G.i.a.d.a.: Guida Insolita Al Diventare Adulti
G.I.A.D.A. è una storia è raccomandata a chi era adolescente negli anni ’90 e sa cosa vuol dire non avere tutto il mondo su una tastiera, avere in tasca solo poche lire per la miscela del motorino e una scheda telefonica per telefonare dalla cabina.
Questa storia infatti si svolge in quei tempi lontani in una cittadina della provincia toscana, e (il misterioso) Mordecai che ne è lo sceneggiatore fa parlare tutti i suoi personaggi in fiorentino: ma non pensate che le parole che fa pronunciare ai sui “attori” siano terzine dantesche, perché da buon racconto popolare gli adolescenti attorno a cui gira la trama sono sboccati e spontanei come è normale che sia.
Ho usato volutamente il termine attori perché nell’introduzione a questo fumetto edito da Amianto Comics, per la collana pop novel Amianto Comics Presenta n. 2, quindi in formato cartaceo oltre che digitale, gli editori ci raccontano che il primo soggetto era pensato proprio per diventare un film, e questa impostazione di base travalica anche nel supporto cartaceo: ci sembra di guardare un film di un regista toscano con le dovute differenze date dal diverso media.
G.I.A.D.A. ha anche uno scopo “didattico” a detta dello stesso Mordecai (e del sottotitolo), è infatti una Guida Insolita Al Diventare Adulti che si presenta nell’opera in ben due versioni: una guida scritta come prefazione in cinque punti per i ragazzi che si innamorano per la prima volta, con l’aggiunta di un’appendice più esplicita per i duri di comprendonio (regole molto semplici, che parlano direttamente ai maschietti); e una guida da interpretare ognuno per sé, attraverso le immagini del fumetto che mostrano lo svolgersi la vita di Francesco, diciottenne innamorato della compagna di classe Giada, affiancato da un gruppo di amici a metà tra “fighi” e “non fighi”.
Francesco è orfano di madre e il padre non ha mai completamente superato (come lui stesso d’altronde) la morte della moglie, non esce di casa e l’unico suo impiego è dar da mangiare ai “coniglioli” della defunta. L’unica cosa che li unisce è guardare i porno (e le riviste porno), altrimenti il padre non si preoccupa di come il figlio passa il tempo e dove. Non che ci sia da temere perché il ragazzo passa il tempo con Giada, aiutandola a prepararsi per l’Accademia drammatica, mentre assiste alle sue avventure con altri ragazzi, non trovando mai il coraggio di dichiararsi. Tra amori non corrisposti, coppie che si formano, si sfasciano e si riformano, drammi adolescenziali e scolastici, la storia va avanti fino a un inatteso colpo di scena e un finale che si sporge nel futuro e rasserena i cuori.
I disegni sono affidati al giovane Leonardo Cino, fresco di Accademia ma che già mostra una mano originale e ben impostata, rendendo vignette ben leggibili e accurate che si adattano bene alla griglia tipica dell’Amianto. Il tratto di Cino è morbido e riesce ad essere sintetico e preciso pur restando aggraziato e ricco di particolari, così i personaggi risultano ben caratterizzati e con il proprio carattere.
La sceneggiatura segue la storia con semplicità, senza fermarsi troppo a riflettere sui particolari che rimangono un po’ tralasciati, compensando con soluzioni che fanno perno sul comico. Ad esempio le sedute con la psicologa imbianchina non hanno troppa consistenza, non propongono spunti di riflessioni e non sono determinanti per l’andamento della storia: infatti Francesco farà le sue scelte, giuste o sbagliate, seguendo il proprio istinto, non per qualche buon consiglio dalla specialista. L’intento ridanciano di cui sono circondate le scene non pareggia il conto purtroppo.
Inoltre per chi ha vissuto quel periodo (che per il resto risulta ben rappresentato) suona davvero strano vedere Francesco insieme ai suoi strambi amici (il rasta anarchico e il rivoluzionario borbottante) e anche insieme all’élite scolastica. A quei tempi si era al di qua o al di là della barricata creata dalla popolarità a scuola: se si era fighi (per aspetto fisico, look, possibilità economiche) non ci si mescolava con gli strambi, che formavano gruppi a sé e si occupavano di cose che oggi chiameremo nerd, fregandosene dell’aspetto fisico, dei vestiti e dei soldi. Insomma non c’era il politically correct di oggi, i gruppi di inclusione e i discorsi sull’integrazione: ma non c’era neanche il bullismo feroce di oggi. Ma non è l’ambiente scolastico il punto della storia, quindi va bene così.
Altre situazioni sono solo sfiorate, come il dramma intimo del padre, la gravidanza indesiderata, le prime avventure sessuali con professioniste del genere, ma è anche normale che un fumetto di 96 pagine non possa approfondire tutti gli aspetti presentati.
La caratterizzazione è comunque abbastanza buona perché si segua la vicenda con scioltezza e il coinvolgimento emotivo è assicurato, perché tutti abbiamo amato o amiamo qualcuno che ci sembra sia troppo lontano e irraggiungibile, ma come Mordecai insegna il lieto fine può esserci, se non ci si perde dietro sentieri sbagliati.