerli affatto e preferendo irridere gli articoli, l’autore e il sito.
La reazione di Cannarsi è quantomeno bizzarra, perché se un articolo pubblico rischia di essere diffamatorio nei confronti di qualcuno, quel qualcuno dovrebbe essere il primo a interessarsene per poter intervenire.
Le cose quindi sono tre:
- Cannarsi effettivamente non ha letto gli articoli, e in questo caso quindi non si può permettere di criticarli, né tantomeno si può permettere di esprimere un giudizio qualunque sugli articoli, sull’autore e sul sito.
- Cannarsi ha giusto spulciato gli articoli o se li è fatti raccontare da terzi, formulando un giudizio tanto pervicace quanto infondato.
- Cannarsi ha letto gli articoli e proprio capendo il potenziale rischio che potrebbe derivarne ha deciso volontariamente di minimizzarli e di buttarla sul personale.
Ai posteri l’ardua sentenza.
30 dicembre 2018
Oberato dalle richieste degli utenti di confermare o smentire il suo coinvolgimento nel presunto ridoppiaggio italiano di Neon Genesis Evangelion per Netflix, Gualtiero Cannarsi dopo Dimensione Fumetto diserta anche AnimeClick e se ne va altrove, come sempre, scrivendo un significativo post sul suo forum di fiducia Pluschan:
A tutti gli amici che qui hanno un cervello acceso, e ce ne sono parecchi.
La discussione su Animeclick, nata dal più becero dei chiacchiericci, si è spostata su ben altri livelli, per merito di qualche partecipante vivamente intelligente e onesto. Ovviamente questo ha fatto eclissare gli idioti, perché siamo umani, e ovviamente siamo influenzati tutti dall’ambiente. In un porcile si può fare altro che rotolarsi nella melma? E un porco si sentirebbe a suoi agio in un circolo letterario? E’ forse un pochino umiliante realizzarlo, ma alla fine ciascuno di noi sa dare il peggio e il meglio di sé negli ambienti più adatti al peggio e al meglio di sé, no? La vera forza del singolo, dell’eroe persino, sta forse semmai nel provarsi a determinare gli ambienti, ovvero nell’innescare circoli virtuosi spezzando quelli viziosi, con il nichilismo di sapere che noi stessi, anche chiamandoci “i migliori”, non siamo poi tanto meglio di quelli che chiamiamo “i peggiori”, e che l’opportunità conta davvero tanto per tutti.
Questo per dire che vorrei persino crosspostare certe cose, ma non ne ho la forza né il tempo, ne ho usato le ultime gocce per scrivere questo ennesimo, ridicolo sermone. Quindi chi volesse venire a ficcare il naso di là credo non se lo ritroverà sporco di merda. Pace&bene, dudes.
In apertura del suo post, il «più becero dei chiacchiericci» era la più che fondatissima possibilità che Cannarsi si occupasse del nuovo adattamento, e il «porcile» sarebbe AnimeClick. In chiusura del post, la consueta parolina gentile verso il pubblico, che non si fa mancare mai.
12 aprile 2019
Mentre incalzano sempre più insistenti le voci di corridoio per cui Netflix ridoppierà Neon Genesis Evangelion in tutto il mondo (tranne il Giappone), essendo tecnicamente ed economicamente più conveniente per loro ridoppiare rispetto a mercanteggiare i diritti di ogni singolo doppiaggio già esistente, Francesco Di Sanzo, ex-Dynamic Italia, ex-Shin Vision ed ex-varie altre cose manda una lettera aperta alle principali realtà italiane legate a manga e anime.
La lettera fondamentalmente ribadisce tutto quello che Cannarsi aveva già dichiarato nei commenti al succitato articolo di AnimeClick, ovvero che la prima edizione di Neon Genesis Evangelion edita da Dynamic Italia fra il 1997 e il 2001 fu interamente frutto del lavoro di Cannarsi, il quale ricevette una sorta di delega plenipotenziaria su qualunque aspetto della lavorazione dell’opera, dall’adattamento alla grafica, dagli opuscoli al prezzo di vendita. Di Sanzo arriva al punto di riconoscere a Cannarsi meriti che appartenevano ad altre figure professionali come il direttore del doppiaggio Fabrizio Mazzotta, almeno stando a quanto era dichiarato sui crediti delle VHS. Giusto per sicurezza, Cannarsi stesso ri-ribadisce gli stessi concetti nello stesso identico ordine e con le stesse identiche parole anche in una “intervista” su Pluschan.
Come mai proprio adesso Di Sanzo sente il bisogno di mettere nero su bianco fatti avvenuti oltre venti anni prima e mai contestati da nessuno? Il sospetto è che sia per rafforzare la figura di Cannarsi in vista del suo sempre più probabile coinvolgimento nel ridoppiaggio di Neon Genesis Evangelion. La strategia è semplice: far passare l’argomentazione che se il primo apprezzato adattamento era al 100% di Cannarsi, allora anche questo nuovo adattamento al 100% di Cannarsi, a rigor di logica, non può non essere ugualmente apprezzato, e chi non lo fa è in malafede.
Nonostante sia un’argomentazione evidentemente fallace perché in 22 anni c’è tutto il tempo per cambiare radicalmente stile di scrittura in meglio o in peggio, il piano di Di Sanzo si rivelerà perfettamente funzionante.
21 giugno 2019
Il «più becero dei chiacchiericci» non era nient’altro che l’ovvia verità. Annunciato per la primavera 2019, Netflix pubblica infine Neon Genesis Evangelion (serie TV del 1995 e due film del 1997) in contemporanea mondiale il 21 giugno 2019 a mezzanotte ora di Los Angeles. Nome in codice: Evaflix.
Alle 16:00 ora italiana tutto il fandom locale è davanti agli schermi non solo e non tanto per rivedere l’anime, ma più che altro per verificare l’operato di Cannarsi. Ore 16:02, primissima battuta della serie, Misato (doppiata da Domitilla D’Amico) sentenzia:
Ma come mi viene perderlo di vista in un momento simile… sono fregata!
È Cannarsi. Non serve nemmeno leggere i titoli di coda per capire chi ha scritto questo adattamento: è palesemente, inconfondibilmente lui. Basta una frase. Come al solito, tutti i personaggi di tutte le opere che adatta parlano col suo stile, come parla lui nella realtà.
Stavolta, però, il fandom reagisce.
In una settimana l’intera websfera si rivolta contro Netflix sommergendo tutti i social del servizio di streaming con decine di migliaia di lamentele. La protesta assume dimensioni tali che diventa una notizia da quotidiano nazionale, finendo sul Corriere della Sera, la Repubblica e varie altre testate fra cui soprattutto La Stampa, il cui giornalista Gianmaria Tammaro intervista direttamente il direttore del doppiaggio Fabrizio Mazzotta: costui svela che la lavorazione è stata vessata da numerosi problemi quali ritardi dei copioni, incomprensibilità degli stessi e soprattutto il veto totale di modificarli da parte della committenza (la società di doppiaggio internazionale VSI), al punto che i doppiatori, di fronte a battute irrecitabili, hanno mostrato più volte chiari segni di insoddisfazione.
24 giugno 2019
Subito dopo lo scandalo Evaflix, Gualtiero Cannarsi partecipa a una nutrita serie di incontri pubblici via web (organizzati da Astromica e AnimeClick), dal vivo (al VIGAMUS – Museo del videogioco di Roma), oltre a podcast, interviste e altro.
Riassunto di oltre dieci ore di conferenze e incontri/scontri con blogger, youtuber, traduttori, adattatori, fan, otaku, docenti e semplici spettatori: Cannarsi non ha fatto altro che ri-ri-ribadire all’infinito e in infinite varianti quello che ha sempre detto, con lo stile con cui lo ha sempre detto, senza schiodarsi di un millimetro dalle sue ormai ultradecennali posizioni e dal suo personaggio.
Non sono mancati i suoi soliti siparietti. Nella live di AnimeClick, in particolare, si permette di contraddire un traduttore professionista dal giapponese sul termine bōsō, spende svariati minuti a spiegare la battuta di due secondi «Ti sei dato buona pena» (dimostrando de facto che i suoi adattamenti distruggono la fondamentale equivalenza cinematografica per cui tempo di fruizione = tempo di comprensione), e non ammette che i suoi lavori sono totalmente soggettivi se non messo alle strette (ma poi comunque ritratta tutto).
28 giugno 2019
Dopo che persino l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani si è preso gioco di Cannarsi, Netflix Italia ritira ufficialmente il nuovo doppiaggio di Neon Genesis Evangelion scusandosi con il pubblico.
La websfera esulta e c’è chi grida alla «vittoria assoluta».
Peccato che sia una reazione esagerata: è stata vinta una battaglia, ma non la guerra. Per arrivare davvero alla «vittoria assoluta» contro il modo di adattare di Cannarsi (che nel frattempo si sta pericolosamente diffondendo) mancano ancora numerosi passaggi. Non basta rimuovere e rifare da capo i suoi lavori: le case distributrici devono esplicitamente scusarsi col pubblico, prendere le distanze da Cannarsi e smettere di coinvolgerlo. Quando non solo Netflix, ma anche gli altri suoi partner commerciali come Lucky Red e Yamato Video ammetteranno pubblicamente l’errore di aver collaborato con lui, quando nessuno più gli commissionerà adattamenti e quando finalmente, in pratica, Cannarsi smetterà di fare l’adattatore, ecco, quella sarà la «vittoria assoluta».
25 luglio 2019
Dopo aver tartassato Netflix finché questa non ha rimosso Evaflix, il fandom prova a fare la stessa cosa con Lucky Red, che in 15 anni non ha mai dato alcun segno di vita sulla questione Cannarsi nonostante le critiche non mancassero, andando a riempire di messaggi di protesta i post pubblicati sui social dal distributore italiano al grido di #freeGhibli.
Dopo settimane di silenzio, Lucky Red infine risponde sul sito di sua proprietà Studio Ghibli Italia con un breve articolo totalmente inutile che non solo ripete nuovamente cose note e stranote, non solo non fornisce nessuna risposta alle proteste del fandom, non solo riconferma all’ennesima potenza la fiducia dell’azienda verso Cannarsi, ma soprattutto in pieno stile cannarsiano si dà la zappa sui piedi da solo.
Ad esempio, in un passaggio si dichiara che:
Tutte le edizioni sono state curate negli aspetti tecnici, nei contenuti e nella creatività dal nostro reparto home video, approvate da Studio Ghibli e hanno ricevuto apprezzamenti positivi da parte di pubblico e critica.
A parte la grafica e il packaging, come si svolgerebbe esattamente l’approvazione dell’adattamento italiano da parte di Studio Ghibli? Hanno un loro traduttore italiano madrelingua di fiducia? Richiedono indietro i copioni contro-tradotti dall’italiano al giapponese (come fa la Disney, che rivuole obbligatoriamente indietro i copioni contro-tradotti dall’italiano all’inglese)? Miyazaki parla fluentemente italiano? Nulla di tutto ciò, ovviamente.
Poi, in quello che sembra un tentativo di dimostrare il grande successo in Italia dei film Studio Ghibli, la Lucky Red dichiara:
Gli spettatori [dei film Studio Ghibli] sono stati complessivamente circa 700.000 (per l’esattezza 671.173), mentre sono più di un milione e mezzo le copie vendute in home video, tra dvd e blu-ray.
Potrebbero sembrare numeri importanti, ma calcolatrice alla mano un milione e mezzo di copie in home video di 22 film vuol dire una media di 68’182 copie a film, e attenzione: si intendono le copie distribuite ai negozi, non le copie effettivamente vendute, le quali non sono rilevabili, quindi nel conto sono incluse anche le copie in giacenza nei magazzini, quelle a 2 euro nei cestoni delle offerte, eccetera.
Quanto ai cinema, 671’173 spettatori per i 17 film distribuiti in sala vuol dire una media di 39’481 spettatori l’uno. Ripetiamo: trentanovemila quattrocento ottantuno. Meno degli abitanti di una qualunque città di provincia italiana. Sono numeri da film di nicchia, da cinéma d’essai, da cineforum.
Anche considerando gli spettatori film per film, stando alle statistiche ufficiali di MyMovies, il pubblico è stato comunque pochissimo: solo Ponyo sulla scogliera e La città incantata hanno superato gli 80’000 spettatori (ma nel conto de La città incantata è incluso anche il pubblico della prima edizione del 2003), mentre invece opere come Principessa Mononoke e La storia della Principessa Splendente, considerati i massimi capolavori rispettivamente di Miyazaki e Takahata, hanno raggiunto a stento i 10’000 spettatori (meno de I racconti di Terramare!). Niente si sa poi de La collina dei papaveri e La tomba delle lucciole, proiettati al cinema per un numero ridicolo di giorni (addirittura uno solo nel caso de La collina dei papaveri).
Diecimila spettatori per Principessa Mononoke. Ripetiamolo: diecimila spettatori per Principessa Mononoke, quello stesso Principessa Mononoke che alla sua uscita in Giappone nel 1997 fu un successo tale da diventare il maggiore incasso della storia del cinema giapponese del tempo. In tutta Italia è stato visto da 10’000 persone, quante ne entrerebbero nella piazza della suddetta qualunque città di provincia italiana (in Piazza Maggiore a Bologna ci starebbero 27’000 persone, quasi il triplo, giusto per avere un riferimento). Ripetiamolo: tutti gli spettatori d’Italia di Principessa Mononoke starebbero comodi in una sola piazza.
Che successone, eh?
E che successone è stata anche la riproiezione nel 2014 de La città incantata in versione Cannarsi, che ha staccato circa 30’000 biglietti, quando invece la prima proiezione del 2003 ne staccò oltre 90’000, e attenzione, stiamo parlando di un film dalle potenzialità commerciali immense, in quanto al tempo riuscì a superare Principessa Mononoke e a diventare quello che è tuttora il maggiore incasso della storia del cinema giapponese.
Dichiarare che «gli spettatori [dei film Studio Ghibli] sono stati complessivamente circa 700.000» è mentire sapendo di mentire, perché non ci sono stati affatto 700’000 spettatori singoli, ma al massimo 700’000 biglietti staccati, il che è ben diverso, e quando anche un film già notorio e già con la fama di essere un capolavoro come Principessa Mononoke raggiunge a stento i 10’000 biglietti staccati, l’unica considerazione possibile che se ne può trarre è che quei diecimila spettatori non sono nient’altro che gli animefan che già conoscevano il film, e che quindi la missione di Lucky Red di rendere noto al pubblico italiano il patrimonio cinematografico dello Studio Ghibli è stata un totale fallimento su tutta la linea, sia qualitativa sia quantitativa, e non c’è stato affatto quel supposto «allargamento del pubblico» di cui parla Cannarsi.
La colpa non è di Lucky Red, ovviamente, anzi c’è solo gratitudine verso la casa distributrice di Andrea Occhipinti che comunque ha fatto il grande sforzo (anche economico) di portare in Italia e doppiare il catalogo completo dello Studio Ghibli. Alla fine Lucky Red è una vittima tanto quanto gli spettatori: entrambi si sono fidati in buona fede del lavoro di Cannarsi, purtroppo. Quei film sarebbero potuti essere galline dalle uova d’oro, e invece ci si è dovuti accontentare di una media di meno di 40’000 spettatori a film. Che tristezza, che spreco.
Non è una questione di soldi: è una questione che questi film sono opere d’arte riconosciute e acclamate in tutto il mondo, eppure in Italia non riescono a raggiungere nient’altro che una fetta minuscola di pubblico.
D’altronde per Gualtiero Cannarsi il cinema non è arte. L’ha dichiarato lui stesso esplicitamente: per lui qualunque medium che usi il corpo non è arte. Non è arte il cinema, dunque, e non è arte la televisione, la moda, la fotografia, il teatro, la danza, tantomeno l’opera, che lui considera «una pagliacciata», e per qualche motivo nemmeno l’architettura. Il cinema è solo «diapositive sequenziali», quindi non è arte, tanto più perché gli attori sono solo «prostitute». Il cinema d’animazione forse si salva perché è disegnato, dimenticando però che il cinema animato è ancor più formato da «diapositive sequenziali» rispetto al cinema dal vero.
Nonostante ciò, i film dello Studio Ghibli sono finiti nelle mani di Gualtiero Cannarsi.
Quello stesso Gualtiero Cannarsi che considera i film d’animazione non opere d’arte, ma solo «cinema a metà».
Quello stesso Gualtiero Cannarsi che in francese tradurrebbe bien sûr come «ben certo».
Che riconosce レストア resutoa come un forestierismo dall’inglese restore, però poi lo adatta come “restaurare” quando invece restore non vuol dire necessariamente “restaurare”.
Che ritiene Michelangelo «un autodidatta» perché ha edificato palazzi «anche se non esistevano università di architettura», come se non fosse andato a bottega, come se non esistesse già dai tempi degli antichi romani una vasta letteratura sulle tecniche di costruzione, e come se il sistema scolastico attuale fosse confrontabile con quello di 500 anni fa.
Che sbeffeggia chiunque non la pensi come lui anche se può dimostrargli che è in errore.
Quello stesso Gualtiero Cannarsi che ha scoperto, come in un’epifania, solo lo scorso 26 giugno 2019 l’esistenza dei concetti fondamentali di “qualità e quantità” solo grazie a una studentessa (che ironia della sorte, per lui che disprezza il mondo accademico), e che quindi sono 22 anni che adatta il meglio del meglio dell’animazione giapponese senza nemmeno avere la minima idea dello scopo stesso dell’adattamento. Concetti di “qualità e quantità” che peraltro, altra ironia della sorte, erano presenti nel primo dei cinque articoli dedicati ai suoi adattamenti (l’avrà letto?), pubblicato lo scorso 13 dicembre 2018, in cui l’adattamento veniva descritto proprio come:
il lavoro con cui si trasforma un testo da una lingua all’altra in modo tale che sia il fruitore della lingua di partenza sia il fruitore della lingua di arrivo ricevano le stesse informazioni per qualità e quantità.
Ma Cannarsi in 22 anni non ne aveva mai saputo niente. Tutti i professionisti lo sanno, tutti gli studenti lo sanno, tutti gli amatori lo sanno, tutti gli appassionati lo sanno, ma lui no.
Ci si chiede per quanto tempo ancora debba andare avanti questa follia, quanto ancora il fandom italiano di anime debba sopportare questa presa in giro, e quando il pubblico generalista potrà finalmente e serenamente godere delle opere di animazione giapponese.
21 settembre 2019
Avendo ottenuto nient’altro che ulteriore celebrità dopo la bagarre di Evaflix, Gualtiero Cannarsi viene nuovamente invitato al museo VIGAMUS di Roma per partecipare a una conferenza sul tema dell’animazione giapponese insieme con Giorgio Amitrano e Luca Raffaelli. È probabilmente l’ambito ideale di Cannarsi e anche quello in cui si può esprimere al meglio come il grande, affidabile e competentissimo esperto di animazione giapponese quale è, e non come un adattatore, dove invece le sue presunte competenze sono discutibilissime.
Eppure, mentre Cannarsi continua ancora e ancora a restringere il campo ri-ri-ri-ribadendo sempre le stesse identiche cose con lo stesso identico linguaggio da piazzista, come se ancora non gli fossero bastati i 5’405 post sul forum Studio Ghibli, i 9’271 sul forum Neo-Geo e gli 11’521 sul forum Pluschan (dati aggiornati al 17 settembre 2019, i messaggi erano rispettivamente 5’410, 9’580 e 10’955 al 20 gennaio 2019), Dimensione Fumetto ha deciso invece di reagire e fare il contrario: ampliare lo sguardo e contestualizzare l’affaire Cannarsi nel tempo, con una breve cronistoria del suo rapporto col fandom pre-Evaflix, e nello spazio, con quattro interventi di quattro esperti di campi diversi: un traduttore ed esperto di doppiaggio, un adattatore e doppiatore, una critica cinematografica, e una professoressa universitaria di Letteratura giapponese, i quali possono valutare il lavoro di Cannarsi dal punto di vista del pubblico informato, degli addetti ai lavori, della critica e della cultura alta.
Dimensione Fumetto desidera ringraziare gli autori che hanno gentilmente prestato la loro collaborazione.
Cannarsi e il fandom: breve cronistoria di un lungo rapporto
Una delle caratteristiche più note di Gualtiero Cannarsi è che è una persona molto attiva su Internet. Fin dagli anni Novanta, Cannarsi si è sempre relazionato con altri appassionati e fruitori di animazione giapponese sul web, ed egli stesso, anche nelle trasmissioni live post-Evaflix, ha parlato di alcune critiche relative all’adattamento di Neon Genesis Evangelion del periodo 1997-2001 ricevute su newsgroup da parte degli spettatori in seguito all’evento First Impact e all’uscita delle prime VHS della serie. Inoltre, ha (o ha avuto) account personali su diversi social network.
La sua presenza più massiccia è però quella sui forum, il più significativo dei quali è quello del sito Studio Ghibli Italian Fan Site, gestito e frequentato da appassionati dello studio co-fondato da Miyazaki & Takahata, dove ha fatto proseliti fra vari utenti, fra cui un personaggio di spicco del cinema italiano: l’utente Muska, il promotore e primo firmatario dell’ormai famosa petizione del 2005 che ha portato Cannarsi dalla Buena Vista alla Lucky Red presieduta dall’attore Andrea Occhipinti, è infatti Fabio Liberatori, ex tastierista del celebre gruppo rock italiano Stadio e compositore delle colonne sonore dei film di Carlo Verdone. Successivamente, una volta in forza a Lucky Red, Cannarsi ha coinvolto sia Liberatori sia sua figlia Sara prima come cantanti per la versione in lingua italiana del tema di Ponyo sulla scogliera, e poi come doppiatori per il film I sospiri del mio cuore.
È da segnalare il fatto che proprio alcuni tra i primi sostenitori del Cannarsi adattatore per Lucky Red sono diventati, in seguito ai suoi trattamenti che tanto hanno fatto discutere, i principali e acerrimi detrattori della sua “metodologia”.
Man mano che i film Studio Ghibli uscivano nei cinema per Lucky Red, gli scontenti crescevano costantemente di numero arrivando a organizzarsi online, sui forum e sui social network, fino addirittura all’indizione nel 2015 di una prima petizione redatta in giapponese, inglese e italiano, firmata e sottoscritta singolarmente da oltre 70 persone e consegnata a mano presso la sede dello Studio Ghibli a Koganei (Tokyo), per informare i registi e gli animatori dello scempio inferto ai loro film in Italia. Fra i firmatari della petizione figuravano numerosi nomi noti dell’industria dell’animazione italiana, fra cui un celebre artista e figlio d’arte che aveva collaborato con Hayao Miyazaki per la serie animata Il fiuto di Sherlock Holmes, di cui era stato sceneggiatore e character designer. Purtroppo gli organizzatori della petizione non hanno mai ricevuto risposta dallo Studio Ghibli.
Nel gennaio 2016 è stata inviata via posta cartacea ed elettronica una seconda petizione, firmata da quindici linguisti e traduttori professionisti italiani, alla responsabile delle relazioni internazionali Studio Ghibli in Giappone e alla distribuzione internazionale di Wild Bunch in Francia, con in allegato una selezione dei punti salienti della fallace metodologia di Cannarsi. Nemmeno questa missiva ha ricevuto risposta.
I pochi sostenitori noti di Gualtiero Cannarsi si sono esposti solo a seguito dell’affaire Evaflix. Sono fondamentalmente tre: la sua compagna Jessica Consalvi, per la quale ci avvarremo della regola di Tamburino, il critico cinematografico Gabriele Niola, che concede spesso spazio a Cannarsi sulle testate per cui lavora e l’ha difeso anche durante una puntata della trasmissione di Rai News POP24, e infine l’associazione culturale catanese Mangames, responsabile dell’Area Japan del festival Etna Comics, in cui Cannarsi è ospite fisso e de facto direttore artistico, e che si è spesa a spada tratta in difesa dell’adattatore.
Il primo ospite di questo rassegna di editoriali è Enrico Viticci, docente in scuole di formazione, traduttore bilingue e blogger appassionato di cinema e di adattamento linguistico. Il suo blog Doppiaggi italioti, aperto nel 2011, è il primo (e unico) blog italiano interamente dedicato all’adattamento, conosciuto e apprezzato da direttori di doppiaggio, dialoghisti, linguisti e doppiatori.
Il fenomeno Cannarsi è certamente singolare in Italia, forse al mondo. Ma questa volta c’è poco da vantarsene.
L’eroe che ci meritiamo, ma non quello di cui abbiamo bisogno
di Enrico Viticci
La rete ha dato voce proprio a tutti, incluso me che da oltre sette anni parlo di adattamento sul mio blog Doppiaggi italioti, con recensioni che cavalcano un sottile filo tra l’intrattenimento e l’informazione, e nelle quali elogio adattamenti meritevoli e castigo quelli errati, sempre argomentando le mie posizioni.
La rete ha dato spazio anche a quelli che dicono che La morte ti fa bella è un titolo “italiota”, perché secondo loro è una traduzione sbagliata di Death Becomes Her solo perché non conoscono questo modo di dire anglosassone, eppure si accaniscono su esempi simili con tanta sicurezza e altrettanti punti esclamativi; il mio pensiero va anche a quelli che, bontà loro, pensano che una nave destroyer si traduca come “distruttore” invece che “cacciatorpediniere”.
Del resto l’argomento doppiaggio è diventato sempre più popolare in Italia nell’era dei social media: in molti ne parlano ed è inevitabile che spuntino fuori anche discorsi simili. Così come quel vostro parente con la terza elementare sa cosa sia meglio per la sanità italiana (i vaccini sono velenosi e causano autismo, meglio i rimedi balzani suggeriti da un tizio su Facebook) e offende il virologo Burioni su Twitter accusandolo di scellerata disinformazione per conto dei poteri forti®, così altri sentono la stessa voglia di decretare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato nel complesso mondo delle traduzioni e dell’adattamento. Il tutto sulla base di opinioni personali e una scarsa, ma spesso sovrastimata conoscenza della lingua estera. Solitamente meno ne sanno e più si fanno estreme le loro posizioni, e interagire con certi personaggi e certe cricche è esattamente come cercare di dialogare con i complottisti delle scie chimiche per il controllo mentale a opera di una élite ebraica o con gli antivaccinisti che temono una sterilizzazione globale per aprire la strada ai musulmani o ai gay (se non c’è dietro anche del razzismo o dell’omofobia godi solo a metà). Sono pochi, ma fanno sempre tanto chiasso e così danno l’impressione di essere in tanti o di rappresentare il sentire comune.
Una sovra-rappresentazione di minoranze chiassose finisce per influenzare, direttamente o indirettamente, anche la persona qualunque sui temi più disparati, incluso il doppiaggio (oggi anche lo zio con la terza elementare ha un’opinione in merito), argomento sul quale si diffondono luoghi comuni estremizzati che diventano parte della cultura popolare tanto quanto la sfiducia verso i vaccini, l’attrazione verso l’omeopatia o il dubbio su quelle scie nei cieli… che chissà che contengono, i poteri forti® ci vogliono malati. Allo stesso modo, quante volte nel quotidiano abbiamo sentito posizioni estreme come “il doppiaggio italiano è il migliore del mondo” e la sua variante “era il migliore del mondo”, esempi eccessivamente positivi, oppure esempi eccessivamente negativi come “il doppiaggio è il male assoluto” o “una pratica barbara”, “da abolire senza se e senza ma”, “meglio i sottotitoli”… in italiano ovviamente.
Come per tutte le posizioni estremiste, è facile trovarci delle grosse falle logiche, ma imparare una lingua estera a livello madrelingua è impegnativo e richiede anni, sono necessari non solo passione e interesse personale, ma anche vero studio. Improvvisarsi è molto più facile, scrivere un commento su Facebook o sotto un articolo di un blog è un attimo.
In questo marasma non trovo strano venire a scoprire che Gualtiero Cannarsi sia stato scelto come responsabile dell’adattamento di film di animazione giapponese a partire da una petizione su un forum. Chi se ne stupisce non ha idea del potere che può avere un gruppo su Internet, a volte anche piccolo.
Durante il boom dei forum, circa 2004-2008, ho assistito più volte al processo con cui produzioni hollywoodiane, e neanche sconosciute, parlo di Spielberg ad esempio, sono state influenzate da certe opinioni che andavano di moda su forum tematici (nel caso di Spielberg si parla di oggetti di scena di un film, ma è uno di tanti casi): ambienti dove l’autorevolezza di alcuni singoli utenti e delle loro opinioni influenzano l’intero forum e anche gli esterni che da quel forum traggono informazioni, seguendo dinamiche che in psicologia sono stranote da almeno 50 anni. Una di queste, ad esempio, è un bias cognitivo noto come effetto carrozzone (o effetto bandwagon): fa sì che certe opinioni ci appaiano più convincenti se le percepiamo essere condivise da una maggioranza di persone. In un ambiente come un forum su Internet è normale che una minoranza più attiva sia percepita come la maggioranza degli utenti.
Di conseguenza, basarsi su opinioni emerse dai forum è sempre molto rischioso. In un sistema simile è facile bypassare certe verifiche di competenza che in altre situazioni sarebbero state tappe obbligate, tanto più quando queste opinioni vengono personificate nelle figure dei guru, eletti o sedicenti che siano. Quello dei guru “dal basso” tra l’altro è un altro fenomeno tipico del complottismo in cui si fa il tifo per “uno di noi”, anti-sistema, che si infiltra nei palazzi del potere (in questo caso le sedi di doppiaggio di Roma viste come un’entità unica, elitaria e malefica) per fare chissà quale azione rivoluzionaria, come far dire a una giapponese che le cose «si sono inguaiate».
Se in questo meccanismo di falsata attribuzione di autorevolezza ci cascano gli assistenti di produzione del regista Steven Spielberg in una dinamica alla quale ho assistito personalmente, perché dovrei credere che la Lucky Red sia immune a certi bias cognitivi? La decisione di affidare lavori di adattamento (il ruolo più delicato nel mondo del doppiaggio) a una persona che alcuni chiassosi appassionati di animazione giapponese (e potenziali acquirenti), in un preciso momento nei primi anni 2000 hanno eletto a punto di riferimento non deve sorprendere affatto, né però devono sorprendere poi i risultati: derisi da migliaia di persone, difesi a spada tratta da pochi utenti con idee molto personali su ciò che dovrebbe essere addirittura l’intera filosofia della traduzione e dell’adattamento linguistico.
Se poi però si va a chiedere come dovrebbero essere svolte dunque queste traduzioni e questi adattamenti, ognuno di quei discepoli anti-sistema ha un’opinione tutta sua, formalmente rigorosa nella sua semplicità (il metodo del tabellone ad esempio, fesso chi non ci aveva pensato prima!), eppure – poi si scopre – strapiena di eccezioni alla regola che comunque, di base, resta sempre assurda se veramente applicata alla lettera come dicono di fare o di voler fare. Proprio come capita per le scie chimiche, sulle quali tutti i complottisti sono accomunati dalla convinzione che siano un fenomeno dannoso e non naturale (non vengono forse dette le stesse cose del doppiaggio “tradizionale”?), ma quando poi si cerca di entrare nel dettaglio di cosa dovrebbero essere esattamente allora ognuno tira fuori la sua idea pazzesca e in contrasto con tutte le altre: per qualcuno è certo che siano veleni per rovinare i raccolti, per un altro servono al controllo di eventi climatici (dalla nebbiolina al terremoto), ci fanno ammalare, sono responsabili della mia diarrea di ieri sera, oppure servono al controllo della mente per scopi finali ancora meno chiari… e c’è sempre quello che alla fine tira fuori gli alieni e i «microchippe sottochiappali» (cit.).
Gli esempi sui complottisti sono facilmente paragonabili alle idee espresse dagli appassionati e difensori del “metodo Cannarsi”, il livello intellettuale dei suoi paladini è proprio quello e medesimi sono gli atteggiamenti. Un’occhiata ai commenti ai precedenti articoli ne è l’immediata riprova, e sono certo che molti di quelli contenenti offese gratuite e personali sono stati già filtrati a priori dal webmaster del sito. In ogni caso ricordiamo sempre che, statisticamente, il 47% dei lettori non avrà compreso il contenuto degli articoli che sono corsi a commentare.
In questa Italia dove le proprie capacità linguistiche sono generalmente sovrastimate (effetto Dunning-Kruger) e dove sembra che “tutti”, a parole, detestino il doppiaggio italiano pur non avendo realisticamente le conoscenze per abbandonarlo (memorabile la fuga da The Hateful Eight proiettato in lingua originale, ma senza sottotitoli), direi che Cannarsi è l’eroe che molti si meritano. Dite che vi piacciono le traduzioni pedisseque? Ciucciatevi i sommi fratelli, l’acqua versata per benino, le pulzelle, gli «Ah, perdono» quando vi viene offerto qualcosa. Volete fedeltà assoluta ai dialoghi originali? Beccatevi «Ora come ora per quel che venisse mi batterei con questo» o «A dire che ti dispiace tanto se poi verrai spazzata via dalle bombe non vorrò saperne», oppure ancora «Ma anche io se potrò andare ancora non s’è deciso mica» (da fiorentino mi fa sorridere, ad altri non so poi quanto). Salvo poi scoprire che i dialoghi non sono neanche poi così fedeli, che le sue rielaborazioni personali (basate comunque su traduzioni d’altri) sono appunto personali, nonostante vengano spacciate come unica vera “via” di adattare e, da quanto abbiamo capito da questi articoli anche noi che il giapponese non lo conosciamo, sono anche piene di errori, dal banale al madornale in uno schema che non è occasionale, ma ricorrente, e di solito sono difesi con fierezza dall’autore stesso, dalla prima parola all’ultima senza spazio per alcun dubbio. Così si parla in giapponese… in italiano!
Nel mondo del doppiaggio non è comune, ma neanche difficilissimo trovare altri adattatori che, posti davanti a scelte molto discutibili quando non palesi errori di traduzione, le difendano caparbiamente oltre ogni ragionevole dubbio: anche gli adattatori del resto sono esseri umani, ma non serve conoscere il giapponese per capire che c’è qualcosa che non va con quelli che sono diventati a tutti gli effetti dei dialoghi-barzelletta dallo stile immediatamente riconoscibile – tranne per quello sparuto gruppo di persone che pensa, tra le tante assurdità, che una traduzione per essere “vera” debba essere quasi una traslitterazione parola per parola. Secondo questo inedito approccio alla traduzione e all’adattamento, una qualsiasi frase di un film di Miyazaki DEVE suonare strana alle nostre orecchie di spettatori italiani, i bambini che vediamo su schermo devono “parlare strano” perché non sono dialoghi che provengono da bambini italiani che parlano italiano, la struttura di una frase giapponese e anche i modi di dire sono diversi da quelli italiani e così deve apparire… Un concetto assurdo per chiunque, tranne che per i commentatori che troverete qui sotto, per i quali invece è una Verità per la quale vale la pena offendere personalmente voi e le vostre mamme.
È questa la vera differenza che rende Cannarsi una voce completamente fuori dal coro nel grande (e imperfetto quanto volete) mondo dell’adattamento: il mettere in discussione l’idea stessa del processo di traduzione da quando esiste la traduzione nella storia dell’umanità (prime prove datate circa 3200 a.C.); quasi un esperimento pionieristico personale a spese della Lucky Red, del suo pubblico e dell’accessibilità stessa al cinema d’animazione giapponese nel nostro Paese. Mi domando con quali libri siano cresciuti i fan del “metodo” del buon Cannarsi, in quale italiano erano scritti quei testi, quali libri leggano oggi e se si infervorino allo stesso modo per come sono stati tradotti (se di libri ne leggono).
Di motivi per criticare il doppiaggio ce ne sono sempre stati, inutile dire che prima era meglio o peggio, ogni epoca del doppiaggio ha avuto i suoi pregi e i suoi discutibili difetti proprio perché rimane in tutte le sue fasi un’arte (dalla traduzione testuale alla recitazione al microfono) e possiamo essere in accordo o in disaccordo quanto vogliamo sulle scelte dei singoli adattatori nell’alterare un nome, un riferimento, una battuta, un modo di dire, nell’adottare (o nel non adottare) una determinata soluzione linguistica, ma nel “metodo Cannarsi” quello che i traduttori chiamerebbero “errore” fa semplicemente parte del metodo stesso e quindi non è un errore! Una logica di ferro per chi la propone e la applica, ma che alla fin fine lascia gli spettatori frasi del calibro di «Vi ho arrecato grande preoccupazione. Da oggi per intanto torno una studentessa esaminanda. Vi prego di rasserenarvi» oppure «Papà, che stanotte si va a prendere in prestito era promesso, eh?» di fronte alle quali non possiamo che esternare il sessantunesimo «dio bestia!».
Un tale “metodo” (più che metodo bisognerebbe parlare di “trattamento”) applicato a qualsiasi altro film importato in Italia avrebbe lo stesso gusto tragicomico di ritrovarsi i no-vax al Ministero della Salute. Speriamo dunque che non si espanda a nuovi orizzonti: il mondo del doppiaggio ha già tanti problemi per conto suo, di un “trattamento Cannarsi” esteso anche ad altre opere cinematografiche non ne abbiamo proprio bisogno. Rimaniamo l’unico Paese dove lo slogan “nuova traduzione più fedele” non rassicura il consumatore, ma piuttosto desta preoccupazione, quasi un sospetto: ci avrà messo le mani Cannarsi? Che questa sia la prima domanda che si pone il consumatore italiano davanti a un qualsiasi prodotto di animazione giapponese non è un dato incoraggiante. Tutt’altro.
(16 gennaio 2019)
Il secondo ospite è Ivo De Palma, da 35 anni a microfono. Voce, tra mille altri, di Pegasus de I Cavalieri dello zodiaco. Dialoghista di lunga e comprovata esperienza, è inoltre un apprezzato insegnante di doppiaggio e adattamento dialoghi.
Parole in classe, in aula e in sala di doppiaggio
di Ivo De Palma
Qualche puntino sugli i, o meglio, su alcune scelte di adattamento dialoghi che fanno discutere.
Intanto, che facciano discutere farebbe immensamente piacere a qualunque ufficio marketing, quindi ha vinto lui alla stragrandissima, specie considerando che lavora normalmente su prodotti di sicuro spessore, e quindi, in definitiva, il suo lavoro a qualcuno dovrà pur piacere, altrimenti non si spiega.
Io non ho secondi fini nel dire la mia su questo tema. Non lo faccio per salire in cattedra e pontificare, tantomeno per dire che io saprei fare meglio. Chi dovesse pensarlo si sbaglia. Andiamo per ordine.
Quella parola, shito, che il dialoghista di cui parliamo conosce bene avendolo spesso usato come nickname, vuol dire “apostolo”, non si discute. La parola giapponese che vuol dire “angelo” è un altra, come sa chi conosce tale idioma. E allora perché in precedenza lo stesso dialoghista ha usato “angelo”? Perché ha commesso un errore, sia pure, per i tempi, perfettamente motivato. Chi sono io per dirlo? Ma non sono io a dirlo. Lo dice lui. Volete almeno credere a lui? E perché mai usò “angelo”? Per coerenza col visivo, che proponeva “angel”, e perché guarda caso i rispettivi personaggi avevano i nomi degli angeli. Lo si dice anche nella serie che gli Apostoli hanno i nomi degli Angeli. O, meglio, lo si dice ora, ‘ché all’epoca si dovette ricorrere a un escamotage che stendesse un velo sull’incongruenza. Molti obiettano che non si trattò affatto di un errore, perché il trend fu dappertutto, e non solo qui, di usare “Angeli”. Io vi ho riportato la sua opinione, letta qui e là, poi voi di tale dato farete quel che volete.
Incongruenze, per vari motivi, popolano anche l’adattamento d’epoca de I Cavalieri dello zodiaco. Laddove si è potuto ovviare, seppur in complessiva continuity, sempre richiesta dai clienti che si sono rivolti alle voci storiche, lo si è fatto, per esempio sdoganando il Buddha, mai prima nominato. In altri casi, troppo importanti per il marketing (vedi nomi e colpi) per ora ha prevalso la continuity.
Comunque, che in Neon Genesis Evangelion in salsa Netflix si pervenga finalmente alla corretta traduzione di shito non mi sembra gravissimo e, se le cose stanno come le racconta il collega, mi sembra anzi cosa buona e giusta. Se ha il potere di correggere ciò che in coscienza reputa un errore, il dialoghista ha il diritto di farlo. L’ulteriore obiezione tale per cui i creatori, e lo stesso Anno Hideaki, prediligono “Angel”, significa semplicemente che un referente giapponese si sta esprimendo sull’uso di un termine anglosassone. Non è detto che tale competenza abbia le carte in regola per discettare sull’uso di parole varie in italiano. I problemi di un adattamento italiano deve risolverli il madrelingua italiano.
In ultimo, ma non meno importante, luogo, mi viene fatto notare che l’etimo di “apostolo” è il verbo greco apostello che vuol dire “inviare”. Quindi anche l’apostolo è, tecnicamente, un inviato. Gli apostoli di Cristo vengono infatti chiamati tali alla fine della storia, ‘ché all’inizio sono semplicemente discepoli. Dal punto di vista etimologico, pertanto, non è vero che tra “angelo” e “apostolo” vi sia in italiano una differenza abissale. È che abbiamo smarrito coscienza del dato etimologico comune, cioè l’essere entrambi, angelo e apostolo, inviati da qualcuno.
Ma le perplessità di molti, se parliamo di lingua italiana elaborata e fruita da madrelingua italiani, riguardano anche, in questo caso, l’uso di alcuni termini, certo molto desueti, tipo «Nessuna recalcitranza!», e da taluni confusi con il registro aulico, tanto che c’è chi sbotta ricordando che anche I Cavalieri dello zodiaco ebbero dialoghi aulici, che alla maggior parte del pubblico andavano benissimo.
Ma bisogna intendersi sul termine aulico. Treccani lo dà per termine che indica lo stile consono alla “aula”, ovviamente nel senso di “corte”, ‘ché se invece fosse adatto a un’aula scolastica, aggiungo io, sarebbe al massimo uno stile pedantesco. Si dà il caso che “recalcitranza” sia, secondo me, termine più pedante che aulico. Treccani non lo riporta nemmeno tra i lemmi online, salvo poi inserirlo tra i sinonimi di “ritrosia”. Ma le occorrenze in cui Google me lo sgama sono indicative. In una sottolinea l’atteggiamento di alcuni oligarchi avversi all’autorità costituita, quindi stiamo studiando storia. Nell’altra indica l’atteggiamento di quei bambini che vanno malvolentieri all’asilo, e qui studiamo psicologia. In un terzo caso, il più complesso perché di ambito sociologico fortemente specialistico, serve a definire l’atteggiamento di quelle organizzazioni che operano talvolta in modo non conforme al loro stesso fine, quindi “recalcitrano” perfino rispetto a sé stesse, allorché si vedono costrette a scendere a compromessi per poter sopravvivere.
Morale della favola, «Nessuna recalcitranza!» non è aulico, ma fastidiosamente pedante, in quanto preesiste solo come tecnicismo universitario. Si poteva optare, e sarebbe certo stato più aulico, per “nessuna riluttanza”, o “nessun indugio”, o “senza alcun indugio”, o “senza frapporre (alcun) indugio”.
Ma in realtà sono molti altri i casi in cui le preferenze del collega destano in taluni perplessità, in altri preoccupazione. Sono quei casi in cui vi è la pretesa culturale, interessante sulla carta, ma molto discutibile nei pratici esiti, in cui si tenta di “giapponesizzare” l’italiano, senza badare al fatto che, allora, bisognerebbe operare allo stesso modo con tutte le altre lingue di partenza. Alcuni esempi dall’inglese? “Io penso di te”, “Fai una decisione”, “Cane di mare”, “Ho una condizione che sto curando”, vi piacciono? E naturalmente useremo rigorosamente gli aggettivi prima dei nomi, rinunciando alle sfumature che l’italiano può permettersi, tali per cui “una povera donna” è cosa diversa da “una donna povera”.
Insomma, chi non sa il giapponese e molto poco l’italiano, resta sconcertato da ciò che comunemente, in traduzione, è considerato errore grave, cioè il calco. E quindi passa all’originale coi sottotitoli, sperando li abbia curati un altro. E semmai si segna le stranezze della versione italiana per farci qualche meme. Ma anche chi sa alla perfezione entrambi, ed è quindi il destinatario ideale di questa proposta culturale, va a finire che passa alla versione originale, e stavolta senza nemmeno i sottotitoli. Perché accontentarsi di un linguaggio italiano che scimmiotta il giapponese, quando si può accedere all’originale e fruirne direttamente?
(24 giugno 2019)
La terza ospite è la critica cinematografica Elisa Giudici. Per passione scrive articoli, recensioni e analisi su cinema, letteratura e cultura pop sin dall’alba di Internet sul suo blog gerundiopresente. Poco prima di laurearsi in Lingue e Culture per l’Asia Orientale, ha trasformato la passione in lavoro, cominciando a collaborare con Serialmente (dal 2010) e Loudvision (dal 2012). Dal 2016 recensisce le uscite cinematografiche e letterarie, realizza interviste e recap giornalieri dai principali festivali europei sulle testate online di FOX Italia e Tiscali. Il suo motto: «veni, vidi, recensii».
No al metodo Cannarsi: un’argomentazione aneddotica
di Elisa Giudici
Cosa fa un giornalista italiano quando – in un barlume di umiltà – ammette con sé stesso di avere solo in parte le competenze necessarie a muovere una critica ragionata a qualcosa o qualcuno? Punta sull’emozione e sull’aneddotica. È esattamente quello che intendo fare io, nobilitando l’infame arte della scappatoia narrativa, dato che sono stata ampiamente preceduta da interventi su interventi di natura squisitamente tecnica, grammaticale, linguistica, analisi di esperti e dissezioni di casi studio emblematici. Loro vi hanno portato il raziocinio e l’argomentazione, io mi arrogo di diritto di puntare sull’emozione.
Correva l’autunno del 2015, il cinema era l’Arcobaleno di Milano, l’occasione l’anteprima stampa di Nausicaä della Valle del vento. All’epoca tutto l’affaire cannarsiano era nebuloso e confuso, una questione privata e non un fronte di lotta e gruppi Facebook di meme. Come spesso accade, l’ufficio stampa aveva esteso l’invio ai pargoli dei giornalisti, nella speranza di invogliare qualche scribacchino in più a presenziare alla proiezione di un “ripescaggio eccellente” dal passato. Al mio fianco sedeva gioiosa e compita un’adorabile marmocchietta con la mamma. Non dimenticherò mai come il mio fastidio per il suo continuo parlottare si trasformò in stupore e rabbia di fronte a una bimbetta di 7 o 8 anni costretta per l’intera visione a chiedere alla mamma «Cosa ha detto?», perché incapace di comprendere il cannarsiano. Quella per me è stata la prova più tangibile del fallimento di Cannarsi nell’adattare l’opera di Hayao Miyazaki, un regista che ha più volte detto di voler fare «film il cui soggetto possa essere capito da un bimbo nel giro di cinque minuti».
Questo è quanto ho da dire sulla questione, e scusate se sono un po’ scaduta nel sentimentalismo che si appella ai bambini. D’altra parte, nelle immortali parole di Gualtiero Cannarsi stesso, sono solo «una sciocchina a caso che crede di darsi un tono atteggiandosi a grande critica». Forse il nostro appello affinché il pubblico degli appassionati goda di un adattamento fedele e grammaticalmente coerente di opere d’animazione giapponese è solo un «finto problema», ma rimane il fatto che si sta tradendo il pubblico generalista, ghettizando ancora di più l’animazione giapponese, rendendo la fruizione di queste opere una fatica e non un piacere. La linea cannarsiana sta trasformando un prodotto di largo consumo e appeal in un’oscura profezia indirizzata ai soli apostoli che possono comprenderla, togliendole popolarità, pubblico e la possibilità stessa di far parte delle infanzie e delle adolescenze delle nuove generazioni, così come è accaduto per noi.
Non posso fare a meno di pensare che chi inneggia a questo cripticismo esasperato che fa dire a una bambina «Mamma, mi spieghi cosa ha detto?» sia di fondo mosso dall’egoismo di tenere per sé queste opere, questa nicchia, questo ricordo adolescenziale, preferendo fare la conta tra file sempre più sparute piuttosto che aprire i cancelli e lasciare entrare tutti. Sono cresciuta con il sogno che manga e anime arrivassero ad avere uguali dignità agli occhi del grande pubblico con il resto della produzione pop. Lo sdoganamento dei comics statunitensi e l’elevazione della graphic novel a genere letterario prova che non si tratta di mera utopia. Se solo non fossimo così spaventati dal condividere quel che sappiamo e perdere quella nostra posizione snob di privilegiati che, nel bene e nel male, con censure e strafalcioni, ha comunque potuto godere di queste storie sin dall’infanzia.
(27 giugno 2019)
La quarta e ultima ospite di questa rassegna di editoriali è Paola Scrolavezza, insegnante di Cultura e Letteratura giapponese presso il Dipartimento LILEC dell’Università di Bologna. I suoi interessi di ricerca si sono ampliati dalla letteratura femminile e di genere ai processi culturali dall’avvento della modernità in Giappone al contemporaneo. Si è occupata delle trasformazioni e della circolazione della narrativa nell’epoca dei nuovi media e della costruzione di immaginari transnazionali nel contesto della globalizzazione, nell’ambito del dibattito odierno su global fiction e letteratura mondiale. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere critico e saggistico, ha inoltre tradotto in italiano Yoko Ogawa, Keigo Higashino, Kaori Ekuni e Fumiko Hayashi. Dal 2011 è curatrice e responsabile di NipPop, articolato progetto dedicato alle culture e subculture del Giappone contemporaneo.
Di adattamenti e stereotipi
di Paola Scrolavezza
Ormai qualche settimana fa, ho ritenuto doveroso esprimermi sull’adattamento della serie Neon Genesis Evangelion, recentemente approdata su Netflix, con un post sulla mia bacheca di Facebook.
Parecchia acqua e parecchi commenti – ben più autorevoli e incisivi del mio – sono passati sotto i ponti, e quell’adattamento a oggi non è più disponibile. Possiamo gustarci la serie in lingua originale con sottotitoli, o ascoltarla in inglese, spagnolo, tedesco, nell’attesa del nuovo, annunciato doppiaggio.
Come ho precisato già sui social, io non sono un’esperta di adattamento, mi occupo di Giappone, di culture pop, di traduzione letteraria (oltre che di cocktail, dei miei studenti e dei miei gatti). Ma ho avuto l’opportunità di conoscere diversi professionisti, e da loro ho imparato alcune cose.
In merito al caso specifico, confesso: ho retto i primi quattro minuti del primo episodio con l’audio settato sull’italiano, poi sono passata al giapponese. Comunque sia, quella manciata di minuti – insieme ad altri stralci presi qua e là – è stata sufficiente per concludere che il problema qui non è cosa si intenda per traduzione o adattamento, non siamo a un convegno sulle nuove frontiere dei translation studies. Qui il problema è la professionalità, che io mi aspetto e profondamente rispetto in ogni campo – anche dal mio barman di fiducia, per intenderci – e che si fonda in primis sull’acquisizione di alcune competenze di base, nello specifico la conoscenza della lingua giapponese e di quella italiana. Qui mancano entrambe. O comunque questo emerge dal prodotto finito che era in onda su Netflix.
Il punto non è la resa di 使徒 shito con “angeli” o “apostoli”. Non credo che i creatori della serie si siano mai posti questioni teologiche. Piuttosto, siamo di fronte a un’opera che ha già avuto ampia diffusione, e il problema da porsi è l’opportunità o meno di fare una scelta che contrasta con l’immaginario consolidato: si può fare, ma va ben ponderata. Ma ripeto, non è questo il punto. E non è nemmeno – come ho sentito in un video – la competenza lessicale del fruitore: come la protagonista del video, ho due lauree (vecchia quadriennale, una in Lettere classiche e una in Lingue orientali) e un dottorato, e non ho bisogno del dizionario per capire gli adattamenti in questione. Fatta eccezione, si intende, per gli arditi neologismi che ogni tanto fanno capolino nei dialoghi. E non è neanche l’obsoleta diatriba fra traduzione straniante e traduzione familiarizzante.
Nella mia personale opinione, è un problema di competenze radicale, non di approccio. La traduzione letterale non esiste, è un’invenzione del sistema scolastico anteguerra, che la utilizzava come strumento di verifica delle conoscenze grammaticali, originariamente nelle lingue classiche. Ma la traduzione è un’altra cosa. Non è mai un atto puramente linguistico, e men che meno meccanico. Altrimenti basterebbe un buon software. Invece è fondamentale il contesto, culturale ma anche comunicativo, e questo vale per la lingua d’origine e per quella d’arrivo. Nel momento in cui io rendo una frase giapponese inserita in un contesto colloquiale fluido in un italiano improbabile, astruso nella sintassi e obsoleto nel lessico, snaturo completamente la comunicazione. Per non parlare di quando l’enfasi o l’intonazione vengono fraintese e confuse con la creatività lessicale, dando luogo nell’adattamento a cacofonici e soprattutto inutili neologismi.
Ma c’è qualcosa di più. L’adattamento in oggetto ha l’effetto di perpetuare uno degli stereotipi più amati e più mistificatori sul Giappone, che lo vuole lontano, esotico, prigioniero di una irriducibile diversità. In una parola, strano. Gli stereotipi sono rassicuranti, seducenti. E allora ci immaginiamo questo arcipelago popolato di samurai e techno-geisha, che si scambiano salaci battute a colpi di «pochitto» e «recalcitranza». Ridicoli. Li osserviamo incuriositi, tronfi della nostra superiorità.
Alimentare lo stereotipo, questo è il problema.
(12 luglio 2019)
[ Introduzione • Metodo • Titoli • Dialoghi • Canzoni | Reazioni ]
L’unica spiegazione che mi sono dato nel corso del tempo per la sua carriera: è il figlio di Mazinga!
E meno male che ad inizio articolo scrivete che non volete attaccarlo o meglio diffamarlo. Indipendentemente dal fatto se il suo lavoro sia buono o no, qui leggo cattiveria gratuita.
Indicami questa cattiveria gratuita, per favore, proprio copiami/incollami il passaggio preciso cortesemente.
Cattiveria gratuita? Dove? In ogni caso il suo lavoro è a dir poco pessimo, e si merita tutte le tonnellate di letame che la gente gli ha riversato su FB ed altri social network.
Io sono solo stupito, anzi basito, nello scoprire dai suoi attacchi che Gualtiero Cannarsi sa anche parlare in italiano. Ciò significa che non era preterintenzionale, né tantomeno può sperare di uscirne per infermità mentale! Finalmente lo abbiamo inchiodato! (alle sue responsabilità)
Scherzi a parte, non capirò mai chi gli dà corda discutendo “il suo modo di tradurre\adattare”: il suo non è un metodo, è una presa in giro dei fan da parte di qualcuno che, in più d’un senso, in realtà non tiene al proprio lavoro. Il suo “lavoro di traduzione” sarebbe bocciato da qualsiasi traduttore nella storia della traduzione, punto.
Cannarsi è la più grande disgrazia che poteva capitare agli anime in Italia, forse anche peggio della Kazè quando faceva doppiare gli anime a “professionisti” che a malapena parlavano in italiano!
Articolo eccellente, come i precedenti sull’argomento.
Avete fatto un lavoro preciso ed accurato ed avete messo in luce in modo chiaro e limpido le motivazioni che stanno dietro alle nostre proteste contro l’ormai noto personaggio. Chi vi scrive, tra l’altro, è uno dei partecipanti alla petizione del 2015, con le famose lettere recapitate allo Studio Ghibli in Giappone.
La presa di posizione forte e decisa che l’intera comunità ha avuto nei confronti del nuovo adattamento di Evangelion (vero e proprio manifesto del delirio d’onnipotenza del sedicente adattatore) ha portato finalmente a dei risultati concreti.
Purtroppo la guerra è ancora lunga, ma non ci possiamo rassegnare. D’altronde la colpa di aver completamente alienato i film Ghibli alla quasi totalità del pubblico è veramente grave, così come gravissimo è l’aver impedito alle nuove generazioni di poter usufruire di queste opere dal grande valore umano ed artistico. Quest’ultimo punto per me è assolutamente imperdonabile ed in primis dovrebbero vergognarsi coloro che danno lavoro a questo personaggio, ovvero Lucky Red e Yamato (dove tra l’altro troviamo Di Sanzo, uno dei suoi più noti sodali).
La speranza, adesso, è di non dover più vedere adattamenti di questo tipo, e soprattutto che nessun altro professionista del settore prenda Cannarsi come esempio.
Grazie ancora per l’articolo, continuate così!
Grazie mille per il feedback, continuiamo a lottare insieme.
Mi chiedo soltanto come si possa prendere seriamente una persona che ha due lauree ed un dottorato ma parla come un ragazzetto delle medie. “Audio settato sull’italiano”.
Signori teste di c***o, questa è la vostra sinusoide!
Per la Treccani “settare” vuol dire, «nel linguaggio informatico, specificare o stabilire i parametri che regolano il funzionamento di un programma o di un componente hardware; configurare», quindi le cose sono due: o la Treccani s’è sbagliata, oppure in quel contesto “settare” è perfettamente congruente e quindi devi rimangiarti l’offesa e scusarti con l’autrice.
francamente trovo che il linguaggio di Cannarsi sia molto vicino al contesto oserei quasi “storico” dei vapori e i fumi di fine ottocento o di inizio novecento che Myazaki svela molto bene e sviluppa spesso in contesti che mischiano luoghi pienamente europei e anche tempi, non è una questione di traduzione letteraria, ma di donare una verità, banalizzare il linguaggio o peggio modernizzarlo, donerebbe una manciata in più di spettatori, ma farebbe perdere fascino ai film, un ultima nota, posso dire con certezza assoluta che vi sono 6 esperti di lingua (e 2 parlano e scrivono fluentemente italiano) e lo studio tiene moltissimo che le traduzioni in lingua non fuoriescono da quella atmosfera che è anche linguaggio …
Ammesso e non concesso che esista questo supposto «contesto oserei quasi “storico” dei vapori e i fumi di fine ottocento o di inizio novecento», non ha comunque niente a che vedere con la lingua, perché i film dello Studio Ghibli sono scritti in lingua contemporanea.
Tutti i film della storia del cinema (a parte specifici casi sperimentali) sono scritti nella lingua dei fruitori, non nella lingua dei personaggi: Il gladiatore non è scritto in latino e Il nome della rosa non è scritto in volgare del ‘300. Non fa eccezione Miyazaki, che scrive in giapponese contemporaneo a noi, e non contemporaneo ai personaggi della storia. Principessa Mononoke non è scritto in giapponese del ‘400 e Porco Rosso non è scritto in giapponese anni ‘20: sono scritti in giapponese contemporaneo.
È veramente ora di estirpare questa inesistente esoticità, inesistente mistero, inesistenti «vapori e fumi» intorno alla figura di Miyazaki.
Complimenti per la serie di articoli, che, nonostante qualche patetico tentativo di provare a dire il contrario, sono assolutamente argomentati ed oggettivi. Grazie soprattutto per la cura delle spiegazioni delle frasi originali in giapponese e complimenti per la cura di aver chiamato così tanti madrelingua e professionisti del settore, indica una grandissima cura e precisione nel lavoro. Davvero un gran peccato che il diretto interessato abbia evitato un confronto arricchente e costruttivo semplicemente perché stizzito. Forse perché sarebbe stato difficile per lui argomentare? When there is smoke, there is fire…..
Grazie mille, continua a seguirci!