Il Buono, il Brutto, il Cattivo – Mater Dolorosa

Tre punti di vista diversi su Dylan Dog 361 (Mater Dolorosa). Quasi un esercizio di stile per avere uno sguardo qunto più a 360 gradi sull’albo che celebra i trent’anni di un’icona del fumetto italiano.

il-buonoIL BUONO – di Andrea Topitti

Leggere Mater Dolorosa mi ha fatto tornare in mente quando comprai il numero 100 di Dylan, nell’ormai lontano Gennaio 1995, e la cosa che mi rimase più impressa non fu la storia in sé, ma quello che lessi nella rubrica Il Club dell’orrore, ossia: «Addirittura potremmo ideare un nuovo finale, completamente diverso, da mettere sul numero duecento! Ne siamo capaci…»

Fu solamente una battuta e ciò non fu fatto, ma lo ritenni geniale come spunto. Come se il passato di un personaggio enigmatico e radicato nell’immaginario italiano come Dylan Dog potesse avere non una sola sfaccettatura ma tante altre. L’idea morì lì e la storia di Dylan, suo padre, Xabaras e Morgana, rimase quella della famiglia dell’alchimista che viveva sul galeone con i suoi marinai. Molti lettori ritennero quella rivelazione sul passato di Dylan al di sotto delle loro aspettative, e anche lo stesso Tiziano Sclavi dichiarò di ritenersi non proprio soddisfatto.

Nonostante ciò, toccare quel passato forse scomodo, non esclude che sia possibile creare delle storie degne di nota, aggiungendo degli elementi per arricchirle e renderle addirittura migliori. Roberto Recchioni lo fa, e lo fa attraverso un meccanismo doloroso, che abbiamo già letto: l’immedesimazione totale.

Per chi conosce l’autore, sa che egli ha avuto una vita non sempre felice dal punto di vista della salute e questa sua esperienza traumatica l’ha voluta trasmettere al personaggio che attualmente gestisce. Già nel precedente Mater Morbi lo ha fatto, ma qui la inserisce nel contesto di quel tanto discusso passato del personaggio, creando una situazione comunque avvincente. Rispetta il passato creato da Sclavi, senza cambiare nessun elemento, ma capendo che può essere plasmabile e arricchibile. Addirittura sembra aggiungere quello che forse mancava a quel numero 100.

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Dylan Dog 361 – Mater Dolorosa

L’allievo che supera il maestro? In questo caso sì.

Mentre Sclavi ha sempre ritenuto Dylan Dog il contrario di se stesso, il Rrobe ne fa una specie di valvola di sfogo per esorcizzare le sue traumatiche esperienze personali, mettendosi quasi a nudo, rendendo Mater Morbi una nemesi mai vista prima, forse irraggiungibile nella sua crudeltà, che tormenta il nostro Dylan da tempo immemore, rendendosi sfuggente ed onnipresente allo stesso tempo. Lo stesso John Ghost, che appare nella storia, sembra quasi un antagonista rassicurante, al confronto. Possiamo capire che non solo dal numero 280 (Mater Morbi appunto), e dal numero 100, Recchioni attinge, ma riprende qua e là da altre storie. Si diverte a fare anche semplici citazioni che attraversano la storia di Dylan: ad esempio nomina Mana Cerace, la più geniale creazione di Claudio Chiaverotti, e fa una piccola comparsa addirittura il piccolo Fric. Insomma Mater Dolorosa si presenta come una specie di summa e punto di riferimento per chiunque vorrà scavare a fondo nel personaggio. Roberto Recchioni lo ha creato scavando dentro di sé.

Una pietra miliare. Scherzosamente dico: fossi in Sclavi, un po’ di fastidio lo proverei.

A livello di sceneggiatura riconosciamo il modo di fare dell’autore romano: dialoghi taglienti e diretti, senza neanche una parola di troppo.  Spazio alla spettacolarizzazione e alla grande azione (vediamo un Dylan che uccide con la sua pistola orde di zombi come non aveva mai fatto prima!).

A tale richiesta di spettacolarizzazione, i disegni di Gigi Cavenago sono un supporto che ha del fenomenale. Il suo tratto quasi espressionista potrebbe ricordare addirittura Bill Sienkiewicz, senza andare però nello sperimentalismo puro, Jill Thompson o Sam Keith. I colori stavolta sono davvero parte essenziale del tratto e costruiscono un’atmosfera tra sogno, incubo e realtà, senza smorzarsi nelle scene d’azione.

Guardate la nave di Mater Dolorosa a pagina intera e ditemi quante volte avete visto un’immagine del genere, nei fumetti di Dylan Dog, anzi nel fumetto popolare italiano.

Ragazzi, fate quello che volete: potete fare gli haters, i troll o i leccaculo gratuiti sulle pagine Facebook di Roberto Recchioni e Gigi Cavenago, ma dovere leggere questa storia.

Qui si riscrive, anche editorialmente parlando, la storia di Dylan Dog.

Assolutamente, e in modo magistrale.

Godiamocelo.

Un giorno, sono sicuro, avremo questo volume conservato accanto ai classici del cosiddetto periodo d’oro.

il-bruttoIL BRUTTO – di Andrea Gagliardi

Questa è una recensione sbagliata di Dylan Dog 361. Cose che succedono.

“Non ci sono i margini”

Questo è il mio primo pensiero quando comincio a leggere Mater Dolorosa, ultima fatica artistica di Roberto Recchioni e Gigi Cavenago per Dylan Dog. È assurdo lo so: tra Recchioni che mette tutto se stesso in quest’albo e Cavenago che dipinge magistralmente le tavole ci sarebbero centinaia di cose da dire e da pensare. Io invece sto qui a guardare i margini delle vignette.

Margini che non ci sono.

È assurdo anche perché di fumetti con vignette prive di bordi ce ne sono a migliaia, non c’è una sola ragione per cui io debba star qui a concentrarmi su questo dettaglio.
Eppure lo faccio.

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Dylan Dog 361 – Mater Dolorosa

Comincio a leggere e mi accorgo che anche nei disegni non ci sono margini. Le linee sono spezzate, schizzate, non si chiudono e le pennellate di colore fuoriescono come negli album da colorare dei bambini particolarmente creativi. I contenuti smettono di far fede al proprio nome, tutto fuoriesce, tracima al di fuori di confini che non ci sono, e ogni segno finisce per essere più di quello che è. Cavenago conosce la potenza emotiva del colore: sfrutta appieno i contrasti caldo/freddo tra una pagina e l’altra e anche all’interno della stessa pagina. Si coinvolge il lettore, lo si rapisce tanto che fa fatica a passare oltre, verso la prossima vignetta.

Dal canto suo Recchioni ci racconta una storia che passa da un incubo all’altro, un incubo dentro un sogno, un sogno che si rivela essere reale tanto che le scene reali sembrano parte di una grande storia immaginaria (“Ma non lo sono tutte?”). Non ci sono confini.

Ecco, anche qui mancano i margini.

[Qualcuno adesso mi dirà: – Eh ma tu sei un’ossessivo compulsivo, di quelli che tutto deve essere perfettamente in ordine e simmetrico! Chi è entrato a casa mia ed è inciampato nelle pile di fumetti che sono sparse a terra sa che non è così.]

Ogni vignetta racconta più di quello che rappresenta, la storia si dilata all’infinito e verso l’Infinito. Tutto contribuisce a restituire un grande senso di indeterminatezza, onirico, confuso. Ci si chiede cosa sia reale e cosa no fino a che questa domanda pare non aver più significato o importanza.

Orientarsi in questa tormenta è prerogativa di quei marinai che conoscono Dylan Dog a menadito, colgono le citazioni, i rimandi e i riferimenti. Io non sono tra quelli per cui manco ci provo. Daniele Barbieri, nel suo saggio I Linguaggi del Fumetto, ci insegna che un linguaggio non è uno strumento ma un luogo e così come Mater Dolorosa trabocca dall’albo in maniera quasi fisica anche io riesco ad entrare in questo luogo e ad abitarlo.

C’è una grossa pretesa qui: la pretesa di chi vuol passare da “cantastorie” ad “Artista”, di chi vuole lasciare il proprio segno nei tempi. In questi casi il giudizio finale va lasciato ai posteri. Io mi sono limitato a perdermi dentro quest’albo.

il-cattivoIL CATTIVO –  di Francesco Pone

Non bisogna scherzare con l’età che avanza. Non se sei un personaggio dei fumetti, almeno.

Personalmente all’età di trent’anni ero ancora nel pieno del mio vigore, totalmente impegnato a creare quella che sarebbe diventata la mitologia della mia vita, i bei tempi che tutti noi rimpiangiamo. Dylan Dog, invece, il mese del trentesimo compleanno della sua vita editoriale sembra già un vecchietto incartapecorito.

Non è colpa sua, poveretto. Provateci voi ad indagare nell’incubo per trent’anni, una volta al mese, più speciali e fuori serie, senza un giorno di sosta, con l’obbligo di vendere centomila copie se no Martin Mystère chiude. C’è da non dormirci la notte.

Non è colpa nemmeno dello scrittore di quest’albo, Roberto Recchioni, che questa responsabilità se l’è presa sul groppone senza batter ciglio (supponiamo). Provateci voi a riportare in vita quello che era diventato un cadavere ambulante (altro che vecchietto incartapecorito), a sparargli in vena un’overdose di interesse, a cavare fuori dal nostro portafogli quei soldi che ultimamente preferivamo sperperare al grattaevinci piuttosto che comprare un albo dell’Old Boy. Fino a oggi gli era andata discretamente liscia: pur con la consapevolezza delle bamboline vudù a sua immagine che circolano nei mercatini di fanatici del vecchio Dylan, Recchioni era riuscito a farci ricordare perché ci sentivamo così fighi a leggere Dylan Dog vent’anni fa. Poi si è ritrovato con l’incombenza di un anniversario come questo, quando tutti si aspettano una celebrazione del passato e, allo stesso tempo, una bella storia.

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Dylan Dog 361 – Mater Dolorosa

Beh, ho una cattiva notizia: il passato è passato, e riportarlo in vita è necrofilia.

C’è davvero poco di bello in questo episodio di Dylan Dog. È una storia stanca e priva di mordente, che rischia di disinnescare la portata innovativa del Dylan Dog degli ultimi anni proprio nel suo patetico tentativo di ancorarlo al passato e presentarsi come uno sviluppo coerente. Recchioni retconizza la celebre origine segreta di Dylan (che già allora, al sottoscritto, era sembrata terribilmente fuori registro rispetto al personaggio) inserendovi parte della sua mitologia, senza che nessuno glielo avesse chiesto.

E così, Mater Morbi, che di per sé aveva rappresentato una metafora splendida della parabola umana nell’albo omonimo, qui si ripete farsescamente come una sorta di arcinemico ricorrente, un Magneto qualsiasi; e John Ghost, la cui impalpabile presenza aveva aleggiato negli ultimi anni nella serie senza mai palesarsi davvero, qui appare e svela cose e parla come un banale supercattivo.

Il sospetto che sorge, a questo punto, è che un tale calo qualitativo rispetto alla serie sia dovuto proprio all’obbligo di celebrare che anniversari come questi si portano sempre dietro. Come dicevamo in apertura, per un personaggio dei fumetti 30 anni sono tanti, troppi: e il trucco per sopravvivere ancora a lungo è esattamente il contrario che ricordarci quanto tempo sia passato. Il trucco per sopravvivere è farci dimenticare quante belle (e brutte) storie ci siano state in passato, quante centinaia di donne siano passate nel letto di Dylan o quanti mostri abbia già incontrato.

Il trucco per sopravvivere è farci credere che gli albi del passato non siano buoni come quello che hai appena comprato, e Recchioni, come curatore e come scrittore, c’era praticamente riuscito. Non sempre, non in tutti gli albi, ma c’è riuscito per la maggior parte del tempo, e quindi giù il cappello, che Dylan Dog è vivo e respira.

Così congediamo questo albo con un benevolo pat pat sulla spalla, va bene, hai fatto il tuo dovere, abbiam spento le candeline. Ora però, caro Recchioni, torniamo alle cose serie, eh?

P.S. Cavenago è un mostro, quindi di lui qui non si parla. Sia mai che Dylan Dog gli spari!

2 pensieri riguardo “Il Buono, il Brutto, il Cattivo – Mater Dolorosa

  • 12 Settembre 2016 in 14:52
    Permalink

    Ma dylan non continua a perdere lettori? Siamo a 95.000 copie da quello che si dice in giro. Io di recchioni odio il fatto che ha trasformato dylan in una specie di fantozzi/coliandro.

    Rispondi
  • 12 Settembre 2016 in 16:22
    Permalink

    (vediamo un Dylan che uccide con la sua pistola orde di zombi come non aveva mai fatto prima!).

    Non ci credo!!!nel cuore degli uomini lo ha fatto massacrare/umiliare senza dargli neanche una possibilità di rivincita. Il suo aguzzino viene ucciso da altri

    Rispondi

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