Demone dentro – una recensione di speranza
Mattia Iacono è un giovane fumettista romano. In questo suo primo graphic novel mostra subito una non comune capacità di introspezione e di analisi. E grazie alla fantasia che solo un fumetto permette, riesce a controllare i demoni dei suoi personaggi…
…purtroppo qualche volta i mostri vengono fuori, e diventiamo qualcosa che, di solito, non siamo…
Guardando la copertina di Demone Dentro non sapevo bene cosa aspettarmi…
Perché il tratto può far pensare anche a un libro adatto ai bambini, ma il demone ha qualcosa di inquietante e terribile, che non si adatta ai mostri delle storie per i più piccoli.
Anche nelle prime pagine la (piacevole) ambiguità non si dipana subito.
Il mostriciattolo che appare nella pagina del frontespizio, infatti, ha un che degli esseri di Miyazaki, simpaticamente spaventoso…
Il fiore bianco dopo il colophon, il paesaggio marino iniziale mantengono ancora un po’ la suspense, ma poi i personaggi, il pesce e gli uccelli quasi antropomorfi (che mi hanno fatto pensare a Mœbius) fugano ogni incertezza.
I particolari, le inquadrature, la grammatica stentata del marinaio e l'”isola maledetta”, il silenzio dell’uomo barbuto e armato rafforzano un senso di disagio, che ci si porta dietro per tutta la lettura.
L’isola della copertina si rivela un posto strano, una foresta popolata di esseri animali e vegetali non proprio usuali.
E piano piano vengono fuori gli elementi della storia: due personaggi apparentemente molto diversi, ma collegati da numerosi elementi: la stessa città, lo stesso venditore di libri usati (che ha tante copie dello stesso libro!), una fornitura sbagliata. Due storie normali, di frustrazione e di solitudine, che piano piano sono state invase da demoni, via via sempre più grandi, anche fisicamente. Apparsi inizialmente in modo silenzioso, inoffensivo, come un sibilo sotto traccia, alla fine hanno occupato tutto quello che di bene c’era in quelle vite. Soprattutto l’amore, inizialmente inquinato dalla monotonia da una parte, dalla solitudine e dalla frustrazione lavorativa dall’altra, e sopraffatto, alla fine, dalla violenza.
Infatti quei piccoli demoni oscuri si sono fatti strada piano piano, senza che i due se ne accorgessero. Nutrendosi di ogni sentimento negativo, di ogni situazione, fino a trovare la strada e la forza sufficiente per intervenire nel momento «giusto», prendendo i due personaggi nel loro momento di massima debolezza. Così Ulisse (penso proprio che il nome sia legato al più famoso Odisseo, perché anche quello a viaggi e a demoni interiori mica era messo male, e poi di isole misteriose e maledette ne ha incontrate un bel po’…) sfoga sul collega irritante la rabbia di decenni di umiliazioni, ma lo fa proprio davanti alla persona a cui è interessato. Invece Wantoo (di cui non conosciamo il nome vero, ma anche sua moglie lo chiama così), la cui pronuncia mi ha fatto pensare sia a «I want to», cioè «vorrei», sia ai primi due numeri in inglese (one, two) quasi a segnare un inizio, non accetta il tradimento (presunto) della moglie nonostante l’amore sia già finito, per sua stessa ammissione. Si fa così possedere anche lui dal demone della violenza. Peraltro dopo essere stato dilaniato (in sogno) da una entità oscura…
E a poco servono le scuse subito dopo, per entrambi. Qualcosa si è irrimediabilmente rotto. Il buio è entrato nella vita di queste persone e ne ha cancellato tutta la bellezza. E sembra non esserci via di uscita.
La via d’uscita la conosce invece il libraio, che li invita a «fare buon uso» di un regalo che trova il modo di fare a entrambi. Regala loro il diario di Babadush, il primo(?) ad arrivare sull’isola maledetta per affrontare il demone della sua esistenza e che di quella esperienza ha scritto.
Quel «mi raccomando, ne faccia buon uso» che grida a entrambi è il punto di svolta, la speranza che vince il demone dentro, la scintilla che permette di non arrendersi.
E non solo perché dà uno strumento di conoscenza, una esperienza pregressa di cui possiamo fare uso…
Ma anche perché comprendono che insieme si possono affrontare i mostri. Ciascuno di noi pensa di essere il solo a soffrirne, invece qualcuno c’è già passato, e qualcuno sta affrontando la stessa cosa. Non siamo soli, e, con la conoscenza del passato e l’aiuto altrui, possiamo arrivare a sconfiggere il demone comune. Mettendo insieme le nostre capacità, peraltro spesso a noi stessi sconosciute. Qui infatti sia Ulisse che Wantoo tirano fuori delle caratteristiche inattese: questo il dono di saper aiutare e guidare gli altri nel momento in cui non sembra esserci via di uscita; quello la forza di trovare il coraggio di lottare, che pure prima non aveva mai avuto.
Trovando così la forza di aiutarsi, di collaborare, di fare cose nuove. Ma anche di usare cose vecchie in modo nuovo, come il biblico padrone di casa che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie (Mt 13, 52).
Per scoprire che i veri mostri non sono quelli che incontriamo intorno, non sono quelli che Ulisse e Wantoo trovano nella montagna dell’isola misteriosa. Ma l’unico vero mostro, la vera oscurità è dietro la porta che non riusciamo a vedere quasi mai, quella del nostro io, e che pure quando vediamo, siamo bloccati dalla paura di affrontarlo.
…e per fortuna c’è qualcuno o qualcosa che sa aiutarci nel modo giusto.
Sarà la nostra coscienza (o forse l’inconscio più profondo).
Saranno le risorse che non sappiamo di avere.
Oppure è il libraio che è al posto giusto e al momento giusto, al punto da avere qualcosa di provvidenziale (non oso mettere la lettera maiuscola, anche se ci starebbe proprio bene), onnisciente (in fondo sa tutto delle vite dei personaggi, è lui a raccontarcene i dettagli) e salvifico.
Infatti sa di cosa abbiamo bisogno, anche se poi toccherà a noi farne buon uso. Perché non possiamo che tirarci fuori da soli dai nostri guai, indipendentemente dalla forza dei nostri alleati.
Graficamente mi hanno colpito tre cose:
- i nasi dei personaggi, che, come ho potuto notare sul sito dell’autore, sono caratteristici delle sue illustrazioni, nella forma e nel colore;
- una forma grafica che ricorda per alcuni tratti Adventure Time, nella malleabilità e morbidezza dei personaggi e dei mostri, nella costruzione degli ambienti, nella semplicità e pulizia dei tratti;
- l’utilizzo delle pagine bianche come titoli. In quelle pagine di solito si trova solo un oggetto, un personaggio comprimario ma significativo: le pantofole blu, la bottiglia di whisky, il diario, un cane di nome Argo, un grillo (parlante?) in cui è riconoscibile il libraio. Queste, insieme alle pagine del diario di Babadush, sono didascaliche e scandiscono la storia in modo originale.
Mi piace pensare che questo fumetto, scritto per gli adulti da un giovanissimo Mattia Iacono, sia un viaggio di speranza, un’odissea per trovare la vetta, il fiore bianco che ciascuno ha dentro di sé, la cui mappa magari possiamo trovare da un vecchio e provvidenziale libraio, e che, insieme, ci consente di sconfiggere il nostro demone dentro.
Bello!