Green Manor – Humour nero… alla francese

greenmanorRiuscire in sole sette tavole (perché una è di copertina) a proporre una intera storia tra il giallo, il nero e l’umoristico è una sfida interessante. Se poi si tiene conto che la prima tavola è una introduzione, ambientata nel salone principale del Green Manor’s Club, perché «è sempre qui che tutto comincia» – come dice il vecchio domestico che fa da introduzione ai racconti, e non solo… – e che la scansione delle vignette non consente mai di averne più di nove per pagina, ci accorgiamo di come possano bastare meno di 60 vignette per caratterizzare dei personaggi, raccontare una storia, trovare spunti divertenti e coinvolgenti, con il giusto contenuto “poliziesco”.

Recensirle e commentarle, è un’opera altrettanto titanica, perché ciascuna delle 16 storie è ricca di suggestioni, citazioni, accorgimenti grafici e di sceneggiatura, e richiederebbe una attenzione particolare. Magari in futuro… per ora accontentiamoci di questa raccolta in volume, sperando di farvi venire un po’ di curiosità.

La copertina cartonata, rigida e finto-invecchiata, che simula materiali di diversa ruvidezza, i colori caldi, il nastro rosso per segnare la pagina, il capitello rosso e nero, la carta interna pesante, danno un tocco di eleganza, anche qui, tutta inglese. Ed il contenuto se la merita.

Le storie, scritte da Fabien Vehlmann, in realtà iniziano tutte all’esterno del Green Manor’s Club, dal 1827 al 1897, e poi si intrufolano nelle stanze del club. Le differenze di epoca si notano subito nelle strade di Londra, nell’arredamento degli interni, nelle tecnologie e nell’oggettistica, nell’abbigliamento e nelle capigliature dei protagonisti, tutti “presenti” nella testa e nei racconti del vecchio domestico. Le atmosfere british ricordano moltissimo più blasonati scrittori ed investigatori d’Oltremanica, al punto che a volte è difficile pensare che siano state scritte da un giovane cresciuto nelle Alpi tra Francia e Italia. Infatti storie, ambientazioni e personaggi ricordano i racconti di Sherlock Holmes (e anche un po’ i telefilm con Jeremy Brett, o il più recente Ispettore Barnaby) e le smitizzano. Perché questi inglesi sono cinici, psicopatici, violenti, fedifraghi, pazzoidi, a volte anche dei consapevoli “poveri buffoni”. Ed è proprio lo scrittore che ha inventato il celebre detective di Baker Street a smascherarli in 21 alabarde.

Il Green Manor, che raccoglie la créme dell’Impero, che nulla vuole avere a che fare con la povertà, che anche nelle vignette appare solo negli angoli, in realtà è un ricettacolo di orgogliosi malati, pazzi, mai redenti, tranne forse il giudice Sherman di Ultime volontà. Persino le donne del club lo sono: l’unica volta che compaiono come coprotagoniste uccidono e nascondono l’omicidio (Notte Voodoo).

I disegni di Denis Bodart ricordano moltissimo il nostro Giorgio Cavazzano  per il dettaglio, le inquadrature particolari, le espressioni dei volti, il tratto pulito e divertito. Ma si può ritrovare, nelle caratteristiche dei volti e nella fisicità dei personaggi, l’influenza dei maestri franco-belgi come Morrìs e Uderzo. Eppure non stonano affatto, anzi, si sposano perfettamente con l’atmosfera sofisticata, che ricorda quella degli spettacoli teatrali. Infatti nelle poche pagine il tempo si dilata, i protagonisti riempiono vignette e scenari, con momenti che vanno dalla più ridanciana commedia, fino al dramma psicologico, proprio come su un palcoscenico dal vivo. Le scene di massa, all’aperto, sembrano diverse, finte, come dei fondali di passaggio.

I colori di Scarlet, esperta colorista francese, sottolineano i passaggi con grande maestria. Come in un film, in cui la fotografia sottolinea il cambio di scena, i flashback o la diversa ambientazione, il colore diventa caratterizzante: all’interno del club i toni sono sempre ocra e rossastri. Nelle diverse storie i registri di colore danno anche il senso della storia, come la luce di un palcoscenico. Un esempio per tutti, nell’episodio La ballata del dottor Thompson in cui un uomo viene ucciso (?) dal consiglio di un compagno di bevute, il colore segna il passaggio delle scene dagli interni (caldi, quindi con venature di giallo e marrone) agli esterni (freddi, anzi gelidi, quindi con toni azzurro-verdi).

La gabbia presenta sempre quattro strisce tranne pochissime eccezioni:

  • una vignetta su due righe in 21 alabarde che serve a un cambio di scena;
  • una pagina con cinque strisce che servono a sottolineare alcuni dettagli in Fine della partita;
  • due vignette di altezza dimezzata per sottolineare il ritmo che batte veloce in Nella testa di William Blake;
  • altre due che danno il senso del dettaglio in Duello al vertice;

su un totale di 130 pagine, la cui dinamicità è comunque fortemente assicurata dal taglio verticale delle vignette, mai uguali sulla stessa pagina, e dall’altezza delle strisce stesse. Così l’inquadratura cambia continuamente, dando anche il ritmo alla storia: le vignette che riempiono un’intera striscia, rallentano la lettura, scandendo i tempi.

La lettura è godibilissima, per gli appassionati del genere ma non solo. Alcune storie sono brevissime, altre molto più ricche di dialoghi e di didascalie, ma è un po’ come in una scatola di cioccolatini, per dirla con Forrest Gump, puoi trovare quello intenso, oppure quello dal sapore meno forte ma che persiste di più.

La scatola adatta è il tristemente famoso Ospedale Psichiatrico di Betlehem, Londra, in cui il quasi centenario Thomas Below, domestico al Green Manor’s Club è ricoverato e racconta al curioso dottore di turno, i «sinistri avvenimenti di cui sono stato teatro». No, non è un errore di grammatica, il vecchio domestico nella finzione È il club, e con lo sguardo di quella tradizione racconta le storie, fa da preludio e da chiosa al libro.

Buonasera, Signori…

Andrea Cittadini Bellini

Scienziato mancato, appassionato divoratore di fumetti, collezionista di fatto, provo a capirci qualcosa di matematica, di scienza e della Nona Arte...

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