1F: Diario di Fukushima – una recensione disillusa

Sono un appassionato di storie, e di Storia, anche se la storia contemporanea mi mette molto in difficoltà. Un mio amico studioso mi dice spesso, quando ne parliamo:

Oggi le fonti storiche paradossalmente sono troppe, per cui si può giustificare tutto e il contrario di tutto, basta scegliere le fonti, sezionarle chirurgicamente, prendere solo la parte che conferma la nostra idea di partenza.

Questo è uno dei mali della società dell’informazione, ciascuno di noi tende a trovare le fonti che confermano le proprie tesi, o addirittura i propri preconcetti, e con tante fonti a disposizione è sempre più difficile arrivare a una sintesi condivisa.

Anche su Fukushima Dai-Ichi (ovvero su Fukushima 1, la prima delle due centrali nucleari di Fukushima, quella colpita dallo tsunami dell’11 marzo 2011) ne sono state dette di tutti i colori. Ciascuno partendo dalla sua posizione (pro o contro il nucleare) ha interpretato le notizie che sono venute dal Giappone durante e dopo l’incidente…

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Invece Kazuto Tatsuta, fantomatico mangaka, che ha deciso di lasciare il suo lavoro a Tokyo per andare realmente a lavorare alla bonifica della zona della centrale nucleare, ha fatto una cronaca molto precisa della sua esperienza, cambiando solo i nomi, a cominciare dal proprio.

Infatti l’autore, la cui reale identità è davvero ignota, ha lavorato presso la 1F (ovvero Ichi Fu, il nome con cui viene indicata la centrale dagli operai e dalla popolazione locale) da giugno a dicembre del 2012 e poi nel 2014.

Tatsuta (che per lo pseudonimo si è ispirato alla stazione di Tatsuta, a 20 Km dalla centrale, gravemente danneggiata dal terremoto e riaperta nel giugno 2014) non si addentra nel racconto del dramma del marzo 2011. In realtà riporta didascalicamente la sua esperienza di lavoro del 2012. Racconta infatti la sua quotidianità nello svolgere un lavoro particolare e pericoloso ma tutto sommato normale per chi lo svolge. Anzi, parla delle sue esperienze, perché ha svolto lavori diversi, arrivando fino all’interno del reattore.

Un lavoro fatto di luoghi precisi (di cui riporta con dovizia di particolari le mappe), misure di sicurezza e procedure descritte nel dettaglio, dispositivi di sicurezza, fisicità e difficoltà ambientali.1F_b

Infatti sappiamo tutto dei posti, dei nomi dei luoghi, delle strade e dei campi abbandonati. Sappiamo dei semafori che cambiano modalità di funzionamento mano a mano che ci si avvicina alla «zona di esclusione». Vediamo i modelli delle auto usate nella centrale, e le vediamo girare nelle strade all’interno del complesso, al punto che sembra quasi di essere lì. Conosciamo esattamente la divisione in stanze dei posti frequentati dagli operai: dalla casa, al posto di ristoro, ai luoghi di lavoro.

Si impara tutto di come ci si veste per entrare nella centrale, della radioattività che gli operai possono sopportare, delle ferree regole interne. Vengono nominate le marche degli oggetti usati, dei tipi di maschera di protezione, delle leve delle ruspe, solo per le ditte fornitrici e appaltatrici si usano pseudonimi. Ci sono le manine didascaliche che indicano i particolari sulle mappe, sui disegni dell’equipaggiamento, sugli schemi che presentano le condizioni di vita e di lavoro.

Viene raccontato nel dettaglio il percorso per arrivare a lavorare in 1F, si intravedono, ma neanche troppo nascosti, gli interessi delle ditte, si parla dell’entità della paga e delle spese, si viene a sapere in maniera diretta e per niente complottistica dei numerosi livelli di subappalto.

1F_cMa si sentono anche gli odori, il sudore, il caldo soffocante dell’estate giapponese. Ci si sente soffocare dentro le maschere, delle quali conosciamo tutto, dalle caratteristiche tecniche, alla modalità di sostituzione dei filtri, alla procedura per indossarle. Si sente il sapore dei pasti precotti e l’odore del fumo, vivendo la quotidianità di una situazione comunque irreale, come può essere una zona attorno a una centrale nucleare esplosa. Si sente la frustrazione di poter lavorare solo un’ora al giorno a causa delle radiazioni, e si assiste più e più volte alle infinite procedure per andare e tornare dal posto di lavoro.

Poi (last but not least) ci sono le persone, reali come non mai, rappresentate nella loro totalità. Molti sono originari della zona intorno a Fukushima, per cui si percepisce il coinvolgimento emotivo, che contrasta con quello dell’autore, venuto da Tokyo. Ma tutti gli operai sono accomunati dal cameratismo, dalla condivisione della situazione e dalla consapevolezza di star facendo il proprio dovere verso il paese. Dalle storie diverse che alla fine sono converse tutte lì, dallo sgomento per quanto è successo, dalla frustrazione che in patria e all’estero non si capisca davvero quello che sta succedendo perché «l’incidente di Fukushima non si è ancora risolto».

Anche i disegni sono didascalici, precisi, realistici. I visi degli operai sono sempre gli stessi, i posti sono disegnati in modo quanto più fedele. L’unica concessione che si fa al Fumetto sono alcune espressioni dei personaggi (che in alcuni momenti sembrano avere la testa troppo grande rispetto al corpo) o le figure didascaliche: le manine che indicano o l’autore stesso che si rappresenta come narratore.

L’opera quindi assume in tutto e per tutto l’aspetto di una cronaca, un reportage, una specie di servizio giornalistico di inchiesta, portato al pubblico utilizzando il mezzo grafico invece della sola parola scritta. Uno di quei casi in cui il giornalista «si finge» clochard, o cliente di prostitute, per riuscire a entrare nel mondo che vuole descrivere e poterne parlare «dal di dentro».

Tatsuta però sembra non voler dare nessun taglio, né celebrativo né critico.  Ammette di aver voluto effettivamente dare una mano nei posti terremotati, di aver trovato lavoro a Fukushima «quasi per caso», mentre cercava un lavoro nelle zone colpite dallo tsunami, e solo dopo di aver deciso di realizzare quest’opera, che ha vissuto come un diario, più che come un reportage.

E non facciamo fatica a crederci, perché l’opera è fin troppo dettagliata nei particolari, e alla fine non prende alcuna posizione, ma racconta con dettagliata veemenza cosa è rimasto di Fukushima-Daiichi, dei territori limitrofi abbandonati, della vita di chi è predisposto a bonificare.

Perché, al di là di tutte le polemiche, le posizioni diverse dei politici, gli interessi economici dei fornitori e delle ditte appaltatrici, come l’autore stesso dice alla fine del capitolo 0, che è più un sommario che un prologo:

Il mondo esterno immagina questo come un luogo infernale[…] eppure è qui che viviamo e (nonostante ognuno di noi abbia la propria opinione) ne andiamo molto fieri! Qualunque cosa accada, sia domani che d’ora in avanti noi continueremo a recarci a 1F per questa strada […] e continueremo a percorrerla fino al giorno in cui questo luogo [la centrale] non sparirà dalla mappa di Fukushima.

Andrea Cittadini Bellini

Scienziato mancato, appassionato divoratore di fumetti, collezionista di fatto, provo a capirci qualcosa di matematica, di scienza e della Nona Arte...

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