Die wergelder: il ritorno violento di Samura

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Questo fumetto nasce da una battuta dell’editor di Hiroaki Samura, ai tempi de L’immortale, che si domanda come mai il mangaka non abbia ancora realizzato un’opera «d’azione con abiti cinesi». Così si evince dalla postfazione che conclude il primo volume di Die wergelder (letteralmente, dal tedesco “guidrigildo: l’indennizzo pagato ai familiari di una vittima di omicidio, dall’assassino o dai familiari”) edito da Star Comics. Per chi conosce Samura, al di là del suo titolo più famoso, la domanda dell’editor pare scontata, così come il titolo della serie raccoglie in sé tutti gli elementi che sembrano affascinare l’autore: violenza, assassinii, denaro, vendetta e, per libera associazione, sesso.

Quindi: no, non è un fumetto per ragazzi. Dopo aver letto La carrozza di Bloodharley (edito da J-Pop) tutti abbiamo capito che Samura è un fan del genere Pinky violence, cioè opere basate su erotismo e azione, ricche di toni splatter, volgarità, tortura e sesso estremo. Die wergelder si presenta come un esemplare tipico, ma con i disegni meravigliosi dell’autore e una trama piuttosto complessa. Tanto complessa che si fa fatica a tirarne i fili da questo primo numero.

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Protagoniste sembrano essere le donne. In una realtà distopica, o forse nella nostra, la confusione è voluta, una prostituta con un occhio solo sente parlare dal suo cliente dell’isola di Ishikunagijima, un luogo segreto in Giappone, dove le donne che vendono il loro corpo hanno un trattamento di favore. Questa non è la prima volta che i due si incontrano, flashback ci hanno mostrato un passato in cui l’uomo ha abusato brutalmente della donna, ed ora lei sta cercando vendetta. Ha una cicatrice a croce al posto dell’occhio sinistro e lunghi guanti nascondono una mano meccanica dall’incredibile potenza: il suo desiderio di rivalsa che va ben oltre l’eliminazione di colui che un tempo l’ha fatta soffrire.

Nel guidrigildo sono coinvolte anche delle famiglie della mafia russa e giapponese. Un’altra donna, Shinobu, una ragazza sfortunata come tante, ma furba e senza scrupoli più di altre, viene precettata dagli yakuza per partecipare a un’azione di spionaggio che li porta proprio sull’isola misteriosa. E qui per la prima volta incontriamo la famigerata combattente con l’abito cinese: una macchina mortale che usa un nunchaku modificato, in cui sono applicate delle pistole, scaltra, velocissima e senza pietà. Nella confusione di immagini che si riferiscono a presente, passato, e momenti paralleli, capiamo che queste tre donne, insieme e sopravvissute allo scontro su Ishikunagijima, saranno i perni su cui ruoterà l’intero intreccio.

In questo primo numero Samura butta dentro una miriade di elementi che troveranno una loro spiegazione nel corso dello svolgimento. Dovremo scoprire il passato della vendicatrice bionda e della cinese, e capiamo già che non sarà qualcosa per stomaci deboli. Al di là della storia e della sua impostazione, è un piacere ritrovare i disegni dell’autore: l’immagine della donna con un solo occhio non può che far tornare in mente l’immortale Manji, che abbiamo amato nel suo primo titolo, e l’agilità della cinese ci riporta direttamente all’azione stupefacente delle scene di combattimento, che già aveva portato a perfezione lì.

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La qualità delle tavole è sempre molto alta, sia quando la divisione delle vignette è fitta, per permettere lo sviluppo della storia, sia quando le pagine si aprono a riquadri ampi e luminosi in cui esprimere il movimento e la velocità dei gesti. Certo, a momenti è complicato riuscire a seguire i salti temporali del racconto, non segnalati da nessuna convenzione grafica (come l’uso di rappresentare i flashback scurendo il fondo della pagina), ma questo rende il lettore più ricettivo, gli fa venir voglia di sbrogliare al più presto la matassa, e di capire quale mistero si cela dietro le vicende, che promettono una complessità ancora maggiore.

Samura è poi sempre bravo ad alleggerire i toni con il suo stile sempre ironico, mai troppo convinto di sé, come se dicesse “vi faccio vedere questo, ma mica lo so se è davvero così”. Che, per me, è l’elemento che salva la storia, visto che non tutti amiamo la Pinky violence e io in particolare detesto la violenza gratuita sulle donne. Un’opera che piacerà o dispiacerà molto, ma di ottima qualità, che mi stimola un paragone con il libro Uomini che odiano le donne, non tanto per i contenuti quanto per i modi.

E Samura è sempre Samura.

 

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Silvia Forcina

Non pratico il nerding estremo pur essendo nerd nell'animo, ma non ho niente da condividere con i Merd che popolano il mondo. So solo quello che non sono. Come Balto.

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